Un medico urgentista con anni di esperienza sul territorio, prima a Torino e ora nelle Langhe, impegnato non solo nella cura clinica ma anche nella costruzione di spazi di accesso, diritto alla salute e inclusione reale. È il profilo di Stefano Quaranta, che oggi mette la propria competenza a servizio dell’ambulatorio sociale gratuito di Alba, nato dalla collaborazione tra il Comune, la Croce Rossa e la Caritas, e rivolto a chi non ha un medico di base né un inserimento nel Servizio sanitario nazionale.
Come nasce l’idea di attivare un ambulatorio sociale qui ad Alba?
“Tutto è partito quando la Croce Rossa ha dato disponibilità per ospitare, nei propri spazi, persone che vivono per strada e sono escluse dal nostro tessuto sociale. Ho pensato che fosse naturale affiancare a questo anche un servizio medico, per affrontare almeno le problematiche sanitarie di base. Non possiamo fare miracoli, ma possiamo dare un primo supporto, ascolto e orientamento”.
Ha già vissuto esperienze simili altrove?
“Sì, molti anni fa a Torino, con l’Ordine di Malta. Lì il servizio ha funzionato per due anni: la realtà era più grande, i numeri più alti. Qui ad Alba la dimensione è diversa, ma c’è comunque un piccolo gruppo stabile di persone in difficoltà, direi un centinaio tra chi staziona e chi passa. E affrontano spesso condizioni fisiche e mentali che noi, protetti dal nostro stile di vita, fatichiamo anche solo a immaginare”.
Come si svolge l’attività dell’ambulatorio?
“Per ora una volta a settimana, ma il giorno non è fisso: dipende dai miei turni. In questo momento ci sono io e qualche infermiere che lavora con me, ma diversi colleghi giovani, specializzandi o già attivi sul territorio, hanno dato disponibilità. Se crescerà la domanda, li coinvolgerò.”
Che tipo di medicina fate?
“È una medicina di base, semplice, ma fondamentale. Cerchiamo anche di spiegare a queste persone che, pur senza tessera sanitaria, possono sempre accedere in anonimato al pronto soccorso. L’ambulatorio funziona allo stesso modo: nessuna registrazione, nessuna formalità. Solo accoglienza.”
C’è anche una parte farmacologica?
“Sì, forniamo terapie basilari – antinfiammatori, antibiotici di prima necessità – grazie ai medicinali donati dalle farmacie locali, non più vendibili ma perfettamente utilizzabili. È un meccanismo che avevo già rodato a Torino e che qui stiamo replicando”.
Questo impegno ha anche un valore civico?
“Assolutamente sì. Non solo voglio offrire un servizio sanitario, ma anche dare uno stimolo alla comunità. Questa zona ha grandi risorse, anche economiche, ma spesso manca l’attivazione sociale. Non chiedo fondi per me – non mi servono – ma credo che un’iniziativa come questa possa far riflettere chi può e vuole mettersi in gioco. Le Langhe hanno bisogno di un po’ più di coraggio inclusivo.”
Torinese trapiantato nelle Langhe: cambia lo sguardo?
“A Torino abbiamo tanti difetti, ma non ci manca la capacità di includere. Qui c’è grande generosità, ma serve canalizzarla. Io ci credo, e questo ambulatorio può essere un primo seme”.