Una vita dedicata alla matematica, strumento per esprimere la propria creatività e libertà. Così Olivia Caramello, matematico, professore associato all’Università dell’Insubria di Como e affiliata all’Università di Parigi-Saclay, descrive la sua passione per la matematica e per le scienze.
Eccellenza mondiale, conosciuta e stimata all'estero e in Italia dove, dal 2022, è presidente dell’Istituto Groethendieck, fondazione dedicata alla ricerca interdisciplinare delle scienze, che ha sede a Mondovì, nella sua città natale.
L'INTERVISTA
Professoressa Caramello, lei è nota in tutto il mondo per lo sviluppo della “teoria dei ponti”, quando ha capito che questa disciplina sarebbe diventata il suo mestiere?
"All’età di 13 anni, entrando in contatto con il concetto di dimostrazione, ho compreso che la matematica avrebbe potuto essere uno spazio di libertà nel quale esprimere la mia creatività, fino ad arrivare all’elaborazione di uno stile personale di ricerca, similarmente a quanto avviene per un artista o un compositore di musica, beneficiando al tempo stesso della possibilità di condividere le mie scoperte con gli altri su un piano di totale oggettività. Ho cominciato a fare ricerca molto presto, negli anni dell’adolescenza, elaborando approcci personali a problemi avanzati di combinatoria e teoria dei numeri. La mia passione è cresciuta così intensamente e velocemente che mi ha portato a saltare l’ultimo anno di liceo per iniziare il prima possibile lo studio della matematica all’Università".
Il contributo delle donne nelle STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica) è importante, ma ancora troppo spesso sottovalutato, è d’accordo?
"In ambito scientifico, non ha senso valutare un contributo sulla base del genere o di altre caratteristiche personali del suo autore. I risultati scientifici dovrebbero sempre parlare da sé, in maniera indipendente da chi li ha ottenuti. Tuttavia, ci sono aspetti della ricerca scientifica che non possono essere ridotti a pura oggettività: mi riferisco a metodi o strategie di ricerca, stili di ricerca scientifica, programmi a lungo termine etc.; in questi casi, valutazioni di carattere più soggettivo, eventualmente anche inficiate da pregiudizi di carattere sociologico, possono entrare in gioco. A questo riguardo la testimonianza del grande matematico Alexander Grothendieck è particolarmente illuminante. Egli scriveva: “... il mio stile nel lavoro matematico e il mio approccio alla matematica sono fortemente yin, 'emminili". È questa particolarità, mi sembra, apparentemente piuttosto eccezionale nel mondo scientifico, che rende anche il mio stile così riconoscibile, così diverso da quello di qualsiasi altro matematico.
Questo stile non ha mancato di suscitare resistenze, che vorrei definire “viscerali", cioè resistenze che non mi sembravano (e non mi sembrano oggi) giustificate da "ragioni" che si potrebbero definire “oggettive” o “razionali”. ... Questa resistenza non è altro che una reazione ('viscerale') a uno stile di approccio 'femminile' a una scienza (la matematica in questo caso). Tale reazione è comune e “nella natura delle cose”, in un mondo scientifico che, quanto e più di ogni altro microcosmo parziale della nostra società odierna, è intriso di valori maschili e dei sentimenti, atteggiamenti e reazioni (di avversione e rifiuto in particolare) che si accompagnano a tali valori".
Che esperienze ha avuto in questo senso nel corso della sua carriera?
"Personalmente, imputo le difficoltà che ho incontrato nel mio percorso accademico primariamente alla natura innovativa del mio lavoro, che ha subìto attacchi in quanto sovvertiva una tradizione di studi di circa quarant’anni, più che al fatto di essere donna. Tuttavia, alla luce delle parole di Grothendieck, non si può escludere che sia stata la natura stessa del mio approccio alla matematica, in piena continuità con il suo, ad aver generato resistenze.
Da un punto di vista etico e sociologico, sarebbe fortemente auspicabile avviare una riflessione collettiva non soltanto sul ruolo delle donne nella scienza ma sul valore della diversità in generale per il progresso scientifico. Questo è anche uno degli obiettivi che ci poniamo come fondazione Istituto Grothendieck".
Nel 2024 ha portato a Mondovì, sua città natale e luogo dove ha sede l’istituto Grothendieck, la quarta edizione del congresso mondiale sulla teoria dei topoi: di che cosa si tratta e perché è così importante?
"La teoria dei topoi è una teoria estremamente rilevante per il suo carattere unificante e transdisciplinare, che la rende di sempre maggiore interesse per specialisti in ogni campo della matematica, nonché per studiosi di altre discipline, quali l’informatica, la fisica, l’ingegneria, la filosofia etc. La teoria dei topoi come ‘ponti’, che ho introdotto e sviluppato fin dal dottorato, ha permesso di iniziare a sfruttare fattivamente questo potenziale unificante, già intuito da Grothendieck, attraverso tecniche che permettono di trasferire efficacemente conoscenze da una teoria matematica all’altra mediante lo studio di topoi ad esse associati. Attraverso tali metodi, diventa possibile realizzare traduzioni, spesso profonde e sorprendenti, tra teorie differenti anche in casi dove non è possibile collegare le teorie in modo diretto attraverso un ‘dizionario’; più in generale, questi metodi permettono di studiare le teorie matematiche in modo squisitamente interdisciplinare, attraverso una molteplicità di punti di vista diversi".
Che cosa lega i topoi all’intelligenza artificiale? E come potrà esserci utile per l’utilizzo dell’IA?
"Il nostro cervello è in grado di costruirsi un’immagine del mondo attraverso input di diversa natura, che vengono ad amalgamarsi per dare luogo a rappresentazioni interne della conoscenza che usiamo per orientarci, apprendere e prendere decisioni. Tali rappresentazioni sono prevalentemente di tipo qualitativo più che numerico/quantitativo. Ciò è possibile grazie alla capacità della nostra mente di identificare gli invarianti, ovvero quegli aspetti essenziali, “qualitativi”, delle cose, che non dipendono dal modo concreto/contingente con cui esse si manifestano. I topoi, grazie agli invarianti che essi supportano, permettono di modellizzare una grande quantità di operazioni della nostra mente, e di incarnare l’informazione in modo semantico/qualitativo più che numerico/quantitativo (come avviene nei sistemi di IA attuali), rendendo possibile lo sviluppo di nuove forme di intelligenza artificiale più strutturate, logicamente corrette e meno dispendiose energeticamente. L’utilizzo dei topoi come ‘ponti’ permette, inoltre, di mettere efficacemente in relazione differenti linguaggi o modalità di rappresentazione dell’informazione che gli esseri umani o gli agenti artificiali utilizzano, superando barriere comunicative che sarebbe difficile, se non impossibile, oltrepassare altrimenti".