Per questo incontro è stato necessario, giustamente, levarsi le scarpe e stare a piedi nudi sul tatami, ovvero sul tappeto in polimero plastico, un tempo realizzato con paglia intrecciata e pressata, dove si effettuano gli allenamenti ed i combattimenti di judo.
Uno sport relativamente giovane, fondato nel 1882 dal maestro giapponese Jigoro Kano (1860-1938), l’unico a poter indossare la cintura bianca doppia che contraddistingue il massimo livello del 12° Dan. Basti pensare, che mai alcun judoka ha raggiunto l’11° Dan, che rimane vuoto a rimarcare l’incolmabile abisso che lo separa dall’ideatore di questa disciplina dagli altri praticanti.
Doverosa premessa per presentare il maestro Antonio Carnebianca, atleta ed insegnante braidese della nobile arte marziale del judo, che lo scorso 2 marzo ha compiuto 82 anni. Esatto, avete letto bene. Non li dimostra affatto, complice una carica di energia che sembra immune al passare degli anni e ancora oggi è il punto di riferimento di tanti giovani che intendono lo sport come passione ed etica, indipendentemente dai risultati agonistici.
Tra l’altro può vantare il grado di cintura nera 8° Dan, il più alto e prestigioso riconoscimento sportivo per la categoria. Il conferimento di questo titolo è unico in provincia di Cuneo, ve ne sono solamente 2 in Piemonte e 10 in tutta Italia.
In bacheca Antonio Carnebianca conserva anche il premio “Nozze d’Oro con lo sport”, che gli è stato attribuito dall’UNVS (Unione Nazionale Veterani dello Sport) sezione “G. Giagnoni” di Pisa, gemellata con la sezione di Bra.
Un nome e una storia che sono una garanzia di serietà e passione sportiva, certificata dalle tante generazioni passate nel suo Dojo di Bra, ai vertici delle scuole italiane di judo, essendo annoverata tra le prime 30 del Paese. Un luogo di pratica che appare come un vero e proprio tempio dedicato al fondatore Jigore Kano e alla sua disciplina pensata per il progresso individuale e sociale dell’uomo.
Il senso del sacrificio, l’etica dell’impegno e della dedizione, il rispetto per l’avversario, questi sono i fondamenti alla base del suo pensiero. I legami che lo spirito sportivo instaura sono corde salde che nessuna Parca del destino può recidere.
Più che una passione, una ragione di vita, un modo di stare al mondo, che il maestro ha cercato e cerca da sempre di trasmettere ai ragazzi. A tutti ha insegnato i valori del judo e della vita: educazione, coraggio, sincerità, onore, modestia, rispetto, controllo di sé, amicizia (e scusate se è poco!).
Con un monito: «La violenza non fa parte del judo. Io ho sempre cercato di creare uomini e non campioni e così è successo. Voglio far capire ai ragazzi che non è importante da dove parti, ma dove vuoi arrivare».
Il judo gli ha dato tanto ed ecco perché vale la pena praticarlo: «Il judo serve a sviluppare la propria energia interiore. È un momento di pura libertà che sgombra la mente e migliora la condizione fisica. Apporta tanto benessere psicologico e lo si può fare a qualsiasi età».
A chi gli chiede che cosa vede volgendo lo sguardo indietro, la sua risposta è: «L’amore per la mia disciplina, il judo». Parola di chi ha passato una vita ad insegnare e praticare judo. E che a 82 anni ha ancora voglia di stare sul tatami. Tanti auguri sensei!