Attualità - 17 febbraio 2025, 06:58

Donne in Cammino per la Pace di Mondovì in piazza per chiedere la liberazione dall’apartheid dei gazawi e dei palestinesi della Cisgiordania

"Ogni mercoledì pomeriggio siamo al Caffè sociale a ricamare i nomi dei bambini e delle bambine mortə a Gaza. Mentre ricamiamo parliamo e costruiamo nuovi modi possibili: aspettiamo chiunque intenda farsi portavoce di giustizia sociale e di pace"

Donne in Cammino per la Pace di Mondovì in piazza per chiedere la liberazione dall’apartheid dei gazawi e dei palestinesi della Cisgiordania

Riceviamo e pubblichiamo:

Secondo il rapporto annuale pubblicato a gennaio 2024 dall’Acled, l’organizzazione non governativa che si occupa di monitorare i conflitti nel mondo, negli ultimi tre anni questi sono quasi raddoppiati.

È recente la tregua in corso nella Striscia di Gaza, così come la ventilata ipotesi delle linee guida per un futuribile piano di pace in Ucraina. Se da un canto è evidente la precarietà di questi tentativi, dall’altro anche degli altri conflitti in corso si parla poco e a intermittenza.

Avendo osservato da tempo l’inefficacia del ruolo degli organismi internazionali che dovrebbero occuparsene, crediamo che molte persone, come noi, si siano convinte che ormai il vero business sia la guerra, che è il settore che garantisce meglio ritorni significativi in un periodo di crisi.

Purtroppo le conferme ci arrivano da un interessante dossier in tre puntate recentemente elaborato dal sito atlanteguerre.it. 

I dati analizzano i principali fornitori di armi in Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia. Il risultato ci dice che l’industria bellica è cresciuta in modo significativo, portando a una progressiva transizione delle aziende civili verso il militare: molte di queste appartenevano al settore automobilistico. Spionaggio e sicurezza sono i settori che hanno suscitato il più recente interesse da parte delle aziende intenzionate a trasformarsi.

La progettazione, la produzione e la commercializzazione di armi e di sistemi di cyber security ha da sempre sollevato grande preoccupazione per l’aspetto etico che investe. Il controllo democratico sulla gestione e sulle conseguenze è una richiesta che sta alla base della nascita di gruppi di cittadinə che non vogliono esserne esclusə. 

Il dossier, infatti, dimostra che molte delle armi prodotte in Italia vengono esportate nei conflitti internazionali e anche in paesi in cui i diritti umani vengono violati. Per non addentrarci, poi, nella citazione di prodotti nocivi all’ambiente come il Pfas, ad esempio.

Strettamente collegato alle preoccupazioni sopra espresse è il recente dibattito sulla legge 185/1990, che regola l’esportazione di armi italiane, imponendo la trasparenza sulle vendite all’estero. Il Parlamento sta affrontando una proposta che ne ridurrebbe la capacità di controllo, limitando gli obblighi di trasparenza bancaria. È evidente che i flussi delle vendite sarebbero sempre più difficili da rintracciare.

Oltre alla povertà e alle catastrofi naturali, sono le guerre che danno inizio al fenomeno migratorio. Siamo convinte che ignorare il collegamento fra conflitti e migrazioni non potrà che produrre politiche di ansia securitaria, decisamente inefficaci a risolvere entrambi i fenomeni.

Anche per questo siamo tornate in strada a chiedere che la tregua a Gaza sia un vero passo verso la liberazione dall’apartheid dei gazawi e dei palestinesi della Cisgiordania. Siamo in strada a chiedere che il piano di pace per l’Ucraina sia elaborato da tutti i protagonisti coinvolti. Chiediamo a chi legge i nostri cartelli di pace che ci aiutino a far sì che la guerra diventi l’affare meno remunerativo che si possa intraprendere.

Ogni mercoledì pomeriggio siamo al Caffè sociale a ricamare i nomi dei bambini e delle bambine mortə a Gaza. Mentre ricamiamo parliamo e costruiamo nuovi modi possibili: aspettiamo chiunque intenda farsi portavoce di giustizia sociale e di pace.

Donne in cammino per la pace di Mondovì 


 

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