Attualità - 05 febbraio 2025, 08:30

Bra, grande festa per la comunità salesiana in onore di don Bosco, padre, maestro ed amico [FOTO]

Domenica 2 febbraio Messa con il vescovo di Ivrea monsignor Edoardo Aldo Cerrato e le riflessioni del direttore don Riccardo Frigerio

Festa grande domenica 2 febbraio per i Salesiani di Bra in onore di san Giovanni Bosco, con gli spazi dell’istituzione educativa di viale Rimembranze pacificamente invasi non solo da ragazzi e ragazze, ma anche da quanti hanno vissuto gli anni più belli della gioventù tra le aule della scuola e tra i cortili dell’oratorio.

E quest’anno l’appuntamento è stato ancora più solenne con la presenza del vescovo di Ivrea, monsignor Edoardo Aldo Cerrato, che ha saputo far capire che cosa è stato don Bosco per chi lo ha incontrato, partendo da quel sogno dei 9 anni che cambiò la vita di Giovanni.

«Don Bosco voleva il bene dei giovani, agendo verso di loro con chiarezza, amorevolezza e pazienza - ha detto nell’omelia -. Il suo affetto verso i ragazzi ha saputo incoraggiarli davanti alle difficoltà, diventando per loro un padre e un maestro».

La giornata è iniziata con la Messa davanti ad una nutrita assemblea. La benedizione solenne è stata preceduta dal rinnovo delle promesse dei salesiani cooperatori. Tra i banchi anche il sindaco di Bra, Gianni Fogliato a sottolineare l’importanza dell’opera salesiana in città.

«Formare onesti cittadini e buoni cristiani», la missione a cui il Santo si dedicò fino alla morte. San Giovanni Bosco, un educatore eccezionale, dotato di un’umanità traboccante di bontà, alla quale si aggiungeva il pregio di una conoscenza eccezionale dell’animo, maturata nel continuo contatto con i giovani e con persone di ogni età e condizione.                

Accanto alla festa eucaristica, la memoria di don Bosco si è declinata anche nel più puro stile dell’oratorio, tra giochi, musiche e la tradizionale merendina. Don Bosco amava i giovani e aveva l’abitudine di distribuire pane e mortadella ai ragazzi. Un gesto semplice, ma profondo: quando la mortadella era merce rara e costava tanto, voleva che si festeggiassero i momenti lieti e di allegria con una bella fetta di mortadella nel pane.

La tradizione del “panino di don Bosco” è diventata così un simbolo di generosità e cura per gli altri, valori che hanno accompagnato anche il pranzo comunitario, preparato secondo il canone dell’accoglienza salesiana.

«Cari giovani, io con voi mi trovo bene»: è la frase di don Bosco che campeggia nel cortile della famiglia salesiana braidese, testimone della sua missione dal 1959. Da allora, sacerdoti, laici consacrati, educatori, ex allievi e cooperatori sono al servizio di bambini e ragazzi della città, operando con fede e dedizione nell’Istituto San Domenico Savio, che sorge nel quartiere Oltre-ferrovia.

A sostenerli è l’Auxilium Christianorum (l’Aiuto dei Cristiani) che era continuamente invocata da don Bosco. Il grande educatore di Valdocco pose la sua opera di sacerdote e fondatore, sin dall’inizio, sotto la protezione e l’aiuto di Maria Ausiliatrice, alla quale si rivolgeva per ogni necessità, specie quando le cose s’ingarbugliavano.

Tra le massime che continuano a ispirare insegnanti, studenti e genitori, spicca il suo insegnamento: «Fate tutto per amore, nulla per forza». Un messaggio chiaro, semplice ed attuale quello di don Bosco, un santo non solo da ammirare, ma da imitare.

I Salesiani e don Bosco: voci e testimonianze in prima persona. La parola a don Riccardo Frigerio, direttore dell’opera salesiana di Bra

Don Bosco è un santo universale e nessuno che abbia avuto modo di conoscere la sua figura può rimanergli indifferente. Dai giovani del primo Oratorio di Valdocco fino ai ragazzi che oggi frequentano le innumerevoli opere salesiane sparse nei cinque continenti, tutti hanno un rapporto speciale con il Padre e Maestro della Gioventù. 

Per saperne di più, abbiamo intervistato il direttore dei Salesiani di Bra, don Riccardo Frigerio. Ne è nata un’esperienza dai tratti tipicamente salesiani: disponibilità, vicinanza e sorriso.

Chi è don Bosco per te?

«Un padre che vuol bene ai suoi figli e un modello di vita per camminare alla sequela di Gesù».

Come l’hai conosciuto?

«I Salesiani avevano una scuola media nel paese dove abitavo (Cuorgnè) e generalmente con la famiglia frequentavo la chiesa la domenica, pur non essendo allievo, mentre lo era mio fratello. Nell’estate tra la quarta e la quinta superiore, mentre era allieva mia sorella minore, ho cominciato quasi per scherzo, su invito di mia madre, a dare una mano in oratorio, e non ne sono più uscito. Ho divorato una biografia scritta da Teresio Bosco e mi sono innamorato di quel prete così originale nella sua missione, che vedevo ripresentata dal vivo nell’oratorio».

Perché hai deciso di farti salesiano?

«Dopo un po’ di esperienza da animatore, ricordo come fosse ieri che un ragazzo, forse con intento scherzoso, mi chiese se avevo intenzione di farmi salesiano, e a quella domanda risposi ovviamente d’istinto: “Figurati!”. Ma nei giorni successivi ci ho ripensato seriamente e mi sono accorto che non avevo in realtà motivazioni per dire di “no” a questa forma particolare di vocazione. Certamente ha influito il buon esempio di alcuni salesiani che erano allora nell’Istituto di Cuorgnè».

Qual è stato il tuo percorso vocazionale?

«Nella normalità di ogni giovane salesiano, si passa un primo anno in noviziato per verificare la propria vocazione, infatti solo al termine si fa la “professione” da salesiano (normalmente per bienni successivi, tre volte). Dopo il noviziato sono stato inviato alla comunità di Roma San Tarcisio per gli studi di filosofia, che si concludono con il Baccalaureato e sono seguiti dal tirocinio pratico. Qui il punto più personale e estemporaneo: essendo la missione in Nigeria legata alla nostra circoscrizione piemontese, il superiore del tempo mi chiese se fossi disponibile a svolgere il tirocinio nella comunità nigeriana di Akure invece che qui in Piemonte-Valle d’Aosta. Avendo già concluso gli studi civili prima del noviziato e cavandomela con la lingua inglese (avevo vissuto il quarto anno di liceo negli Stati Uniti), anche stavolta “non avevo in realtà motivazioni per dire di no” a questa proposta. L’aspetto più problematico fu annunciarlo a casa, ma non ci furono obiezioni, a parte qualche timore per la situazione politica della zona. Rientrato dal tirocinio biennale, ho svolto a Torino Crocetta gli studi di Teologia, fino all’ordinazione diaconale nel 2004. Successivamente, per due anni ho frequentato gli studi di Licenza in Teologia Morale alla Facoltà Interregionale di Milano, e nel maggio 2005 sono diventato sacerdote, mentre ero di comunità a Pinerolo Monte Oliveto (sede del noviziato). Poi ci sono stati gli anni di Novara, Ivrea, San Benigno e infine di Bra».

C’è stata qualche persona che è stata un nuovo “don Bosco” per te?

«Sicuramente il salesiano che ha fatto brillare la figura di don Bosco ai miei occhi fu inizialmente il confratello che era incaricato dell’oratorio di Cuorgnè, verso cui ho sempre avuto riconoscenza e con cui anche successivamente abbiamo condiviso molto. Ci sono poi i confratelli che mi hanno aiutato a crescere con l’esempio e come confessore stabile, perché la regolarità della Penitenza è stata per me una bella “abitudine” cominciata col noviziato. Tra quelli conosciuti più sui libri che di persona, certamente San Callisto Caravario (nativo di Cuorgnè), martire in Cina».

Quali sono le caratteristiche di don Bosco che più ammiri?

«Come dice la seconda lettura della Messa a lui dedicata, l’affabilità, cioè saper entrare in un rapporto empatico con persone molto diverse. La preghiera continua (che viveva senza tante manifestazioni esterne, tanto da essere accusato di pregare troppo poco). La fiducia nella Provvidenza e in Maria Ausiliatrice, che ottenne per lui parecchi miracoli dal Signore».

La sfida dei Salesiani in questo nostro tempo qual è?

«La scristianizzazione della società porta a tanti cristiani battezzati che non sanno neppure fare il segno di croce, che non sanno molto dei contenuti di fede e che mal sopportano i sacramenti. A volte sembra più difficile evangelizzare questi che quanti non sono cristiani o addirittura si dicono atei. I giovani però hanno tante aspirazioni che cercano di esprimere a volte in vari modi: vogliono un mondo migliore e più attento al clima e manifestano nei cortei, vogliono essere “visti” dagli altri e dagli adulti e si mettono in mostra su TikTok, sembrano attenti alle cose materiali e si danno da fare nel volontariato… Credo che i Salesiani siano chiamati a fare maturare questi semi di bene (dati dal Signore), assicurando la fiducia ai giovani e aiutandoli nel trovare le strade giuste. Imprescindibile, ovviamente, è aiutarli ad alzare lo sguardo, per incrociare gli occhi di Dio».

Come si realizza nel concreto l’essere Salesiani al fianco dei ragazzi?

«Prima di tutto bisogna essere al loro fianco, e non è scontato, poiché i salesiani sono numericamente pochi e spesso hanno tanti incarichi accumulati. Quando sei con loro devi mettere da parte le tue “categorie mentali”, con cui tendi a incasellare i giovani “per tipo”, e scoprire invece la relazione personale: gusti, aspirazioni, condizioni familiari, sogni. Senza dimenticare che seppur oggi sei salesiano, anche tu sei stato adolescente e giovane, e perciò fare memoria di quel tempo per “metterti nei loro panni”. Credo che sia importante non voler “catturare” la loro attenzione, ma essere te stesso avendo qualcosa/Qualcuno di bello da dire».

A che cosa devono prestare attenzione maggiormente i giovani oggi?

«Ci sono mille “agenzie” che vogliono appropriarsi del loro tempo, del loro futuro, persino dei loro soldi, e per fare ciò usano voci suadenti (la musica, lo sballo, i vizi) che possono portarli a fare scelte da cui non si torna più indietro. Penso che dovrebbero cercare un riferimento nel mondo adulto che generi fiducia e simpatia, non per “delegare” le scelte, ma per non sentirsi soli nel mondo di fronte alle decisioni. La loro voglia di cambiare il mondo (ogni generazione l’ha vissuta) può dare fastidio ai cosiddetti “poteri forti”, che cercano di omologarli e zittirli».

In che modo i Salesiani possono essere dei nuovi don Bosco per i giovani?

«Più volte nei recenti Capitoli Generali (riunioni di rappresentanti di tutta la Congregazione, che si svolgono ogni sei anni) abbiamo riflettuto su questo tema ed è emerso che bisogna essere innanzitutto dei buoni salesiani, come don Bosco ci ha voluti. Testimoniando il primato di Dio nella nostra vita e la fraternità tra confratelli come stile di famiglia, coinvolgendo giovani e laici nel trovare le risposte ai problemi che la società pone. Le differenze generazionali in comunità non aiutano molto, ma è innegabile che la ricchezza dei confratelli più anziani è ben maggiore delle difficoltà dovute all’età».

E in che modo don Bosco ispira il tuo lavoro di direttore?

«Sicuramente è un riferimento quotidiano, sia nella preghiera che nell’operare con confratelli, collaboratori e giovani. Spesso è una invocazione quasi estemporanea, altre volte leggo alcune pagine delle sue “Memorie Biografiche”, sempre cercando di interpretare quali risposte avrebbe dato ai problemi di oggi. Lui si è consumato anche nella salute a causa dei tanti impegni, senza trattenere nulla per sé. Ma ci ha anche consigliato di non strafare, e di curare la salute, per cui spero di realizzare il suo invito: “fate il bene, ma curate di poterlo fare a lungo”».

Se potessi incontrare don Bosco, cosa vorresti dirgli o chiedergli?

«Penso che la prima parola sarebbe un ringraziamento, perché mi ha cambiato di sicuro la vita. Da giovane mi immaginavo un professionista (ho studiato Ingegneria Gestionale) o anche di servire in Aeronautica (ho partecipato alle selezioni per Pozzuoli), ma tutto mi è sembrato polvere al confronto della vita salesiana che ho vissuto finora. Non sono mancate le sfide, ma rifarei ogni passo. Gli chiederei di darmi una mano ad avere ancora più fiducia nella Provvidenza e nell’essere più fedele ai miei impegni sacerdotali, per poter essere un migliore strumento per il Signore che vuole raggiungere i giovani».

Un augurio a Bra ed ai braidesi per la festa di don Bosco?

«La città di Bra gode di tante associazioni e iniziative che rendono vivo il territorio e la società. Don Bosco ha saputo raccogliere attorno all’urgenza della “salvezza delle anime” dei suoi giovani una serie di collaboratori (alcuni poi diverranno Salesiani Cooperatori) di varia provenienza e competenza. Auguro ai braidesi di rimboccarsi le maniche con l’obiettivo comune di rendere la città bella e vivibile per bambini, ragazzi e giovani, offrendo occasioni di incontro, relazione e impegno».

Silvia Gullino

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