La cultura come asset strategico per la crescita: se ne parlerà il prossimo 8 febbraio alle 16 in un incontro a Villa Tornaforte Aragno a Cuneo. Ospite Michele Coppola, direttore generale delle Gallerie d’Italia.
L’Italia è da sempre al vertice nella World Heritage List dell’Unesco, disponendo di uno dei più importanti patrimoni artistico-culturali del mondo: secondo le rilevazioni di Istat, nel 2021 erano 4.292 le strutture espositive permanenti aperte al pubblico, delle quali il 77,8% musei e gallerie, il 15,4% monumenti o complessi monumentali e il 6,8% aree o parchi archeologici.
A questo immenso patrimonio si aggiungono oltre 85.000 chiese soggette a tutela, 12.900 biblioteche, 101 archivi di Stato e migliaia di dimore storiche private. Un vero e proprio heritage asset che, come segnalato dalla Corte dei Conti nel dicembre del 2020,
opportunamente valorizzato e utilizzato potrebbe generare a sua volta ricchezza e occupazione, grazie a “una visione strategica nazionale che sappia riconsegnare al Paese e alla collettività un patrimonio culturale risanato anche attraverso una minore frammentazione delle risorse finanziarie dedicate e un efficace pianificazione e monitoraggio degli interventi necessari”.
A fronte di questa enorme risorsa, secondo i dati Eurostat, nel 2022 gli occupati del settore culturale in Italia erano 771.000, il 3,5% del totale degli occupati, un livello simile a quello di Grecia e Ungheria e inferiore a quello di Olanda (5,4%), Svezia (4,9%), Germania, Francia, Austria e Portogallo (4%); secondo l’Istat (che non considera nel suo computo gli occupati che hanno un lavoro culturale in un settore non culturale), sono 599.650, pari al 2,6% del totale degli occupati italiani; per il rapporto “Io sono cultura 2023” di Fondazione Symbola e Unioncamere (che adotta una perimetrazione differente), i lavoratori dell’intera filiera sono 1.490.738 (5,8% del totale degli occupati).
Benché il patrimonio artistico e culturale sia spesso presente nella narrazione politica (persiste dialetticamente l’idea che esso costituisca “il petrolio italiano”), il tema dell’occupazione culturale “patisce” ancora di scarsa riconoscibilità e di debole legittimazione sociale.