Un nuovo interessantissimo volume di poesie, “Sbaluch ëd lerme”, ci viene regalato dalla poetessa Elisa Revelli Tomatis, carrucese che da tempo vive a Cuneo. La sua profonda e connaturale forza lirica, unita ad uno studio meditato e intenso della letteratura piemontese dei secoli scorsi, l’ha condotta a produrre una poesia di rara intensità. La poetessa riscopre vocaboli desueti, ma con potenza di significato e una musicalità vibrante e suggestiva. Non è male richiamare che il piemontese affonda le radici addirittura a tempi precedenti al “Cantico delle creature” di San Francesco, attraverso i “Sermon subalpin” che risalgono al sec. XII- XIII ed erano le prediche dei parroci in dialetto per farsi comprendere meglio dai fedeli.
Elisa Revelli ha vinto premi prestigiosi in Concorsi nati nel Monregalese e poi ben più lontano, in tutta la nostra Regione. Dal “Salutme ‘l Mòro”, a “Carù: pòrta dla Langa”, a “Ròche dij përtià, attività letterarie vagliate da personalità quali il prof. Bodrero, il prof. Rosso, il dott. Brero, quindi di giudizi molto selettivi. Vennero poi il Renato Canini, Cesare Pavese, il Pinin Pacòt, Ël tò almanach. Nel 2006 Elisa diede alle stampe la prima monografia “Cheur masnà”, cui seguì, l’anno seguente “Tralus ëd cel”, quindi, nel 2009 “Spovrin” ed ancora nel 2012 “A pont cros”, nel 2015 “A la bela stèila” con una acquaforte di Francesco Franco. “Pan ëd barbarià” vide le stampe nel 2018. E nel 2022, “Onde”. Non è male citare le antologie con opere pure di Felicina Bonino Priola, Marita Bellino e Ferdinanda Susa: “Gate marele” nel 2012 e “A gatagnao” nel 2020.
L’ultimo volume si apre al lettore con una prefazione del critico e poeta Remigio Bertolino.
«Cadenzate negli anni, le raccolte poetiche di Elisa Revelli Tomatis hanno lasciato una luminosa traccia nel segno, per dirla con Keats, della verità e della bellezza. Elisa, a mano a mano, amplia ed approfondisce la sua tematica per cerchi concentrici. Come un lavoro ad incastro, musivo, ogni opera ha la bellezza vaporosa e lieve di una nuvola soffusa di luce. Nell’ultima raccolta Sbaluch ëd lerme (Bagliore di lacrime) la poetessa, ispirata da una musa di sorprendente levità, tocca vertiginose altezze di lirismo. Il presente e il passato si intrecciano, si richiamano, si rimandano per evocazioni, echi, specchi interiori. Momenti di estasi, di rapimento di fronte al fulgore della natura, di fronte alla grandezza e al mistero del creato si alternano ad altri di visioni e scorci più quotidiani…. La raccolta è suddivisa in cinque sezioni. Si apre con quella che dà il titolo all’opera, Sbaluch ëd lerme (Bagliore di lacrime); la seconda è sintetizzata da due nomi che richiamano i dati auditivi, Vos e vent (Voci e vento), i testi proseguono con Gust ëd mar (Sapore di mare) e A la lus dël temp (Alla luce del tempo). Elisa ci regala, in chiusa, con la sezione A lun-a avisca (A luna accesa), un emozionante viaggio nello spirito orientale. Il titolo del libro si presta a più interpretazioni: può connotare sia il momento della gioia in cui le lacrime sgorgano dalla fonte dell’anima con tutta la grazia della dolcezza e della bellezza, ma esso può inoltre tratteggiare un momento di dolore, quando le lacrime scendono sulle guance in rigagnoli di tristezza. I testi palpitano di un intimo lirismo, di delicate sfumature interiori. Sono frammenti dell’anima, epifanie luminose, squarci di infinito. Nella prima sezione il leitmotiv delle lacrime è quanto mai ricorrente, trama di sé i vari testi, innesca echi e rimandi. Elisa dedica a quelle “onde sbalucante” (onde rilucenti) una serie di splendide metafore, costruite al genitivo; esemplari sono: “giòja ’d lus” (gemma di luce), “silensi ’d làcrime” (silenzi di lacrime), “lerme ’d rosà ” (lacrime di rugiada), “ lerme ’d giassa” (lacrime di ghiaccio)… Di questa potente figura retorica che identifica i due termini della similitudine, Ortega y Grasset affermava: «La sua è la forza più grande che l’uomo possieda. Essa confina con l’incantesimo ed è come uno strumento dimenticato da Dio dentro le sue creature». Tutte le sezioni si snodano all’insegna di una lirica intensa, rastremata, fulgida. Nell’ultima, A lun-a avisca (A luna accesa), Elisa ci regala una corona di haiku (poesia giapponese brevissima) di straordinaria potenza espressiva e di profonda immersione nell’arcano mondo della natura. Nel Cenacolo monregalese vi sono due poeti grandi sperimentatori di haikai: Carlo Regis (1929-2017) e Nicola Duberti. Essi con le loro raccolte hanno tracciato un originale solco in questo genere di poesia di folgorante concentrazione e di estrema sintesi. In queste fulminee composizioni, la poetessa si dedica alla contemplazione della luna, ne indaga le varie facce, le metamorfosi; ritorna, anche qui, il leitmotiv della raccolta, le lacrime, come in questi versi: “Crisantem ën fio’, / lerme ’d rosà sle mistà; / fròla la vita. (Crisantemi in fiore, / lacrime di rugiada sulle effigi; / fragile la vita)”. Insomma, in questa nuova raccolta, nel segno di una aerea levità, Elisa raggiunge il cuore delle cose, opera magiche trasformazioni con l’uso di metafore forgiate con una inesauribile fantasia, crea paesaggi dell’anima, coglie nella fuga del tempo qualche favilla di eterno. Infine, vorrei sottolineare un aspetto grafico che non va dimenticato perché rende ancora più prezioso il libro: la copertina è opera pittorica di Elisa, come pure le immagini che ne scandiscono le sezioni. Un angelo, in diagonale, a mani giunte sembra sospeso in una cascata di luce: le lacrime del mondo?». Per l’impaginazione: molto comoda con le traduzioni italiane a fianco di pagina e inserite varie tavole gradevoli di disegni della poeetessa.