Si è chiuso con un’assoluzione "perché il fatto non costituisce reato" il procedimento a carico del gestore dell’impianto di downhill di Viola St. Grèè accusato di fronte al tribunale di Cuneo di omicidio colposo. Nel 2022 Andrea Pastor, biker residente a Buggio frazione di Pigna in Val Nervia, perse la vita sulla pista “saltimbanco” cadendo con la bicicletta e schiantandosi sulla pista di atterraggio. Inutili, purtroppo, le lunghe manovre messe in atto per salvargli la vita.
Nel corso dell’istruttoria, la Procura di Cuneo ha cercato di dimostrare che quel tragico incidente si sarebbe potuto evitare. L’impianto accusatorio è stato infatti costruito attorno alla regolarità o meno delle due rampe: in particolare il pubblico ministero, la dottoressa Alessia Rosati, titolare del fascicolo, ha sostenuto che avrebbero dovuto essere collegate da una rampa intermedia, in modo tale che se il biker avesse avuto un’indecisione al momento del salto, non sarebbe caduto nel “vuoto” centrale.
Un processo difficile, anche perché non esiste normativa che regoli l’attività di downhill. Il pubblico ministero, che ha chiesto la condanna a due anni di reclusione per l’imputato, ha sostenuto che il gestore avrebbe dovuto predisporre misure di sicurezze idonee. Il magistrato ha infatti parlato di regole cautelari violate, quali l’obbligo informativo e l’ obbligo di garantire sicurezza dell’ostacolo: “Non si può dire che Pastor entrando nell’impianto e pagando il biglietto se la sia cercata .- ha concluso -. Nemmeno si può dire che sapeva che sarebbe morto ed ha accettato il rischio”. Ad associarsi all’accusa, anche la parte civile, rappresentata dall’avvocato Bianca Gasco, che difende la moglie e il figlio della vittima e che ha depositato le richieste di risarcimento: "Quando Pastor è morto suo figlio aveva otto anni - ha detto -. Il bambino la mattina ha salutato suo padre e la sera lui non è più tornato. È stato distrutto un nucleo famigliare".
Quanto alla posizione della difesa dell’imprenditore, gli avvocati Leonardo Roberi, Paolo Adriano e Emanuele Rossi hanno invece sostenuto che l'imputato null’altro avrebbe potuto fare e che quell’incidente mortale fosse in realtà dipeso da un errore umano. “Quella pista era perfetta - hanno sostenuto-. Nel downhill un ripensamento non può esserci: se imbocchi la pista devi andare. Dal nostro punto di vista, quel salto era conforme alle regole, ben costruito, ben segnalato e soprattutto facoltativo”.
Al termine dell’udienza, i difensori Roberi, Adriano e Rossi si sono detti soddisfatti dell’epilogo processuale: “Ci riserviamo di leggere la motivazione della sentenza. Esprimiamo soddisfazione per l'assoluzione. Il gestore della pista non può rispondere, se il percorso è sicuro, del rischio tipico dello sport che l'utente affronta nel momento in cui decide di porre in essere un salto del tutto facoltativo. Questi salti sono ammessi dal regolamento e sono normalmente presenti nelle piste di downhill. Nel caso di specie era anche ben segnalato, ben visibile e protetto da materassi. È una vittoria non solo per Viola Saint Gree, ma per tutti i gestori e la disciplina sportiva in questione”.