“Per piangere c’è tempo, per piangere c’è sempre tempo”, è questa la frase che la moglie e i parenti hanno voluto scrivere sul manifesto funebre di Massimo Cotto.
Saranno tante le lacrime e tanti i ricordi delle persone che saluteranno per l’ultima volta Massimo nella camera ardente allestita nel Teatro Alfieri e, domani, lunedì 5 agosto, ai funerali nella parrocchia del Don Bosco ad Asti. Sì, perché Massimo ha riempito tutto ciò che lo circondava di bellezza, di impegno e di passione lasciando il mondo migliore di come lo aveva trovato.
Massimo era un maestro e un esempio pur mai atteggiandosi come tale, con quella sua capacità di far sembrare semplici le cose più difficili e la sua dote innata nel saper tirare fuori il meglio nelle interviste.
Tutti volevano farsi intervistare da Massimo Cotto perché sapeva mettere a suo agio l’interlocutore riuscendo ad arrivare nel profondo dell’anima anche dei personaggi più spigolosi. Quelli del giornalista e dello speaker radiofonico, gli stessi mestieri che svolgo ogni giorno anche io, sono ruoli di servizio, come ha ricordato Linus nel proprio “coccodrillo” appena saputo della morte dell’amico.
Linus ha ricordato come buona parte degli intervistatori mettano al centro loro stessi nel momento in cui intervistano qualcuno, Massimo no, pur potendoselo permettere, forte di competenze e capacità rare. L’astigiano era completamente al servizio dell’intervistato, con umiltà e attenzione.
Quella che è probabilmente è stata l’ultima intervista rilasciata da Massimo Cotto è stata realizzata per Radio Alba ad Andrea Vico, al secolo Andrea Chi?, a poche ore dal malore improvviso che il 9 luglio se lo è praticamente portato via lasciando solamente il corpo a lottare per tre settimane.
La parte più atroce di questa triste vicenda è nel racconto della moglie Chiara Buratti che, malata da tempo, non ha potuto assistere il marito che le è sempre stato vicino nelle fasi più dure vissute tra un ospedale e l’altro. Il fato a volte sa essere veramente beffardo, per non dire bastardo.
Massimo è stato e sarà sempre uno dei migliori di noi, una persona capace di realizzare i propri sogni mai mettendo da parte l’amore per la moglie, per il figlio, per la madre, ma anche per la sua comunità, quella astigiana, che ha seguito con spirito di servizio mettendo la propria competenza a disposizione per rendere la città di Alfieri, di Faletti e, oggi, più che mai, di Massimo Cotto, una città più bella e vivibile.
L’amore era anche per il Toro, anche questo ci accomunava. Sì, le persone come Massimo, come il sottoscritto, nascono e possono solo diventare tifosi granata per la propensione a soffrire, a incavolarsi, a mai dare nulla per scontato, una strada in costante salita, puntinata di pochissime soddisfazioni e di costanti e cocenti delusioni.
Il dna granata è questo, è sofferenza, ma è anche sentirsi diversi e sentirsi fratelli anche a migliaia di km da casa, uniti dai fallimenti e dalle delusioni più che dagli inesistenti trionfi. Ricordo che la prima volta che parlai con Massimo al telefono chiedendogli scusa per l’attesa di due minuti, prima di partire con l’intervista, lui mi rispose: «Non preoccuparti, sono del Toro, è tutta la vita che aspetto di vincere qualcosa, morirò quando il Toro vincerà uno scudetto».
Purtroppo, non è andata così né per te né per il Toro che probabilmente uno scudetto mai lo rivincerà, ma poco cambia perché noi siamo fatti così, pieni di sogni e di speranze, nonostante tutto.
“Per piangere c’è tempo, per piangere c’è sempre tempo”. Sì Massimo e ora è il tempo di piangere, ma piangere con un sorriso ricordando una delle persone migliori che abbiamo conosciuto, una delle poche in grado di lasciare il Mondo migliore di come lo avevano trovato.