Copertina - 28 luglio 2024, 00:00

Massimo Marengo: l’imprenditore albese pioniere delle rinnovabili ora alla guida di Italia Solare per il Piemonte

Cinquantacinque anni, ha trasformato l’azienda di famiglia in una società di engineering specializzata in impianti per la produzione e la gestione intelligente dell’energia. Intanto è alla testa delle duecento aziende della Granda associate a Confapi

Massimo Marengo: l’imprenditore albese pioniere delle rinnovabili ora alla guida di Italia Solare per il Piemonte

Età, famiglia, professione. Può presentarsi per noi?

Ho 55 anni, sono sposato con Franca e padre di Giulia e Alessia. Ho un diploma da perito elettrotecnico e studi successivi negli ambiti gestionale e marketing. Dopo il servizio militare ho frequentato per un anno i corsi della Cal State Northridge, università statale della San Fernando Vally, a Los Angeles, California. Sono un imprenditore, fondatore e titolare delle aziende Albasolar, Albasystem e AspecHome, parte del gruppo fondato dalla mia famiglia a partire dalla Emme.Pi. Elettroforniture, dove sono ancora impegnati i miei genitori Silvano e Giovanna, insieme a mia sorella Daniela. 

 

Quando ha iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia?

Molto presto. Già a 13 e 14 anni ci trascorrevo l’estate. Per volere di mio padre ho avuto la fortuna di ricoprirvi tutte le mansioni, dalla consegna dei materiali di magazzino a quello di operaio su decine di cantieri, con tanti lavori anche in Ferrero e Miroglio. Una gavetta che oggi ritengo preziosa, indispensabile per avere una visione ampia su tanti aspetti del nostro lavoro. 

 

Cosa significa essere un imprenditore in un territorio come quello di Alba?

Vuol dire confrontarsi con eccellenze incredibili. Nomi che non sono soltanto quelli di Ferrero, Miroglio, della famiglia Stroppiana (Mondo, ndr) o delle tante cantine di eccellenza delle nostre colline, ma una serie di imprenditori che hanno fatto la storia di un territorio. E’ un confronto che rischia di metter soggezione, ma è soprattutto un grosso stimolo. Vuol dire avere di fronte ogni giorno l’esempio di persone che ce l’hanno fatta essendo partite da zero. Questo nel mio caso vale anche per mio padre, ovviamente. E’ una sensazione che qui si sente, comunque, si respira. La presenza di un’ecosistema che ha contribuito alla crescita collettiva.

 

Ed essere un pioniere delle rinnovabili? 

Nei primi anni Duemila si è iniziato a parlare in modo più approfondito di energia rinnovabile. Io ero alla ricerca di nuovi stimoli professionali, di orientare in modo diverso l’attività dell’azienda impiantistica di famiglia e quella mi è subito parsa la strada giusta. Mi ha sempre affascinato il tema di come convertire l’energia solare in elettricità. Ho iniziato a interessarmene ed è nata Albasolar. 

 

Era l’epoca dei primi incentivi. 

Era l’epoca del Conto Energia, che diede un forte impulso alla crescita del settore in Italia, salvo farlo poi implodere. Prima si può dire che non esistesse una vera e propria industria delle rinnovabili e del solare. Nelle sue cinque versioni il Conto Energia ebbe invece il pregio di far crescere e decollare il fotovoltaico in Italia. Purtroppo le varie forze politiche non furono però capaci di gestire un input che veniva in realtà dall’Europa. Si commise già allora l’errore poi ripetuto per il Superbonus, per cui l’incentivo, per come era formulato, finì per creare una grande bolla speculativa. Non si erano previste regole automatiche di calmierazione nel caso il sistema fosse sfuggito di mano, un meccanismo automatico che riducesse le quote di incentivo. Nel 2012 quella bolla implose, lo Stato corse ai ripari, retroattivamente, facendo in sostanza fallire il 95% del mercato. Tutta la filiera italiana è collassata. Fu un danno enorme e una gigantesca occasione mancata. Noi ci salvammo, per quella che fortunatamente era la nostra solidità e perché eravamo cresciuti in modo più lineare di altri, conservando anche attività di impiantistica tradizionali. Moltissimi altri dovettero chiudere. 

 

Dalla realizzazione dei soli impianti siete passati ad altro.  

Sì. Agli impianti per la produzione di energia abbiamo affiancato la realizzazione di sistemi a livello software per gestirla al meglio, quell’energia. Non solo produrre, ma governare. Dopo Albasolar era già nata Albasystem, che realizzava impianti di cogenerazione. Poi è arrivato il primo brevetto Aspec (l’acronimo qui sta per Alba System Power Energy Control, ndr), nostro software che gestisce l’energia a partire da logiche di intelligenza artificiale, seguito da altri due nel 2018. Nel 2020 è nato AspecHome, sistema per la casa e le attività del terziario. Questa è l’evoluzione al giorno d’oggi. Oggi siamo una società di engineering con 40 dipendenti, la metà dei quali ingegneri, tra i quali molte donne. Ingegneri energetici, elettrici e anche qualche informatico, perché ormai quella specializzazione è diventata essenziale.  

 

Chi sono i vostri clienti?

Noi lavoriamo soprattutto con aziende e industrie che vogliano autoprodurre la propria energia e cerchino un interlocutore molto preparato tecnicamente e che possa seguirli a 360 gradi, dallo studio di fattibilità alle pratiche autorizzative, alle agevolazioni, a tutta la parte costruttiva e alla gestione nel tempo dell’impianto. Un aspetto fondamentale, quest’ultimo, visto che parliamo di dispositivi che possono avere un ciclo di vita anche di trent’anni, se ben manotenuti. Anche in questa direzione abbiamo investito tanto anche a livello di attrezzatura, per effettuare le più accurate analisi di dati e performance degli impianti, col ricorso a software predittivi, droni automatici per le mappature, dispositivi utili ad automatizzare anche questo aspetto. 

 

Quanto è importante questo settore nell’economia italiana e mondiale?

Direi fondamentale. Personalmente ho sempre guardato con molto interesse all’aspetto dell’autoproduzione, all’obiettivo di realizzare una moltitudine di impianti diffusi a servizio di altrettante imprese o entità abitative piuttosto che quelle gigantesche distese di pannelli dal grande impatto ambientale e visivo che si vedono talvolta nelle foto. Mi sembra che la vera essenza dell’energia rinnovabile risieda nei primi. In questo senso il fotovoltaico va inteso come un abbattitore di costi. Ormai si arriva coprire il 70-80% del fabbisogno diurno elettrico di un’azienda, in un contesto di consumi sempre più elettrici. E’ essenziale e strategico che nei prossimi anni la quota di autoproduzione salga ancora. Le famiglie possono così abbattere il costo della vita e incrementare il comfort delle loro abitazioni. Le fabbriche rispondere al grosso problema rappresentato dal costo dell’energia, per cui è indispensabile autoprodurre per essere competitivi. Sempre per le aziende vale poi l’obbligo di rispettare i criteri Esg, che la Ue sta definendo a partire dai grandi gruppi. Un ulteriore motivo di strategia è quello che riguarda infine il rendersi indipendenti dalle oscillazioni dei prezzi sui mercati dell’energia, come abbiamo imparato negli anni scorsi. Teniamo conto che il mondo sta diventando elettrico, mentre su batterie e accumulo si stanno facendo grossi progressi. 

 

"Green Deal" sì o no?

Sinceramente ho una visione del tema che direi pragmatica. Sono tra quelli che dicono che si è esagerato un poco con le imposizioni dall’alto. Il cambiamento, è la mia opinione, deve venire dal basso. Prima si crea l’infrastruttura, si produce l’energia, si potenziano le reti, si posano le colonnine di ricarica, si rende il sistema conveniente. Creati i presupposti, sarà il consumatore a fare lui il cambio, non appena ne ravviserà la convenienza. In questo senso l’autoproduzione di energia diventerà presto strategica. Poi è chiaro che bisogna anche dare il tempo ai prezzi di abbassarsi. Deve farlo il mercato. 

 

Da qualche settimana è il responsabile regionale dell’associazione Italia Solare.

Vero. Sono referente per il Piemonte dell’associazione più rappresentativa del settore. 

 

Cosa si propone di fare in questa veste?

L’obiettivo è quello di fare da interlocutore alle principali istituzioni, a partire dalla nuova Giunta regionale, per sensibilizzarle sulle più urgenti tematiche riguardanti il solare, sulle esigenze del settore insomma. Parliamo di procedure da snellire, paletti da rimuovere, del nodo più ostico rappresentato dalla normativa sugli impianti a terra, dove si registra un contrasto tra il settore agricolo e quello di un’industria che non punta a sfruttare terreni in modo speculativo e incondizionato, ma ad assicurare alle imprese e alle famiglie la possibilità di produrre in loco l’energia che serve loro. Sono il primo a dire che bisogna tutelare l’ambiente, ma la possibilità di sfruttare una 'solar belt' entro i 500 metri dall’azienda quando il tetto di questa non è sufficiente ai suoi bisogni va vista come un giusto compromesso, nelle zone di periferia e là dove non vi sono colture di pregio peraltro già ben tutelate dalle normative sulle denominazioni. Cercheremo di trovare questo giusto compromesso insieme alle altre categorie. 

 

Intanto guida le aziende della Confapi provinciale. Di che cosa parliamo?

Confapi Cuneo è un’associazione di categoria che aggrega quasi 200 imprese, realtà che danno lavoro a quasi 6mila dipendenti e rappresentano un bel pezzo di Pil della Granda. Parlo di piccole e medie aziende private, con fatturati che che vanno da pochi milioni a oltre 100 milioni di euro. Noi cerchiamo di dare supporto a questa tipologia di aziende, che sono poi quelle che costituiscono l’ossatura del sistema imprenditoriale italiano, di aiutarle a crescere e a farlo soprattutto investendo in digitale e innovazione, cosa non facile specialmente per quelle più piccole. Poi a fare sentire la voce di questo pezzo di economia provinciale al livello politico e istituzionale, che non è secondario. Al contempo cerchiamo di fare incontrare gli imprenditori, affinché ci siano contaminazione e uno scambio di idee che favorisca la crescita. Fare parte di Confapi spesso non esclude altre affiliazioni. Ci sono aziende associate a tante realtà diverse, da ognuna delle quali riceve qualcosa. 

 

Esiste un modello Cuneo?

Direi di sì. E’ vero che servono due ore e mezza di auto per andare nei punti estremi della provincia, ma dappertutto vedo eccellenze. Non soltanto Alba con la sua vocazione agroindustriale, che per molti ha fatto da traino, o il Saluzzese con la frutta, o i molti altri distretti di successo. La voglia di fare e di innovare si vede e si tocca ovunque. Da Santo Stefano Belbo a Borgo San Dalmazzo vedo realtà veramente dinamiche in tanti settori diversi. 

 

Un difetto delle nostre imprese. 

Spesso sono troppo conservatrici, hanno una tendenza all’immobilismo. Non riguarda tutti, ma tanti nostri imprenditori si nascondono dietro all’argomento che 'abbiamo sempre fatto così…’ per cui ha senso continuare a fare in quel modo. Spesso non è nemmeno un problema di costi, ma di mentalità. 

 

Rifarebbe l’imprenditore?

Sicuramente. Amo innovare, fare sempre qualcosa di nuovo. E organizzare un’impresa è l’impegno ideale per lavorare potendo dare sfogo alla propria iniziativa. Questo si riflette anche su come intendo il team di lavoro. Cerco sempre collaboratori orientati a mettere 'del loro’ nel contributo che danno, figure cui riconoscere autonomia e con le quali condividere obiettivi. Così facendo non sei mai solo, perché la ricchezza di un’azienda è nel suo essere fatta di persone. 

 

Sbagliare è ammesso, per chi guida un’azienda?

E’ fatale, più che altro. Gli errori servono per non ripeterli e migliorarsi, fanno parte del lavoro di tutti noi. L’importante è non deprimersi e non commettere gli stessi sbagli. 

 

Il suo riferimento, nel fare impresa?

Il cliente finale. Nella mia esperienza ho sempre visto che quanto più sono riuscito ad accontentare il cliente finale, tanto maggiore è stata non soltanto la soddisfazione di entrambi, ma anche i risultati dell’azienda a livello economico. Il beneficio di questa dinamica si riflette sui conti. 

 

Cosa manca all’Italia?

Quello che manca alle nostre imprese: siamo conservatori. Osteggiamo il cambiamento, forse perché la nostra storia millenaria ci tiene ancorati al passato. Eppure il mondo va avanti e anzi evolve a una velocità sempre maggiore  Un tempo anche i cicli di ricambio delle tecnologie duravano decenni, ora non puoi permetterti di stare fermo. 

 

Questo in che cosa si riflette?

Nel fatto che non facciamo le riforme che servono per consentire al Paese di evolversi. La politica dovrebbe avere meno paura, pensare meno alla difesa del consenso a breve termine. Bisogna avere il coraggio di cambiare. Qualcuno si lamenterà, ma è normale. Guardi cosa ci è successo negli ultimi decenni: non siamo cresciuti, siamo rimasti al palo. Bisogna alzare la produttività, che non è lavorare di più, ma meglio. Tutto nasce della regole. Purtroppo siamo un popolo che ha paura del cambiamento. Ma l’evoluzione è fondamentale, la politica dovrebbe supportarla. Non possiamo più permetterci di stare fermi. 

 

Un consiglio a un giovane che si affacciasse oggi al mondo del lavoro. 

Sono di parte, per cui gli direi di studiare le materie "Stem" (science, technology, engineering and mathematics, ndr), perché il mondo sta andando in quella direzione, chiamato a occuparsi in modo sempre più attento di tecnologia e innovazione. E di energia, ovviamente. In verità gli direi anche di guardare alla propria vocazione, ai propri interessi e alle proprie passioni. Perché anche quelle sono fondamentali. A un giovane direi, ragiona in modo duale, metà passione per cosa ti piace, metà pragmatismo nel valutare bene cosa richiede il mercato.

Ezio Massucco

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