Partita oggi, proseguirà per tre giorni, sino a venerdì 12 luglio, l’astensione dalle udienze e da ogni altra attività che l’Unione delle Camere Penali ha proclamato quale forma di protesta per denunciare l’inaccettabile situazione dei suicidi nelle carceri italiane, il sempre più drammatico fenomeno delle persone ristrette nelle sovraffollate strutture del nostro Paese, di detenuti che decidono di porre fine alle proprie sofferenze mettendo fine alla propria esistenza.
Una statistica sempre più allarmante, un numero che nel solo 2024 è arrivato a contare 55 vittime (oltre 1.130 dal 2002), le ultime ancora ieri 9 luglio, quanto c’è stato un suicidio a Varese e un altro ad Augusta, in Sicilia. Un fenomeno che potrebbe avere contorni persino più drammatici guardando alle numerosi morti di detenuti non qualificate come suicidio, ma che potrebbero ricondursi a questa fenomenologia.
La piaga rimanda ovviamente quella del sovraffollamento carcerario e delle inumane condizioni di vita all’interno dei nostri penitenziari. Carceri che nel nostro Paese ospitano 14mila detenuti in più della loro capienza massima (47mila posti, per un indice del 130%), ma anche 11mila addetti in meno del previsto sul fronte della Polizia Penitenziaria, per non dire delle carenze di personale medico e infermieristico.
Questo nell’indifferenza della politica rispetto al dramma di uno Stato che non assicura il diritto al rispetto della dignità umana nonostante le iniziative di 'moral suasion' messe in atto sia dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella come anche dal pontefice, Papa Francesco, e nonostante il dettato dell’articolo 27 della Costituzione, per il quale “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Qui le motivazioni di una protesta che, guardando alle possibili soluzioni del problema, non può che richiamare in campo rimedi urgenti che possano consentire una maggiore umanizzazione della pena e il superamento delle condizioni di inumanità alle quali i detenuti oggi sono sottoposti.
Nell’elenco di quello che si può fare provvedimenti come l’indulto o l’amnistia. E soprattutto l’ampliamento delle strutture, un proposito quest’ultimo continuamente annunciato e altrettanto ricorrentemente disatteso dalla politica.
"Su quest’ultimo punto la ricaduta su Alba è paradossale – commenta con amarezza il penalista albese Roberto Ponzio –. Nella nostra città c’è una casa di reclusione inaugurata nel 1987 e che nel 2016 è stata chiusa per il ben noto episodio di infezione da legionella. Nel 2017 venne riaperta una piccola area, capace di ospitare 50 detenuti, area che quattro anni dopo venne trasformata in 'casa di lavoro'. Ma il 'Montalto' ha una capienza di 138 posti, suddivisi in tre sezioni, con camere in buono stato, dotate di bagni ben attrezzati. Non si capisce perché non si utilizzi questa struttura per sollevare da quelle condizioni disumane almeno un centinaio di persone. Ogni tanto abbiamo la visita di un sottosegretario, poi più nulla. Intanto sono trascorsi otto anni, un periodo francamente inaccettabile, per lasciarne uno vuoto, viste le condizioni in cui versano i penitenziari del nostro Paese".