Attualità - 23 marzo 2024, 10:53

Doppio evento a Cuneo dell'Associazione famiglie adottive e affidatarie

Oggi, sabato 23 marzo alle 16.30, la proiezione al Lanteri di "Ponyo sulla scogliera". Lunedì 25 la presentazione del libro di Claudia Roffino,"Una vita in dono". L'intervista all'autrice

L'incontro con gli studenti del 19 marzo

L'incontro con gli studenti del 19 marzo

E' in pieno svolgimento l'annuale rassegna organizzata dalla Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie, sezione di Cuneo, che quest'anno prevede tre proiezioni e una presentazione.

Il progetto nasce dal percorso di avvicinamento alla cittadinanza che ANFAA, in collaborazione con la Comunità Papa Giovanni XXIIesimo e il Consorzio Socio-assistenziale del Cuneese. con il patrocinio del Comune di Cuneo e il supporto della Fondazione CRC, conduce da qualche anno.

Fanno sapere dal direttivo della sezione: "Arrivare ad un percorso di affidamento in più, o a un confronto con cittadini e famiglie che non conoscono la nostra realtà che lavora a supporto dei minori, è già un grosso risultato. Durante l'anno organizziamo gli incontri dei gruppi di ascolto per le famiglie che intraprendono il percorso adottivo e di affido, oltre ad avere uno sportello presso la sede dell'ASL CN1 in corso Francia 10."

LA PROGRAMMAZIONE

La programmazione, a titolo completamente gratuito è questa:

Presso la sala Lanteri di via Emanuele Filiberto 4, martedi 12 marzo alle 21 è stato proiettato il fim "Solo cose belle" di Kristian Gianfreda, evento aperto a tutti, mentre il martedi successivo c'è stata la mattinata dedicata agli studenti delle scuole superiori del capoluogo, con la proiezione del film di Pupi Avati "Con il sole negli occhi".

La programmazione prosegue oggi, sabato 23 marzo, con un film di animazione per le famiglie: "Ponyo sulla scogliera" del maestro giapponese Hayao Miyazaki. L'appuntamento è per le 16,30 sempre in sala Lanteri.

Lunedi 25 alle ore 21 sarà invece la volta della presentazione del libro autobiografico "Una vita in dono" di Claudia Roffino, che incontrerà i lettori presso la sala Costanzo Marino in via Senatore Toselli 2bis, sempre a Cuneo.

 

INTERVISTA A CLAUDIA ROFFINO

Si tratta senza dubbio di uno scritto derivante da esperienza personale. Quanto pensi che sia importante, per una società un po' "distratta" su queste tematiche, ricevere stimoli scritti e riflessioni di vita vissuta di tale portata?

Sì, il libro racconta nei capitoli dispari la mia esperienza personale e vera di figlia adottiva, da quando sono entrata in famiglia a tre mesi (questo non vuol dire che non avessi già tracce della mancanza dell’amore di una mamma e di un papà), anzi dalla storia d’amore dei miei genitori che mi hanno sempre raccontato. Nei capitoli pari vi è invece la storia romanzata di chi mi ha donato la vita con un parto in anonimato, romanzata perché io non l'ho mai cercata e rispetto alla sua scelta e in difesa delle donne e dei bambini perché venga tutelata la loro salute in ospedale. La parte romanzata contiene comunque racconti reali nati da una mia ricerca sul campo con interviste agli operatori (assistenti sociali, ginecologhe, psicologhe, ostetriche, neonatologi, infermieri) che hanno incontrato le donne e condiviso le loro emozioni nella loro scelta di non riconoscere il bambino. Purtroppo la nostra società conosce poco il mondo dell'adozione e ancora meno quello del diritto della donna di partorire in anonimato (diritto che è in vigore dal 1928!), penso perciò che sia fondamentale che anche noi figli adottivi cresciuti e risolti ci mettiamo in gioco e condividiamo la
nostra storia, più fruibile dalla gente comune rispetto ai meri dati tecnici che spesso vengono raccontati, e che spieghiamo i vari aspetti non da un punto di vista razionale ma emotivo.

In sintesi il suo percorso sulla conoscenza, l'analisi e la restituzione/accettazione del suo vissuto quanto è durato e quali sono stati i momenti più duri?

Ho avuto la fortuna che i miei genitori adottivi mi abbiano raccontato fin da piccola la mia storia, con cui ho potuto rapportarmi giorno dopo giorno, fare domande, ricevere le loro risposte, ma anche ascoltare i racconti, condividere con loro ogni mio pensiero, ogni mio dubbio ed elaborare i vari stati d'animo che hanno caratterizzato l'elaborazione della mia adozione e di quello che c’è dietro. Mi hanno sempre detto la verità con le parole adatte alle fasi della mia crescita. Donna (come la chiamo nel libro a simboleggiare tutte le donne che hanno scelto il parto in anonimato) è stata prima la principessa, poi colei che si era allontanata da me per colpa mia perchè dovevo aver fatto qualcosa di molto grave, poi la strega che non mi aveva tenuto con sé: in questa fase la rabbia era fortissima e l’ho scaricata principalmente sui miei genitori adottivi. Ma poi man mano ho lasciato spazio all'accettazione, in un certo senso al perdono, e alla comprensione che almeno nel caso del partito anonimato non si può parlare di abbandono, ma del dono della vita (da qui il titolo del libro) e che la vera abbandonata è la donna.

Oggi più che mai credo ci sia bisogno di norme, luoghi, prassi che diano la possibilità a mamme che scelgano il non riconoscimento, di farlo in modo libero. Cosa ne pensa?

In realtà la norma c'è già, i luoghi anche (consultori e ospedali) che però non sempre sono pronti assieme al personale preposto ad accogliere e seguire le donne in difficoltà, qualsiasi scelta arrivino a prendere; in molti ospedali le donne vengono purtroppo ancora inserite in camera con le puerpere e con i loro bambini e per questo scappano prima del tempo previsto per la loro salute. Manca invece ogni forma di assistenza dopo il parto e sappiamo quanto questo periodo possa essere complicato Indipendentemente dall'avere con sé il bambino. Cosa manca tantissimo è l'informazione alle donne di questa possibilità, che hanno anche le extracomunitarie senza permesso di soggiorno. Infine è ancora troppo forte il giudizio negativo nei confronti delle donne che scelgono di affidare alle istituzioni il loro nato e vengono paragonate a quelle che li lasciano nei cassonetti.

In generale al mondo dell'adozione vengono ancora affibbiati stereotipi e semplificazioni che spesso non aiutano alla sua comprensione da parte della collettività, anzi... Cosa si può fare perché ciò cambi?

Sì, dall'anno in cui sono stata adottata io cioè il 1966 sono passati ben 58 anni ma la cultura dell'adozione è ancora molto lontana da quella che dovrebbe essere, anche a causa del concetto di genitorialità come legame di sangue, per non parlare dei termini sbagliati che vengono utilizzati quando se ne parla: abbandono, veri genitori riferito a quelli biologici e che rendono i genitori adottivi un po' di serie B, mamma e papà utilizzati per indicare i genitori biologici e tante altre castronerie che possiamo indicare come lo “stupidario dell'adozione”. Il nostro paese poi è ancora fortemente razzista e questo rende molto difficile la vita ai ragazzi che provengono da adozioni internazionali, ma ad oggi anche nazionali, poiché molti dei bambini non riconosciuti nascono da donne con tratti somatici e carnagioni diverse.

Quali ritieni, in base ala tua esperienza, possano essere le eventuali necessarie modifiche normative, organizzative, comunicative perchè la società italiana faccia propri i giusti strumenti per affrontare le situazioni come quelle che tu descrivi e che hai vissuto?

Riguardo ai figli adulti nati da parto in anonimato ritengo che sia fortemente dannosa l'attuale pratica di ricerca dei genitori biologici, il percorso per arrivare alla donna non è sicuro e rischia di far saltare l'anonimato e di distruggere i legami che lei ha creato dopo di noi (senza contare che il 90% delle donne al momento interpellate hanno detto di voler mantenere l’anonimato). Inoltre, come dimostrato dalle statistiche, i parti in anonimato sono diminuiti mentre sono aumentati in numero esponenziale i bambini lasciati nelle culle o in strada o nei cassonetti senza nessuna tutela per i bambini e per le donne. Temo che queste donne non vogliano che siano disponibili le cartelle con i loro dati che possano consentire al bambino divenuto adulto di arrivare un giorno a loro. Penso che sarebbe più corretta una normativa che preveda che se la donna un giorno sia disponibile a rinunciare all'anonimato vada in tribunale a dichiararlo e che anche il figlio ormai adulto vada in tribunale a manifestare il suo desiderio di incontrare la donna. Se e solo se queste due esigenze sono espresse il tribunale provvederà a farli incontrare. Questo mio pensiero è dovuto anche al fatto che nelle statistiche abbiamo i dati dei parti in anonimato, quelli dei bambini trovati vivi o morti ma consideriamo 0 tutto il resto: ci hanno insegnato che lo zero è un insieme vuoto, ma purtroppo in questo caso è pieno di bambini non trovati e di cui non sappiamo nulla e di donne di cui non ci occupiamo, donne spesso sole in difficoltà maltrattate e di bambini che non sappiamo che fine abbiano fatto, magari finiti in adozioni illegali o peggio ancora venduti per espianto di organi. Trovo anche agghiacciante che i genitori abbiano dieci giorni di tempo per registrare il loro nato, anche dopo l'uscita dall'ospedale, ma temo che i controlli, soprattutto in certe aree siano scarsissimi, eppure quando compriamo un’automobile non possiamo uscire dalla concessionaria senza la targa. A quanto pare vale di più un'auto di un bambino!
Bisogna informare, diffondere, parlare con i giovani (a Torino ad esempio il 18 marzo è stato organizzato un seminario dagli studenti di medicina per parlare di parto in anonimato). Le ragazze e le donne vanno assolutamente informate in merito. Anche in merito all’adozione bisogna parlarne di più e non solo tra addetti ai lavori e tra genitori/figli adottivi, ma coinvolgere molto di più la società, i media, le scuole.

Cosa possono fare in tal senso le istituzioni locali, la scuola, i media?

Le istituzioni locali e non dovrebbero spendersi per supportare le famiglie nel post-adozione, mentre sono abbandonate a loro stesse quando emergono delle criticità. Purtroppo la scuola non dà grandi supporti alle famiglie anche quando giustamente informata da queste, ancora oggi ad esempio alle elementari per
spiegare la storia ai bambini viene richiesto di portare l'ecografia, e sicuramente questo è un trauma per i bambini adottati. Anche nelle classi successive si lavora pochissimo su queste tematiche, quasi che fosse un tabù, mentre secondo me se ne dovrebbe parlare proprio per diffondere una cultura corretta della genitorialità. Anche le case editrici dovrebbero fare attenzione a cosa scrivono, è recente il ritrovamento
su un libro di testo per il biennio delle superiori della frase: “Dopo che venne rifiutata dai genitori naturali, fu adottata da una splendida famiglia”. I mass media poi sono i peggiori diffusori in merito ad adozione e parto in anonimato come testimoniato dal loro linguaggio, dal fatto di intervistare e di invitare nelle trasmissioni solo ed esclusivamente quei figli che vogliono ricercare i genitori biologici e non danno alcuno spazio alla voce degli altri che la pensano diversamente. E’ ancora fresco il caso poi del piccolo Enea a cui hanno dovuto anche cambiare il nome, unico elemento della sua identità in quel momento, perché sono state violate tutte le regole della privacy sia su di lui che sulla donna che l'ha procreato. Finché tutti quanti non lavoreremo per una buona cultura dell'adozione e del parto in anonimato temo che noi figli subiremo sempre parole, frasi, giudizi, che renderanno sempre più difficile il nostro percorso di elaborazione e di comprensione.

La segreteria sezionale cuneese di ANFAA ha sede in corso Francia 10 presso l'ASL CN1 e i suoi volontari mettono a disposizione uno sportello aperto al pubblico tutti i primi venerdi del mese dalle ore 17 alle ore 18,30. Per appuntamenti contattare il numero 388.1682155 oppure mandare una mail a: cuneo@anfaa.it.

Fabrizio Biolè

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