Che cosa sarebbe cambiato, a livello sanzionatorio, se a Filippo Turetta i giudici della Corte d’Assise di Venezia avessero riconosciuto l’aggravante della crudeltà? Niente.
Sarebbe stato, comunque, condannato alla pena dell’ergastolo? Sì. Lo sarebbe stato anche senza che vi fosse contestata alcuna aggravante.
In alcune vicende, specialmente in quelle in cui non si hanno gli strumenti per comprendere quanto deciso, il “populismo penale” dovrebbe farsi da parte.
E questo, dovrebbe valere sia per chi legge sia per chi scrive. Nessuno escluso.
Su alcune vicende poi, se non in tutte, la cronaca è molto difficile da proporre. Lo è soprattutto in questo momento storico, in cui la spaccatura tra cittadino e giustizia è sempre più profonda.
E la vicenda di Giulia Cecchettin e Filippo Turetta, così come è stata raccontata, ha segnato l’ennesima “x” sulla magistratura da parte del cittadino. Ma la sentenza redatta dalla Corte d’Assise di Venezia non racchiude solo questo. Racchiude molte altre questioni e contraddizioni che stanno facendo ammalare questo delicato e discusso rapporto che trova la sua ragion d'essere nell'articolo 101 della Costituzione.
La verità processuale non è il titolo “acchiappa click” sulle testate giornalistiche. Non è nemmeno quella che corre su Instagram o su Facebook. La verità processuale è quella che si crea in un' aula di tribunale e che spesso diverge da quella fattuale.
Nella vicenda di Giulia e Filippo, la verità fattuale è che solo un uomo ignobile e crudele accoltellerebbe per 75 volte un essere umano. La verità processuale è che quelle 75 coltellate non sono state ritenute idonee a provocare sofferenze ulteriori all’evento morte della vittima. “L’overkilling - spiega l’avvocata albese Silvia Calzolaro - è una modalità tipica del femminicidio. Diventa difficile pensare che non ci sia stata crudeltà, anche perché 75 coltellate impegnano un tempo piuttosto lungo durante il quale il colpevole avrebbe tutto il tempo di desistere, e non è provato che volesse infliggere alla vittima la crudeltà tipica dell’ aggravante. Correttamente, quindi, i giudici hanno escluso l’aggravante, ma diventa difficile nell’immaginario collettivo non vedere la crudeltà”.
Chiarito questo, analizziamo la sentenza.
La sentenza della Corte di Assise ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo con alcune sanzioni accessorie. I reati contestati al ragazzo erano omicidio volontario, sequestro di persona, possesso ingiustificato di armi e occultamento di cadavere.
In sede di requisitoria, la Procura di Venezia ha chiesto la pena dell’ergastolo e il riconoscimento delle aggravanti della premeditazione, dell’aver agito con crudeltà e dell’aver commesso nei confronti di Giulia il reato di stalking.
I giudici, nero su bianco, scrivono, che a Filippo non riconoscono alcuna attenuante generica aggiungendo altresì che la sua confessione, così come la sua ammissione di colpevolezza e il suo consegnarsi alla Polizia tedesca, è stato solo un “apporto di fatto del tutto nullo”. Le azioni e i gesti di Turetta sono stati ritenuti “efferati” e “caratterizzati da abietti motivi di marcata sopraffazione”.
Soprattutto, sono stati descritti come “generati da vili e spregevoli motivi, dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione di Giulia, di cui l’imputato non accettava l’autonomia delle anche più banali scelte di vita”.
Turetta, come spiegato dai giudici nelle motivazioni, “ha agito con spietata lucidità” e, come poi lo stesso dichiarerà in sede processuale e in interrogatorio, “anche se si volesse credere all’imputato laddove afferma che l’originario progetto prevedeva che l’omicidio fosse seguito dal suo suicidio, ciò nulla toglierebbe alla gravità del delitto né sarebbe elemento in alcun modo idoneo ad attenuare la sua responsabilità”.
Ed è proprio questa sua condizione ad aver determinato il riconoscimento dell’aggravante della premeditazione: le azioni di Turetta sono state tutte precedute da “un’attenta e meticolosa pianificazione, cui ha dato puntuale attuazione”. La morte di Giulia, il come ucciderla, come "tapparle" la bocca, legarle le mani e i giorni insieme. Tutto era stato scritto da Filippo su una nota del suo cellulare. Proprio come una lista della spesa.
Ma perché nonostante “la dinamica efferata”non è stata riconosciuta anche l’aggravante della “crudeltà”? Se 75 coltellate non sono crudeltà, allora che cosa lo è?
Per sgomberare il campo da tutte quelle definizioni che, in questi giorni stanno circolando sui social per suscitare l'indignazione pubblica, partiamo dal codice penale.
L’articolo 61 numero quattro stabilisce che aggrava il reato “l’aver adoperato sevizie, o l’aver agito con crudeltà verso altre persone”. É orientamento della Cassazione Sezioni Unite che “la condotta crudele è quella che, pur non mostrando una studiata predisposizione finalizzata a cagionare, per qualche verso, un male aggiuntivo, eccede rispetto alla “normalità causale” e mostra efferatezza che costituisce il nucleo della fattispecie aggravante”.
C’è crudeltà in senso penale quando è possibile rilevare con certezza che vi sia stato un “quid pluris rispetto all’esplicazione ordinaria dell’attività necessaria per la consunzione del reato, in quanto “proprio la gratuità dei patimenti cagionati rende particolarmente riprovevole le condotte del reato, rivelandone l’indole malvagia e l’insensibilità ad ogni richiamo umanitario”. Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che non vi fossero elementi per desumere che Turetta volesse infliggere a Giulia sofferenze gratuite e aggiuntive in quei circa venti minuti.
Stando all’esame medico-legale, la causa della morte di Giulia fu il soffocamento, dovuto alle coltellate all'arteria vertebrale sinistra. Giulia ha perso conoscenza tra le ore 23:40 e 23:42 e la morte è avvenuta “entro pochi minuti”. “Nel caso di specie - scrivono i giudici-. Non si ritiene che tale dinamica, come detto certamente efferata, sia stata dettata, in quelle particolari modalità, da una deliberata scelta dell’imputato, ma essa sembra invece conseguenza della inesperienza e della inabilità dello stesso. Turetta non aveva la competenza e l'esperienza per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e "pulito", così ha continuato a colpire, con una furiosa e non mirata ripetizione di colpi, fino a quando si e reso conto che Giulia non c'era più”.
Dunque, i giudici hanno voluto dire che a Turetta avrebbero risconosciuto l’aggravante della crudeltà solo se fosse stato un killer con esperienza? No.
I giudici hanno inteso affermare che Filippo non voleva infliggere alla vittima “sofferenze aggiuntive e gratuite”, se non la morte. Detto in altri termini: Filippo, la morte di Giulia, l’ha voluta e l'ha premeditata e ha continuato a colpirla finché non è riuscito ad ucciderla.
In questo senso, con il non riconoscimento dell’aggravante della crudeltà la Corte d’Assise di Venezia non ha “fatto sconti” di pena a Filippo, né ha ritenuto meno grave la morte di Giulia.
Verità fattuale e verità processuale sono diverse.
La verità processuale deve ricostruire i fatti e chi applica la legge non può e non deve essere mosso né guidato dai sentimenti comuni.
Una Corte d’Assise è formata da due giudici (magistrati) e da sei giudici popolari, cittadini estratti a sorte. L’intero Collegio ha, senz’altro, considerato come umanamente crudele e l’azione di Filippo.
Ma il diritto penale non pretende di appagare il sentimento umano. Pretende di fornire uno strumento di tutela di fronte alle ingiustizie, sebbene non sarà mai in grado di risarcire la perdita di una donna, figlia, amica.
La crudeltà morale e umana c’è e rimane, anche se non scritta in centoquarantatré pagine di sentenza.