Spazi di confronto, momenti di ascolto, piccoli passi dentro temi complessi. Sul territorio dell’Albese, delle Langhe e del Roero, il Consorzio Socio Assistenziale, in collaborazione con l’ASL CN2 e con i Comuni, promuove da anni incontri pubblici rivolti alle famiglie per parlare di prevenzione, dipendenze e adolescenza. Occasioni preziose, come quella ospitata di recente a Treiso, che si inseriscono in un percorso continuo e radicato. Ne abbiamo parlato con Giovanna Pasquero, responsabile dell’area sociale del Consorzio.
Da quanto tempo portate avanti questi percorsi?
“Sono ormai almeno dieci anni che promuoviamo questo tipo di incontri, distribuiti su tutto il territorio del Consorzio. Si tratta di attività di prevenzione costruite insieme all’ASL CN2, in particolare con il Ser.D, il Servizio per le Dipendenze Patologiche. L’obiettivo è offrire strumenti alle famiglie, non solo a quelle già in carico, per comprendere meglio i rischi e le dinamiche che attraversano l’adolescenza e il consumo di sostanze oggi”.
Chi sono le figure coinvolte?
“In ogni serata intervengono professionisti sanitari dell’ASL – medici, educatori – insieme agli educatori e assistenti sociali del Consorzio, in particolare quelli che operano sul territorio. Questo perché conoscono bene le scuole, i quartieri, i segnali che ci arrivano anche indirettamente. Ogni incontro vuole essere un’occasione per riflettere, ascoltare, far emergere domande e bisogni reali”.
Che tipo di approccio seguite?
“Preferiamo usare metodologie interattive, come brevi video o stimoli narrativi, che rendano la serata coinvolgente e mai frontale. Cerchiamo sempre di costruire un clima accogliente. L’obiettivo è parlare dei rischi dell’adolescenza a 360 gradi: le sostanze sono solo uno degli elementi in gioco. Ci interessa anche esplorare le nuove forme di disagio, far capire che alcune sperimentazioni sono fisiologiche, ma che è fondamentale conoscerne bene i costi e le conseguenze”.
È anche un modo per coinvolgere i genitori in un percorso condiviso?
“Esattamente. Crediamo molto nella costruzione di alleanze tra adulti: tra genitori, tra insegnanti, tra chi ogni giorno ha un ruolo educativo. Questi incontri spesso diventano anche l’occasione per conoscersi, confrontarsi, e in alcuni casi dare vita a piccoli gruppi che continuano a ritrovarsi anche dopo. La prevenzione non è solo informazione, è consapevolezza, partecipazione e comunità”.
Lei ha parlato anche di nuove forme di disagio. Cosa state osservando?
“Quello che emerge è una fragilità diffusa, un disagio che prende forme diverse. Accanto all’uso di sostanze ci sono problemi legati al ritiro sociale, all’uso distorto della tecnologia, ai disturbi del comportamento alimentare. Vediamo ragazzi che faticano a stare nella relazione, che si chiudono nel virtuale, che vivono sotto pressione. Tutto questo riflette un clima sociale segnato dall’ansia e dall’incertezza. È un disagio che intercettiamo nei servizi, ma che ci viene raccontato anche da chi lavora quotidianamente con i ragazzi, come gli insegnanti”.
È dunque anche un disagio culturale e generazionale?
“In parte sì. Viviamo tempi accelerati, pieni di stimoli e fragilità, e i ragazzi ne sono profondamente attraversati. Le nuove generazioni hanno capacità enormi, sono creative, consapevoli, ma al tempo stesso portano dentro di sé molte paure, legate anche all’idea di un futuro incerto. È un malessere che non sempre si manifesta in forme eclatanti, ma che può influenzare profondamente la quotidianità”.
Riuscite a portare questi percorsi anche all’interno delle scuole?
“Sì, lavoriamo anche con le scuole, in stretta collaborazione con gli operatori dell’ASL. Alcuni interventi vengono promossi direttamente dai Comuni appartenenti al Consorzio, e riguardano temi come le nuove dipendenze, la violenza di genere, il bullismo e il cyberbullismo. Non riusciamo a essere presenti ovunque, ma laddove ci sono spazi e disponibilità, costruiamo percorsi laboratoriali con i ragazzi. Anche in quel caso, l’approccio è sempre centrato sull’ascolto, sull’empatia e sul confronto”.
Che cosa si porta a casa chi partecipa a uno di questi incontri?
“Credo un senso di vicinanza, la consapevolezza di non essere soli. Forse qualche strumento in più, forse solo una domanda nuova. Ma spesso anche un contatto, una voce che resta. E la percezione che la comunità può davvero essere una risorsa educativa, se trova il coraggio di fermarsi, ascoltare e parlare”.