Chi si trova a passare da Pollenzo e non ne conosce la storia, può scambiarlo per un grosso masso di pietra. Ma quello che si vede in un campo di via Fossano, poco lontano dalla cinta muraria, è un resto dell’acquedotto di epoca romana che, negli anni della sua realizzazione, riforniva d’acqua l’insediamento urbano dell’antica Pollentia, risalente al II secolo a.C..
Un’opera venuta alla luce oltre trent’anni fa in seguito alla bonifica dei terreni da destinare all’uso agricolo e che costituisce una precisa testimonianza del nostro passato. Doppiamente preziosa: per il suo valore storico-archeologico e perché può rappresentare un piccolo tesoro da sfruttare. Eppure, sembra che non si riesca a comprendere fino in fondo la sua importanza.
Oggi, infatti, è un reperto abbandonato a se stesso, coperto solo da un telone, lasciato al dominio delle sterpi selvatiche e delle intemperie, a confermare una soluzione mai trovata. Più appelli sono stati lanciati per salvare dal pericolo di distruzione questo frammento dell’ingegneria idraulica, ereditato dall’antichità.
Peccato, magari trasferendolo a Bra, nei locali di Palazzo Traversa o del Museo Craveri, potrebbe rappresentare un bel punto di partenza (o di arrivo) per una visita archeologica di più grande respiro.
Molto suggestiva anche l’idea di vederlo in piazza Edoardo Mosca, a Pollenzo, vicino al monumento dedicato al noto archeologo braidese, del quale (ma possiamo solo immaginarlo) la felicità sarebbe straordinaria.