Il periodo tra il 1754 e il 1755 venne considerato un anno terribile per tutta l’Europa: innanzitutto dall’eruzione del Vesuvio, 103 giorni di continue emissione di lava, dal 2 dicembre 1754 fino al 15 marzo 1755. Successivamente, il violentissimo nubifragio, ricordato come: “la pioggia di sangue” probabilmente dovuta alle correnti che trasportarono la sabbia sahariana (di colore rossastro) fino alla catena delle Alpi Italiane. Infine, il terribile terremoto di Lisbona, del 1° Novembre 1755, che rase al suolo gran parte della città causando 90.000 morti.
In Piemonte l’inverno del 1755 fu ricordato per le nevicate copiose e per le numerose valanghe che causarono circa 200 morti, di cui 22 nella borgata di Bergemoletto-Demonte.
Nel XVIII secolo Bergemoletto era composto da circa 150 abitanti, molti dei quali erano allevatori e per questo erano preparati alle periodiche nevicate di fine stagione che, purtroppo, ritardavano il pascolo degli armenti all’aperto. Il problema principale delle nevicate eccezionali non era il ritardo del pascolo, ma il conseguente pericolo di valanghe che non si sapeva quale effetto avrebbe portato affinché non si fossero verificate. Tale situazione veniva vissuta ad ogni nevicata straordinaria, i valligiani trascorrevano quei giorni nella paura e nella speranza che le valanghe non causassero danni alle persone, abitazioni ed armenti. Come è accaduto alla famiglia Rocchia di Bergemoletto: Giuseppe (capofamiglia) insieme al figlio Giacomo era sul tetto della loro casa a spalare la neve accumulata da tre giorni, mentre Annamaria (moglie di Giuseppe), Margherita (figlia), Anna (sorella di Giuseppe), e il piccolo Antonio (figlio di Anna e nipote di Giuseppe) erano nella stalla, come di consueto, in attesa che il pericolo valanghe cessasse.
Al momento del distacco delle valanghe, avvisati dal parroco Don Giulio, Giuseppe e Giacomo saltarono dal tetto e corsero al riparo, mentre Annamaria, Margherita, Anna, e il piccolo Antonio restano bloccati in un angolo della stalla per ben 37 giorni, eccetto il piccolo Antonio che morì prima di essere salvato. La valanga di Bergemoletto restò nella memoria, non per i numero dei morti, per i tre superstiti rimasti vivi sotto la valanga in condizioni estreme: tra il buio e la fame, solo la speranza è stata l’unica forza che le ha tenute in vita tutti questi giorni. Tale situazione suscitò interesse a dottori, scienziati e filosofo del tempo, persino al medico Ignazio Somis, dottore personale di sua Maestà Carlo Emanuele III di Savoia. Annamaria, Margherita e Anna e furono sottoposte a numerosi esami medici per capire la reazione del loro fisico dopo un lungo periodo trascorso in un luogo buio in posizioni reclinate.
La storia della valanga di Bergemoletto sembra un racconto fiabesco, ma purtroppo è stato un fatto reale che ha lasciato segni indelebili alla povera famiglia Rocchia, in particolare Annamaria, Margherita e Anna che sono stati i protagonisti principali della terribile storia.
I giorni precedenti all’evento valanghivo
La primavera era oramai alle porte, ma il 16 marzo 1755 arrivò una nevicata eccezionale di fine periodo invernale che blocco l’arrivo della bella stagione primaverile. Come ogni nevicata straordinaria: Giuseppe e Giacomo erano sul tetto della loro casa a spalare la neve per alleggerire il peso eccessivo della massa nevosa e lo stesso lavoro veniva fatto anche dal resto degli uomini di Bergemoletto, mentre Annamaria, Margherita e Anna e il piccolo Antonio erano nella stalla, luogo considerato sicuro, in attesa che passasse il pericolo valanghe e allo stesso modo si comportavano tutte le donne e i figli piccoli della borgata. Gli anziani, come ad esempio Don Giulio, visto la loro esperienza valanghiva, erano attenti all’osservazione locale per dare prontamente l’allarme dall’ipotetico distacco di valanghe, in modo che gli abitanti potevano mettersi in salvo dall’eminente massa nevosa. In alcuni casi i vecchi si occupavano della dislocazione degli abitanti in luoghi sicuri, lontani dai periodici percorsi valanghivi, però non sempre le valanghe seguono il loro percorso abituale. E così accadde a Bergemoletto, la valanga oltrepassò la zona di arresto abituale e investì la parte bassa dell’abitato.
Il momento del distacco della valanga
Dopo tre giorni di nevicate copiose, il parroco Don Giulio era turbato e come se stesse aspettando il momento del distacco delle valanghe, probabilmente questo atteggiamento era dovuto ad una sua esperienza valanghiva. Allora la sua attenzione all’osservazione locale era sempre più attenta e scrupolosa, in modo da dare in tempo l’allarme in caso di un imminente distacco di valanghe. E fu così, alle ore 09:00 del 19 marzo 1755, Don Giulio sentì un gran boato, come terremoto, e vide una grande nube bianca alzarsi e subito grido l’allarme: valanga! valanga! Si trattava di due enormi valanghe che si staccarono dalle cime più alte che circondano la piccola borgata e confluirono nell’unico canalone che sfocia nella parte bassa della piccola frazione di Bergemoletto, spazzando via gran parte dell’abitato causando indenni danni ai poveri valligiani. Il frastuono fu così grande da rimbombare fino ai vicini villaggi di fondovalle e il vento provocato dalle valanghe scortico i boschi adiacenti. La zona di accumulo era alta 12 m, larga 180 m e lunga 650 m, un evento valanghivo di dimensioni estremi.
I soccorsi e la stima dei danni
La campana della chiesetta suona indottrinamento per dare l’allarme alle vicine borgate, ma i primi a prestare soccorso ai malcapitati furono gli stessi abitanti scampati alla terribile sciagura. Gli uomini, presi dallo sgomento, tra gemiti e grida, iniziarono le prime ricerche sommarie, ma non fu facile riconoscere le propri abitazioni o quelle dei propri cari, poiché la valanga aveva distrutto gran parte delle abitazione di quella borgata. Alcuni gridarono i nomi dei famigliari, altri cercavano degli indizi e altri ancora girovagavano senza meta, una vera e propria scena apocalittica. Allora gli scampati si radunarono per la conta, in modo da capire chi era sopravvissuto e chi era ancora sotto la valanghe e continuarono la ricerca degli scomparsi. L’indomani, il 20 marzo 1755, molte persone volontarie salirono dalle borgate vicine per prestare aiuto agli sciagurati. Gli abitanti di Bergemolo e Demonte, armati di zappe e pale, iniziarono l’opera di soccorso con la speranza di salvar qualcuno. Lavoravano giorno e notte senza sosta con le lampade accese per non perdere tempo e cercare di liberare più persone possibili. Da quella immane sciagura fu salvata una sola donna con tre bambini, il resto solo cadaveri, compreso quello del parroco Don Giulio che fu trovato con la corona del rosario tra le mani. I lavori di ricerca andarono avanti giorno dopo giorno fino al quinto dopo l’evento, dove si stabili di lasciare ogni ricerca. Allora anche Giuseppe, Giacomo e Antonio Bruno (fratello della moglie) sospesero le ricerche e così i tre superstiti furono costretti ad essere ospitati a casa di un loro amico, aspettando la bella stagione per dare degna sepoltura dei propri cari.
Da una prima stima, la valanga di Bergemoletto causò 22 decessi e distrusse 30 case.
La terribile permanenza dei superstiti sotto la valanga
Per Annamaria, Margherita, Anna e il piccolo Antonio inizia l’agonia che li porterà 37 giorni di reclusione in un angolo della stalla che si concluderà il 25 aprile 1755, giorno del salvataggio.
Al momento del travolgimento i quattro si trovano in un angolo della stalla, in particolare vicino ad una mangiatoia tra una dozzina di galline e quattro capre, il latte di quest’ultimi sarà l’unica fonte di nutrimento per i superstiti.
Annamaria e Anna inizialmente cercarono di trovare delle vie di fuga, ma i tentativi furono inutili. Allora Anna tentò in tutti i modi di arrivare alla stanza dove erano depositate tutte le provviste, in particolare la scorta di pane, ma fu tutto inutile.
Per i quattro superstiti non c’'era differenza tra il giorno e la notte, vista la scarsa illuminazione del posto angusto, le uniche a distinguere il giorno dalla notte erano le galline. I giorni passavano tra l’attesa e le preghiere, nella speranza che qualcuno li tirasse fuori da quel posto prima del loro tempo. Man mano che il tempo passava aumentavano le difficoltà: la scarsa alimentazione, la scomoda posizione supina, i vestiti bagnati dalla percolazione della neve e il terribile fetore causati dagli escrementi animali presenti nella stalla, rendeva tutto ancora più difficile. Poi arrivo la condanna peggiore: il decesso del piccolo Antonio. A causa della scarsa alimentazione, il bambino iniziò a sentirsi male e questo atteggiamento rese le cose sempre più difficili, finché il piccolo Antonio in pochi giorni si spense tra le braccia della povera mamma Anna. Il corpo esanime del piccolo Antonio fu spogliato e deposto in un angolo della cantina e con i vestiti del bambino le tre donne fecero dei copricapo così evitavano di bagnarsi il capo dalle percolazioni della neve. La situazione divenne sempre più difficile è l’unica speranza divenne l’arrivo della la bella stagione.
Il miracolo di Antonio (fratello di Annamaria)
Durante il sonno Antonio, fratello di Annamaria, sogna la sorella che li chiedeva aiuto per essere salvata dalla valanga. Allora Antonio, destato dal torpore, si avvio sul luogo dell’incidente a tentare la ricerca dei superstiti. Prima del sondaggio, Antonio fa un voto alla Madonna Immacolata: la speranza di trovare vivi i propri cari. Antonio, Giuseppe e Giacomo partono alla ricerca della propria casa e il desiderio di riabbracciare i propri famigliari.
Il ritrovamento di Annamaria, Anna e Margherita
Arrivati sul luogo del disastro fu individuata la propria abitazione e mentre si scavare tra neve e macerie, si sentirono le grida di aiuto e così i soccorritori. Le donne furono ritrovate malconce, oltre al fetore dovuto alla permanenze nel posto angusto, con problemi agli occhi, agli arti (data la scomoda posizione) e, non di meno, anche con problemi mentali, causati da incubi e notti insonne. Tutto questo suscitò interesse agli studiosi del tempo che decisero di esaminare Annamaria, Margherita e Anna.
Le prove scientifiche alle tre sopravvissute
Il dottore Ignazio Somis, medico di sua maestà, convocò a corte Annamaria, Margherita e Anna per eseguire esami e studi specifici in merito alla condizioni fisica dopo una lunga permanenza sotto la valanga. Le tre sopravvissute furono sottoposte a lunghi colloqui e a prove fisiche/scientifiche per capire i danni fisici e mentali subiti a causa del tragico evento.
I periodo dopo il disastro della causato dalla valanga
Giuseppe, allo sciogliere della neve, ritorno sul luogo dell’incidente per ricostruire la sua abitazione, fu riedificata in una zona considerata sicura, al riparo del rischio valanghe. Il danno causato dalla valanga fu talmente imponente che la famiglia Rocchia non riuscì più a sostenere le spese e per questo furono costretti a trovar fortuna altrove.
Giuseppe, Annamaria, Giacomo, Margherita, Antonio e Anna iniziarono a spostarsi da paese a paese in cerca di fortuna, guadagnandosi da vivere raccontando la loro storia. Arrivati a Torino la famiglia Rocchia si rivolse al dottore Somis per un aiuto economico per sostenere le spese causate dalla valanga. Il medico generoso diede una buona ricompensa ai superstiti al punto di ritornare a Bergemoletto per riprendere la loro vita quotidiana come era prima dell’evento valanghivo.
L’odierno sito valanghivo
L’attuale area valanghiva è costituita da un impluvio principale, e due versanti affluenti al canalone primario. L’impluvio principale è composto da tre punti di distacco: il primo è Monte Bourel, quota 2460 m, esposizione Ovest, inclinazione 35°; il secondo è Monte Vintabren, quota 2611 m, esposizione Nord-Est, inclinazione 25°; il terzo (senza nome) quota 2548 m, esposizione Nord-Est, inclinazione 40°. Le tre area di distacco sono dei versanti imbutiformi detritici, con rocce affioranti, a scarsa copertura vegetale. A quota 1607 m, i tre versanti, confluiscono in un unico canalone principale (Gorgia Fontanile) coperto da bosco rado con cespugli. Il primo versante (affluente) ha un unico punto di distacco (senza nome) con quota 2373 m, esposizione Nord, inclinazione 35° e l’intera area è coperta a pascolo con rada vegetazione arbustiva. A quota 1450 m confluisce alla sinistra idrografica del canalone principale (Gorgia Fontanile). Il secondo versante (affluente), anch’esso, ha un unico punto di distacco Testa Fontanile a quota 2117 m, esposizione Nord, inclinazione 35° e l’intera area è coperta da fosco fitto. A quota 1300 m confluisce alla destra idrografica del canalone principale (Gorgia Fontanile). Le tre aree valanghive hanno un unica zona di accumulo situata a quota 1273 m, base del canalone principale (Gorgia Fontanile), parte bassa dell’abitato di Bergemoletto.
Conclusione
A distanza di 270 anni dal terribile evento, la piccola borgata di Bergemoletto porta ancora adesso i segni indimenticabili di quella atroce valanga del 19 marzo 1755. Ancora oggi, nella parte bassa dell’abitato, sono ancora presenti i ruderi delle case che sono state oggetto di quella valanga catastrofica.
Il tema valanga è un argomento sempre attuale che interessa tutte le zone montane di ogni parte del mondo. I continui studi e ricerche apportano miglioramenti agli enti che si occupano di prevenzione e protezione da questi fenomeni nivali. In Italia, come nel resto dell’Europa, grazie ai Servizi Valanghe, questi fenomeni valanghivi si possono prevenire e così evitare numerose vittime umane che negli inverni passati erano all’ordine del giorno.
A cura di Michele Maiorano
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