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Attualità | 16 marzo 2025, 15:46

Roburent ha istituito il Campo della Gloria per ricordare l’eccidio di Miassola [FOTO]

Si trova nel cimitero del capoluogo in memoria degli otto giovani partigiani trucidati dai nazisti il 17 marzo 1944

Questa mattina la cerimonia nel piccolo cimitero di Roburent

Questa mattina la cerimonia nel piccolo cimitero di Roburent

È stato inaugurato oggi, domenica 16 marzo, il Campo della Gloria nel cimitero di Roburent, per ricordare i partigiani trucidati a Miassola, località boschiva molto isolata, il 17 marzo 1944, sul finire della grande Battaglia della Valle Casotto.

“Oggi, 16 marzo 2025, 81 anni dopo il 17 marzo del 1944, si è concluso un percorso di ricordo e riconoscimento ai giovani membri di un gruppo eterogeneo di persone, la cui vicenda, ancora oggi, è viva nelle menti dei concittadini, degli studiosi e dei parentiha spiegato il sindaco Emiliano Negro -. Si è persa nel tempo la felice usanza di trasferire la conoscenza dei vecchi ai giovani, in alcuni però è sempre attuale tale costume: la scorsa estate l’Amministrazione ha ricordato Walter Briatore, concittadino classe 1952, ucciso a Torino, per errore, da un sicario di ‘ndrangheta e ha intitolato allo stesso un’area verde nel capoluogo. Oggi chiudiamo un altro capitolo di ricordo. Ringrazio per la presenza, il sindaco di Carrù Nicola Schellino, il sindaco di Torre Mondovì Andrea Giaccone, il picchetto d’onore dell’Arma dei Carabinieri, il maresciallo comandante della Stazione di Roburent Maurizio Gabriele, il gruppo di Protezione Civile, presente a sostegno del Gonfalone con Luigi Ravotti, Luca Salvatico e il vicesindaco di Roburent Paolo Gamba. Ringrazio altresì la sezione ANPI di Mondovì, il presidente dell'Istituto Storico per la Resistenza Gigi Garelli, che unitamente al consigliere Romolo Garavagno e all’ex sindaco di Roburent Bruno Vallepiano hanno portato il loro prezioso contributo alla cerimonia, benedetta dal parroco don Gian Mario Olivero. I cittadini di Roburent ringraziano”.

“È la dignitosa conclusione di una attività sociale iniziata nel 2016 – ha spiegato il consigliere e rappresentante della onlus “Cordero Lanza di Montezemolo”, Romolo Garavagno -, durante la tornata amministrativa retta dalla commissario straordinario Marinella Rancurello, quando l’onlus 'Col. Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo' e l'associazione Savin sollecitarono un intervento per assicurare particolare dignità all’area dove erano sepolti i patrioti. Sono occorsi molti anni, tra le remore e i ritardi, prima di giungere al meritorio impegno della tornata del sindaco Emiliano Negro". 

“Un gesto di grande civiltà, che consentirà di tramandare alle future generazioni la storia che si è compiuta nelle nostre valli - ha detto Bruno Vallepiano -, un modo per far rimanere viva la memoria e dare onore ai caduti”.

È poi intervenuto Gigi Garelli, presidente dell’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea: “La cerimonia di oggi non è solo importante per ricordare vittime giovani innocenti, ma è fondamentale per capire che nella storia ci sono stati dei “prima” e dei “dopo” che hanno segnato e cambiando i nostri paesi e questo passaggio è costato molto caro in termini di vite umane”.

LA VICENDA

L’illustrazione che segue è a cura di Romolo Garavagno.

Roburent capoluogo, durante la lotta di Liberazione non ha subito le stragi di Sant’Anna di Stazzema, di Marzabotto, di La Benedicta e altre località, ma per un centro di meno di 800 persone, quante ne contava la Parrocchia allora, aver subito l’uccisione di otto giovani è stata una terribile tragedia.

La prima figura che ricordiamo è quella di un eroico carabiniere, di neppure 19 anni, Gregorio Pietraperzia, di Maccagno, in provincia di Varese, giunto in valle dalla Stazione dell’Arma di Milano Porta Genova, per unirsi alla Formazione “Autonomi” per la Lotta della Libertà, assieme ad altri sette roburentesi.

Il gruppo, dopo l’ordine dello sbandamento dato dal maggiore Enrico Martini Mauri, che non poteva più sopportare l’assalto delle truppe nazifasciste, si portò in un seccatoio di proprietà della famiglia del partigiano Andrea Sasso, nascosto in una boscaglia assolutamente celata per passare la notte tra il 16 e il 17, per poi trovare altre sistemazioni. Sicuramente sollecitati da una delazione, i nazisti che presidiavano il capoluogo di Roburent, nella prima mattinata, diedero l’assalto alla casupola.

Come giunse fino a questa valle non vi sono informazioni documentali, ma la esistenza delle formazioni partigiane erano presenti anche in Lombardia e la ricerca delle formazioni “Autonome” era collegata con la formazione ideale nei Carabinieri, ligi al loro giuramento al Re. Qui giunto, Pietraperzia fu assegnato dal comandante Maggiore Enrico Martini Mauri, a Roburent , per  strutturare la organizzazione civile, come voleva il Comitato Nazionale di Liberazione e lui si dedicò, come ricorda sul suo “Diario” l’allora arciprete di San Siro don Domenico Ferrero, con grande umanità e generosità, per far funzionare  gli uffici comunali e ancor più nel procurare  dal fondovalle vari generi alimentari e medicine per le persone più indigenti.

Nella serata tarda del 12 marzo, una domenica, quando seppe che da Torre Mondovì era segnalata una colonna numerosissima di nazisti salire verso il nostro paese, si affrettò a bonificare l’Albergo Roàtis, allora funzionante qui in sezione Piazza, salvando così dalla furia dei tedeschi, che, al contrario, incendiarono l’Albergo Italia di Codevilla, ove avevano individuato armi, munizioni e divise, abbandonate dal gruppo di partigiani, che lo presidiavano come loro “posto di blocco”. 

Loro, appena avvertiti dell’arrivo degli invasori, abbandonarono subitamente i locali, per raggiungere l’alta Valle

Pietraperzia, ricordarono alcuni parenti dei martiri civili di Miassola, assicurò: “Mi faccio obbligo di riportare a casa gli amici di Roburent". Dopo l’ordine di sbandamento dato dal maggiore Enrico Martini Mauri, che comprese la impossibilità di resistere alle truppe nazi-fasciste, riunì i colleghi partigiani roburentesi e li accompagnò nel seccatoio di uno di loro, situato in una località assolutamente inaccessibile. Questo nella sera del 16 marzo. Nelle prime ore del 17 o già vegliava o si svegliò per il rumore prodotto dal reparto nazista che aveva raggiunto il seccatoio e si avviò verso i militari, per tentare di salvare i suoi commilitoni, ma fu falciato. 

Vincenzo Secondo Gusta, per tutti “Secondino”, reduce di Russia, che  aiutò a deporre nelle bare le salme, attestò che il carabiniere era stato ritrovato alquanto a valle del seccatoio. Tre partigiani, svegliatisi, riuscirono a scollinare e sottrarsi alla furia bestiale dei nazisti, che scaricarono la loro rabbia sui quattro partigiani ancora addormentati. I tre che si erano posti in salvo, furono convinti da una ragazza di Roburent, parente di un panettiere, a presentarsi al comando nazista di valle, a Pamparato, per evitare rappresaglie sulle famiglie, assicurando loro la salvezza ed al massimo l’invio in Germania, come pochi giorni dopo successe a una dozzina di roburentesi

Purtroppo i tre furono fucilati a Pamparato il 21 marzo, ai piedi del castello di caccia dei marchesi Cordero di Pamparato, poi Municipio. 

A Gregorio Pietraperzia fu assegnata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il 5 giugno 2017, la Medaglia d’Oro al Valor Civile, su proposta dell'Amministrazione comunale di Roburent, retta dal sindaco Bruno Vallepiano, su mia relazione storica. Mi sia consentito pure ricordare che la pratica incontrò grosse difficoltà e grazie alla ministra alla Difesa dell’epoca, la senatrice Roberta Pinotti, tramite il segretario particolare, ingegner Pandolfo, ora deputato, superando intoppi spiacevoli, andò in porto. La caduta del Governo non consentì, come la ministra aveva tramite lettera segnalato, di ottenere, per il nostro Gonfalone, la decorazione.

Un cenno ancora a un altro partigiano ucciso, forse il 22 marzo, ma non si ha sicurezza della data, in Carlèt, al confino del nostro territorio comunale e quello di Serra Pamparato, lasciato nel bosco, ricoperto appena da fogliame. E’ un generoso sacerdote, don Giuseppe Dogliani, nato a Carrù nel 1902, seminarista nelle Scuole Apostoliche, poi Seminario Minore, di Vicoforte Santuario; nel 1920 entrato nell’Istituto Missioni della Consolata con casa madre a Torino, ordinato in Kenya nel 1927, passato poi alle Congregazione di Propaganda Fide, fu incardinato nella Diocesi di Ventimiglia, ove viveva uno zio. Fu cappellano a Sealza di Latte, poi servì ecclesiasticamente come cappellano del 6° Alpini in Russia. Dopo il Natale 1943 salì in valle, invitato da suoi parrocchiani che erano partigiani in Valle Casotto, per celebrare  le feste natalizie e non rientrò in Liguria. Nella nostra zona assisteva spiritualmente i partigiani, preparandone una dozzina alla Cresima che, a Mondovì Piazza, fu  amministrata dal vescovo Briacca.  Preparò con diligenza  sacerdotale vari condannati a morte dai partigiani, perché colpevoli di essere spie nazifasciste. Molto probabilmente meriterebbe l’attenzione ecclesiastica per la istruzione di una causa canonica presso la Sacra Congregazione per l’eventuale riconoscimento del martirio, in quanto fu ucciso poiché sacerdote, ritenuto connivente per le condanne di fascisti

Infine, un atto significativo di ricordo anche per un partigiano, originario di Pola, giunto profugo in Liguria, caduto in uno scontro con i nazifascisti al Savin: Alfero Dapretto, di  32 anni.


 

Arianna Pronestì

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