Nell’ultimo Consiglio provinciale, quello che ha registrato lo smarcamento del centrosinistra dalla maggioranza, c’era un convitato di pietra: il “modello Cuneo”.
In molti lo hanno più volte evocato esprimendo rammarico e “cordoglio” per la sua dipartita.
Ma è mai davvero esistito quel “modello”, che il longevo presidente della Camera di Commercio Ferruccio Dardanello aveva inventato ed evocava in ogni circostanza per esaltare le virtù economiche della Granda?
Dardanello aveva una buona dose di ragioni nell’evidenziare la dinamicità delle nostre aziende ricomprendendo in questa voce, industria, aziende, imprese artigiane, esercizi commerciali, insomma tutto ciò che egli annoverava nel grande e operoso popolo delle “partite Iva”.
Se sul piano economico il ragionamento aveva (usiamo l’imperfetto non a caso) un suo perché, più ardita è stata la traslazione sul piano politico.
Su questo terreno l’unico esperimento “ecumenico” lo aveva realizzato in Provincia Giovanni Quaglia, nella seconda metà degli anni ’90, affidando la vicepresidenza, insieme alla delega ai Trasporti e alle Grandi infrastrutture, a Francesco “Cicci” Revelli, noto esponente ex Pci poi Pds, poi Ds.
Al contempo, pur senza un diretto coinvolgimento in giunta, Quaglia aveva aperto alla destra storica allora rappresentata dal consigliere provinciale Paolo Chiarenza.
Quaglia, andreottiano di comprovata esperienza nella gestione del potere, era riuscito, negli anni 1997-1999, a sdoganare Pci e Movimento Sociale tenendo insieme gli opposti estremi con un’operazione che andava oltre le colonne d’Ercole della “solidarietà nazionale”.
Si trattava di un patto tutto cuneese, una sorta di laboratorio all’insegna del pragmatismo che non riuscì comunque a realizzare i grandi sogni che Quaglia-Revelli avevano in mente, il più faraonico dei quali era passato alle cronache locali (non senza un po’ di irriverenza) come la “Lisbona-Bombonina-Kiev”.
Allora l’attuale presidente della Provincia, Luca Robaldo, andava ancora a scuola e non sapeva che un giorno avrebbe occupato lo scranno di Giolitti e gli sarebbe stato chiesto di ripensare quel modello al cui capezzale tutti ora accorrono recitando il requiem.
Quel sogno cuneese – se consideriamo lo stato dell’arte delle tante, grandi opere rimaste incompiute e dei nuovi problemi che nel frattempo si sono frapposti sempre a proposito di infrastrutture – resta un miraggio.
Così come, tramontati i vecchi partiti, le relazioni politiche tra le forze politiche e anche in ambito istituzionale, sono andate via via infiacchendosi.
Il “modello Cuneo”, a voler essere realisti – al di là delle suggestioni e della narrazione pubblicistica - evoca oggi la figura dell’animale mitologico della Chimera, affascinante quanto misterioso.