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Sanità | 07 marzo 2025, 07:05

Se mancano i medici di base: in Granda troppi pensionamenti anticipati e pochi inserimenti

Secondo l'ultimo report della fondazione Gimbe in Piemonte mancano oltre 400 camici bianchi, in un trend che si riscontra anche a livello nazionale. Sebastiano Cavalli (Ordine dei Medici): “Sistema ormai insostenibile”

Se mancano i medici di base: in Granda troppi pensionamenti anticipati e pochi inserimenti

Sono 431 i medici di base assenti sul territorio regionale piemontese, per una percentuale negativa – relativamente agli anni dal 2019 al 2023 – pari a 9,8%. Di quelli invece che attualmente praticano la professione, oltre il 54% supera il massimale di 1.500 assistiti: all’1 gennaio 2024 il campione di medici di base contava una media di 1.392 assistiti, ben al di sopra anche dei 1.200 ideati come numero ottimale per consentire un rapporto equo tra bisogno di cura e garanzia di avere il tempo necessario a rispondere alle richieste.

Sono questi i dati resi pubblici dall’ultimo report della fondazione scientifica Gimbe relativamente allo stato di “specie protetta” dei medici di famiglia. Secondo l’analisi in Italia – un paese la cui popolazione, si sa, diventa ogni anno più vecchia - ne mancano oltre 5.500, il 52% di quelli in attività è sovraccarico di assistiti, e in 7.300 andranno in pensione entro il 2027. Ma non solo: nel 2024 hanno mancato l’assegnazione il 15% delle borse di studio proposte (che comunque hanno visto un calo del 24% nel numero di candidati).

Da lavoratori autonomi a dipendenti del SSI: soluzione o passo indietro?
Sempre meno giovani, insomma, scelgono la professione. E gli occhi del settore – seppur, forse, non le speranze – sono rivolti alla recente proposta di riforma governativa della legge 502/1992, che si propone di trasformare i medici di base da lavoratori autonomi a dipendenti del Sistema sanitario nazionale.

Come riportato anche in un nostro articolo, la riforma propone un sistema di 38 ore settimanali con un minimo garantito tra cinque e quindici a seconda del numero di pazienti in capo al singolo medico di base, e immagina una visione dell’attività in alternanza dello stesso tra i propri assistiti e quelli “di zona”, così da offrire ai cittadini la presenza di un medico di base “h 24”.

In molti, però, non vedono in questo cambiamento – davvero storico – un modo per risolvere concretamente il problema del sovraccarico di lavoro e dello scarso appeal assunto dalla professione. Anzi, tutto il contrario. Tra questi anche il sindacato Fimmg, che ha nel dottor Lorenzo Marino il rappresentante provinciale: “L’errore principale, purtroppo storico, è quello che considera il medico di famiglia come detentore di un impegno orario da contratto nazionale di tre ore di ambulatorio almeno – aveva detto al nostro giornale -. Si tratta però del minimo, che non rappresenta nel concreto l’intera attività giornaliera dei nostri medici, composta non solo del tempo con i pazienti ma anche di ‘telemedicina’, attività a domicilio e in strutture”. 

Diventa impossibile pensare che un medico massimalista con almeno 1.500 pazienti riesca a rientrare nelle ore previste dal documento circolato – aveva proseguito Marino -. Sarebbe ingestibile: a oggi un medico massimalista lavora almeno 10 ore al giorno soltanto nel seguire i suoi pazienti, figuriamoci garantirne decine di altre, chissà per fare cosa, alla disponibilità del distretto. Prendere in carico i pazienti, poi, è un’attività complessa e che non si può misurare in ore”.

Il rischio per Marino è, insomma, che all’indomani della revisione della legge il settore vada incontro a vere e proprie dimissioni di massa. Che farebbero precipitare definitivamente la situazione.

[Il dottor Sebastiano Cavalli]

Cavalli: “Oggi quadro demografico e sanitario diverso. La riforma? Solo se condivisa”
Prendiamo atto dei dati proposti dal report, sottolineando che secondo quelli a nostra disposizione prima degli ultimi inserimenti tra le Asl Cn1 e Cn2 si segnalava la mancanza di una trentina circa di medici di base sul territorio provinciale – commenta Sebastiano Cavalli, da poco nuovo presidente dell’Ordine dei Medici del cuneese -. Conosciamo bene le problematiche di scarso ‘appeal’ della professione tra i giovani medici e le difficoltà nella sostituzione delle pensioni: le proiezioni al 2027 dicono che se tutti i posti per accedere alla medicina generale fossero coperti e tutti i medici attuali andassero in pensione a 70 anni, la situazione dovrebbe andare in miglioramento. Ma i dati attuali, però, vanno in direzione contraria”.

Secondo Cavalli le ragioni dietro la situazione attuale derivano da una mancata pianificazione e dalla modifica sostanziale del quadro demografico e sanitario della popolazione nel corso dei decenni, almeno a livello nazionale. Per il cuneese, a giocare un ruolo importante è anche la conformazione orografica del territorio, che presenta tanti comuni piccoli e anche difficilmente raggiungibili. “Rispetto a venti o trent’anni fa gli ultra 65enni sono raddoppiati rispetto e gli ultra 80enni, di cui una buona percentuale con almeno due patologie, addirittura triplicati – ha detto -. Facile quindi immaginare come l’impatto e il peso del singolo paziente sul professionista sia molto più forte e serio rispetto. Anche la proporzione attuale tra medico di base e numero di abitanti non è più realmente sostenibile”.

E sulla modifica della legge 502? “Mi sembra non possa avere caratteristiche d’imposizione e credo sia talmente tanto epocale per il settore che la sua approvazione non possa non passare dalla collaborazione e dalla condivisione con chi opera concretamente – conclude Cavalli -. Certo, l’idea sembra buona sulla carta ma certo oggi non sussistono i numeri e la possibilità di concretizzarla. Non penso comunque si generi lo scenario apocalittico di ‘dimissioni di massa’ paventato da alcuni, principalmente perché credo la riforma non sarà applicata in maniera definitiva sin da subito ma partendo con i nuovi inserimenti”.

Simone Giraudi

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