Un Occhio sul Mondo - 22 febbraio 2025, 09:00

'Tra Russia e Ucraina nessun Casco blu'

Il punto di vista di Marcello Bellacicco

L'ignavia di alcuni leader politici europei, che ha contribuito a determinare l'attuale situazione internazionale del Vecchio Continente, sembra non dover soccombere neanche di fronte all'ineluttabilità di eventi, che risultano evidenti anche all'uomo della strada.

Infatti, nonostante appaia chiaro che, finalmente, è possibile affermare che il percorso per arrivare ad una conclusione della guerra tra Russia e Ucraina è stato intrapreso, sussiste ancora in alcune cancellerie europee l'ostinazione a non volerne prendere atto in maniera concreta e a non voler assumere un approccio propositivo e costruttivo, per contribuire fattivamente alla gestione di questo ennesimo processo di pace.

E' ovvio che quanto sta accadendo a Riad, tra le delegazioni di Russia e Stati Uniti, costituisce soltanto l'embrione dell'iter virtuoso che mezzo mondo si augura, ma è un inizio che si basa sulla considerazione che sono le due superpotenze nucleari mondiali che hanno deciso di mettersi ad un tavolo e lo fanno con rappresentanze già ad elevato livello, evitando quei consuetudinari preamboli dei cosiddetti “badilanti diplomatici”, normalmente finalizzati a prendere tempo.

In un contesto del genere, è assolutamente indispensabile che, tra tutti gli aspetti da considerare, contestualmente alle trattative per il cessate il fuoco, ci sia la cosiddetta Forza di Pace, che ha il fondamentale compito di schierarsi nell'area di crisi, immediatamente dopo che viene sparato l'ultimo colpo da entrambe le parti.

Si può dire che i tempi di schieramento di questa forza militare “terza” sono determinanti per il successo dell'implementazione di quanto concordato tra le parti belligeranti, anche perché i primi momenti in cui le armi tacciono sono quelli più delicati e a rischio.

Pertanto, risulta veramente improprio e fuori luogo, sentire governanti europei che definiscono “prematuro” trattare l'argomento “forza di pace” (es. Primo Ministro tedesco Sholtz) oppure che cominciano ad abbandonarsi in diatribe concettuali, la cui eventuale inconcludenza è direttamente proporzionale al rischio di vanificare gli accordi presi al tavolo di trattativa.

In questo senso, rende bene l'idea ricordare quanto si verificò alla fine del 1995, allorchè i bombardamenti aerei della NATO e americani sulle posizioni serbo-bosniache, costrinsero le leadership delle tre etnie a sedersi al tavolo delle trattative, presso la base della USAF di Dayton, raggiungendo il 14 dicembre un accordo per il cessate il fuoco e per la pace. Nei giorni immediatamente successivi, la IFOR-Implementation Force della NATO, sostituiva i Caschi blu dell'UNPROFOR-United Nation Protection Force i quali, per tre anni, di protezione ne avevano potuta fare ben poca, perchè non disponevano delle regole di ingaggio e degli armamenti necessari per fermare la guerra civile con i suoi terribili massacri. E questa considerazione ci porta ad altre riflessioni su un'eventuale operazione di pace in Ucraina, ma per farlo occorre una breve premessa tecnica su questa tipologia di operazioni militari.

Le cosiddette missioni di pace hanno caratterizzato gran parte dell'impegno militare di quasi tutte le Nazioni occidentali e della stessa NATO negli ultimi 30 anni, a partire proprio da quella in Bosnia, che fu seguita da molte altre (le più importanti in Kosovo, Albania, Iraq e Afghanistan), che si rivelarono progressivamente sempre più difficili, articolate ed onerose, in termini di risorse e, soprattutto, di perdite.

La gran parte delle operazioni sono state condotte sotto l'egida dell'ONU, con la legittimazione di una o più Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, che è l'unico organo delle Nazioni Unite che ha il potere di decidere un intervento, specificandone anche i compiti e le modalità esecutive.

E' fondamentale sapere che le missioni militari dell'ONU si distinguono in due grandi categorie, che si caratterizzano prendendo il nome dai due Capitoli (Chapter) VI e VII della Carta delle Nazioni Unite, che definiscono due tipologie di intervento, profondamente diverse tra loro per quanto riguarda la possibilità di usare la forza.

Il Capitolo VI “Soluzione pacifica delle controversie” prevede operazioni che, sostanzialmente, comportano una limitatissima possibilità di usare la forza per far rispettare il mandato. Sono le tipiche missioni dei “caschi blu”, che utilizzano mezzi rigorosamente di colore bianco (per essere ben individuati) e agiscono con regole di ingaggio che consentono di impiegare le armi praticamente solo per autodifesa e a protezione di assetti ONU. Con questo approccio si sono verificati i peggiori fallimenti degli interventi ONU, allorchè la situazione presupponeva un certo livello di conflittualità tra le parti contendenti. Bosnia, Rwanda e Libano sono i più eclatanti disastri che la storia contemporanea abbia registrato e, per meglio comprendere, è sufficiente ricordare i Caschi blu italiani in Libano (UNIFIL), recentemente costretti a rimanere nei bunker delle loro basi, mentre Israeliani e miliziani di Hezbollah si combattevano, violando le Risoluzioni ONU.

Il Capitolo VII è tutta un'altra storia e lo si comprende già solo leggendo il suo Titolo “Reazione contro le minacce alla pace, le violazioni alla pace e agli atti di aggressione”. In pratica, l'uso della forza non solo è possibile, ma è imposto dalle stesse Regole di Ingaggio, al fine di assolvere la missione, visto che la stessa Carta prevede che “in caso le misure non implicanti l'uso della forza si rivelino inadeguate, si può intraprendere, con forze aeree, navali e terrestri, ogni azione necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza”. Quindi nessuna preclusione verso i mezzi e gli armamenti da impiegare e verso le azioni da condurre, pur di conseguire il risultato. L'esempio più evidente sinora è stata l'operazione in Afghanistan (ISAF), in cui anche gli stessi Italiani disponevano praticamente di tutti gli armamenti terrestri (tranne carri armati e artiglieria) e aerei (cacciabombardieri e ogni tipo di elicotteri, compresi quelli d'attacco) e, quando necessario, si sono ingaggiati in azioni di combattimento.

La decisione sulla natura della missione (Capitolo VI o VII) compete al Consiglio di Sicurezza, che lo specifica nell'ambito della Risoluzione.

Un ultimo aspetto da considerare è quello relativo alle forze da impiegare in una missione ONU. Le Nazioni Unite (al contrario della NATO) non ha propri Comandi e unità militari, per cui deve ricorrere alle cosiddette “Nazioni volenterose”, cioè quei Paesi che si rendono disponibili a fornire propri soldati per una determinata operazione. Come detto, anche la NATO, nel recente passato, ha condotto operazioni per conto dell'ONU, ma lo ha fatto solo nell'ambito di interventi sotto Capitolo VII. In pratica, l'Alleanza Atlantica non ha mai pensato di mettere un casco blu in testa ad un proprio soldato.

Delineato per sommi capi il lo schema concettuale di una missione di pace, si può provare a contestualizzarlo nella crisi russo-ucraina che, molto probabilmente, costituirà il caso più complesso e di difficile implementazione.

Per quanto riguarda l'origine della missione, la soluzione migliore e più legittima sotto il profilo del Diritto Internazionale, sarebbe quella che venisse “lanciata” dalle Nazioni Unite (il Ministro della Difesa Crosetto si è già espresso in tal senso), attraverso una specifica Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, che non dovrebbe avere particolari problemi ad approvarla. Infatti, tutti e cinque i Membri Permanenti (USA, Russia, Cina, Francia e UK), che come noto hanno il diritto di veto, è improbabile che lo esercitino nel concordare sull'esigenza di una missione di pace, al cessate il fuoco tra Russia e Ucraina.

Molto probabilmente, potrebbero invece emergere problemi sul tipo di operazione, se sotto il cappello del Capitolo VI o del VII. Indubbiamente, il contesto operativo ucraino necessiterebbe di una forza di pace autorizzata all'uso della forza, ma c'è da chiedersi lecitamente se la Russia sarebbe disposta a non avvalersi al diritto di veto su tale ipotesi, visto che potrebbero essere coinvolte le sue unità. E questo sarebbe un grande problema, perché qualora si “planasse” su una soluzione mediata con l'impiego dei Caschi blu, il rischio di fallimento della missione di pace sarebbe elevatissimo.

Veniamo alle forze per dar vita all'operazione. La NATO, unica Organizzazione che dispone di Comandi di livello adeguato e di unità già pronti all'impiego, ha avuto un ruolo molto attivo e di parte durante la crisi russo-ucraina , per cui risulta difficile pensare ad un suo coinvolgimento come elemento di pace equidistante. Anche l'Unione Europea è stata parte attiva nello sviluppo della crisi, supportando politicamente, finanziariamente e materialmente Kiev, per cui si potrebbero riproporre gli stessi dubbi espressi per la NATO. In più, c'è da evidenziare che è ben lungi dalle potenzialità della NATO di Comandi ed unità prontamente impiegabili.

Si potrebbe pensare ad una Coalizione di Nazioni volenterose, ma una soluzione del genere, tecnicamente la più difficile da realizzare, presuppone che ci sia un Paese leader che, per potenzialità e per entità del suo coinvolgimento, possa costituire il fattore aggregante di tutte le forze. Sinora, questo ruolo è sempre stato svolto dagli Stati Uniti i quali, però, hanno già dichiarato la loro indisponibilità a partecipare ad una Forza di pace in Ucraina. E' molto difficile individuare altri Paesi in grado di gestire una leadership di tale livello, anche perché una Forza di pace credibile per l'Ucraina non dovrebbe essere inferiore ai 150/200 mila soldati e dovrebbe disporre anche di numerose unità aeree e navali.

Un'ultima preoccupata considerazione sull'uso delle armi. Qualora la Forza di pace ne fosse autorizzata, eventuali interventi sarebbero rivolti contro soldati russi e/o ucraini che, con tutto il rispetto per tutti, sono ben altra cosa rispetto ai Talebani o ai ribelli iracheni. Magari ottimi combattenti, ma di certo non appartenenti ad una Superpotenza nucleare.

E in tutto questo, leader politici come il Premier tedesco Olaf Sholtz, ritengono prematuro pensare ad una Forza di Pace.

Marcello Bellacicco