/ Attualità

Attualità | 28 gennaio 2025, 07:05

"Dalla Diageo ai migranti, la chiave è la speranza": il vescovo monsignor Brunetti e le sfide della diocesi di Alba [INTERVISTA]

Dall'accoglienza alla crisi delle vocazioni, gli obiettivi pastorali e sociali di un anno cruciale per la comunità albese

Il vescovo di Alba, monsignor Marco Brunetti

Il vescovo di Alba, monsignor Marco Brunetti

Con  un tono pacato, rimarcando  i concetti chiave e i programmi, il vescovo Marco Brunetti riflette con passione sulle sfide della Diocesi di Alba. Il 2025 si presenta come un anno complesso, ma guidato da una parola chiave: speranza. Accanto ai temi sociali più urgenti, come l'accoglienza dei migranti e la crisi lavorativa, emergono le questioni pastorali legate alla visita diocesana e al cammino sinodale. Uno scambio che permette di cogliere una comunità in trasformazione.

Eccellenza, qual è la parola che meglio rappresenta la missione della Diocesi quest’anno?
"Direi che quest’anno la parola chiave, legata anche all’Anno Santo, è la speranza. Di speranza penso che ne abbiamo davvero tutti bisogno. Speranza che l’accoglienza dei migranti si risolva in modo strutturale, con progetti che mettano insieme Caritas, servizi sociali, Consorzio, Comune di Alba e associazioni. Speranza che si crei una rete per una città accogliente, capace di offrire opportunità concrete e durature".

Guardando al tessuto sociale, quali sono le problematiche più urgenti?
"Ci sono alcune sfide molto importanti. Penso alla crisi lavorativa, come quella che interessa i 400 lavoratori della Diageo di Santa Vittoria e il loro indotto. Speriamo che si trovi una soluzione positiva e che questa azienda non si chiuda definitivamente anche se le prospettive sembrano quelle. Poi c’è l’emergenza abitativa: Alba è una città che deve riuscire a offrire non solo ospitalità turistica, ma anche abitazioni dignitose a prezzi accessibili per tante persone che cercano una casa e non riescono a trovarla"

Passando all’ambito pastorale, quali sono i progetti principali per quest’anno?
"Concluderò la visita pastorale alla Diocesi entro giugno-luglio. Questo ci permetterà di elaborare nuovi progetti, anche in chiave di riorganizzazione. Inoltre, terminerà il cammino sinodale a livello italiano: sarà un momento cruciale per raccogliere il frutto del lavoro degli ultimi quattro anni. In parallelo, l’Anno Santo offre momenti di spiritualità significativi, come i pellegrinaggi vicariali alla cattedrale e il pellegrinaggio diocesano a Roma a fine giugno"-

Qual è la sua percezione dello stato delle comunità locali?
"Viaggiando nelle parrocchie, soprattutto nei piccoli paesi della Langa, ho notato una forte preoccupazione per lo spopolamento. Ci sono realtà con pochi abitanti, dove il benessere generale non riesce a risolvere problemi come la manodopera agricola o lo sfaldamento delle famiglie. I matrimoni, sia civili che religiosi, diminuiscono, e il coinvolgimento dei giovani è scarso. Questo solleva una grande questione: come trasmettere la fede alle nuove generazioni?"

Da dove ripartire per affrontare questa crisi di trasmissione della fede?
"Dalla famiglia. È il primo luogo dove si annuncia la fede. Se non riusciamo a dialogare con le giovani famiglie, non possiamo trasmettere la fede ai più piccoli. Un tempo i rudimenti della fede si imparavano a casa, prima ancora che in parrocchia. Oggi viviamo in una società dove la cristianità non è più un dato culturale prevalente, anche se ci sono ancora buoni cristiani. Serve immaginare un modo diverso di essere Chiesa, e su questo stiamo lavorando".

Un altro tema cruciale è quello delle vocazioni. Qual è la situazione?
"È un problema grandissimo, direi quasi drammatico, non solo nella nostra diocesi ma in tutto il Piemonte. Il calo delle vocazioni è il risultato di molteplici fattori: meno praticanti, famiglie con meno figli, una società del benessere che spesso non lascia spazio alla riflessione sulla vita consacrata. Dobbiamo ripensare il ruolo dei preti e immaginare nuovi percorsi per favorire le vocazioni, ma è una questione complessa e di lunga durata".

Segnali di speranza?

"Sì, ci sono ancora delle belle comunità tutto sommato, ci sono dei nuclei io credo che siamo sul 12% di persone che bene o male ruotano ancora attorno alla parrocchia. Abbiamo dei germogli, dei buoni cristiani che ci danno delle prospettive. Chiaramente in futuro dovremo immaginare un modo diverso di essere Chiesa e su questo stiamo lavorando".

Daniele Vaira

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A GENNAIO?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare 2024" su Spreaker.
Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore|Premium