"Perché il fatto non sussiste". Questa la formula con la quale il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Asti, dottor Elio Sparacino, ha disposto l’archiviazione del fascicolo aperto dalla Procura della Repubblica astigiana nei confronti di tre medici dell’ospedale "Michele e Pietro Ferrero" di Verduno, indagati per omicidio colposo per la morte di Annamaria Bosco, 64enne di Diano d’Alba che nel tardo pomeriggio del 2 marzo 2024 morì mentre era ricoverata per le complicazioni seguite all’operazione alla quale era stata sottoposta per la riduzione di una frattura al femore che la donna si procurato cadendo in casa.
"I consulenti di parte hanno concluso che i tre medici che operarono la donna residente a Diano d’Alba lo fecero correttamente e che il loro intervento fu improntato alla migliore scienza medica", spiegava nel settembre scorso l’avvocato albese Roberto Ponzio, difensore dei tre medici, due chirurgi specializzati in ortopedia e traumatologia, una terza dottoressa specializzata invece in anestesia e rianimazione, alla luce delle risultanze dell’esame autoptico disposta dal sostituto procuratore Sara Paterno, cui seguirono le consulenze di parte eseguite dal dottor Lorenzo Varetto per due dei tre medici e dal dottor Franco Romanazzi, medico legale dell’Asl Cn2, per il terzo, e la perizia eseguita dalla dottoressa Caterina Peretta, dirigente medico in Medicina Legale presso l’Asl di Torino, per conto della Procura.
Alla medico legale, le cui conclusioni avevano ricalcato quelle già prodotte dei consulenti della difesa, la Pm aveva chiesto di provvedere, dopo aver compiuto l’esame autoptico sulla salma e opportuni prelievi, ad accertare le cause della morte, la condizione della paziente antecedentemente all’evento, se fattori esogeni verificatisi presso l’abitazione della donna potessero aver condizionato e come il suo stato di salute, se si sia stati in presenza di fattori intercorrenti e causali di eventuali condotte colpose da parte dei sanitari che sottoposero la donna a intervento.
Nella relazione depositata a settembre dalla consulente si era concluso che la causa della morte di Annamaria Bosco è "ascrivibile a insufficienza cardio respiratoria acuta indotta da embolia polmonare moderata massiva in esiti di recente frattura del femore destro". "Trattasi di morte violenta perché determinata da severa complicanza di frattura traumatica del femore destro", si continuava, prima di specificare che "non si ravvisano profili di responsabilità professionale medica da parte del personale sanitario dell’ospedale di Verduno che ebbe in cura la signora Bosco e che nel corso della degenza agì nel rispetto della buona pratica medica clinico assistenziale e delle norme contrattuali".
"L’accertamento autoptico e le relative indagini – spiega l’avvocato Roberto Ponzio – hanno escluso la presenza di profili di responsabilità professionale a carico dei miei assistiti. I medici hanno operato nel rigoroso rispetto dei canoni della scienza medica. La morte della paziente è stata determinata da un’embolia polmonare midollare, che rappresenta una seppur rara severa complicanza di fattura ossea. Trattasi di un evento prevedibile, ma non prevenibile in quanto si manifesta in assenza di segni prodromici".
Disposta l’archiviazione, gli atti sono quindi tornati in Procura. Tra gli indagati era finito anche l'unico figlio della donna, rappresentato dall’avvocato astigiano Luigi Florio.
Nei suoi confronti la Procura intendeva accertare o escludere la presenza di elementi utili a circostanziare l’imputazione di omicidio preterintenzionale. A suffragare l’esigenza d’indagine – secondo quanto si apprese nel marzo scorso – una frase che sarebbe stata riferita dalla donna una volta arrivata in ospedale e che avrebbe portato gli inquirenti a voler escludere che possa essere stato lo stesso 37enne ad avere spinto la madre, forse al culmine di un litigio, causandone la caduta alla base della frattura.