Attualità - 16 gennaio 2025, 07:05

Il viadotto di Fossano era destinato a crollare: "Imperizia prima, incuria poi"

Depositate le motivazioni dal giudice che ha condannato alla pena sospesa quattro dei dodici imputati che, a vario titolo, dovevano rispondere del collasso. La causa fu la mancata iniezione di boiacca in sede di costruzione del viadotto, che sarebbe servita a proteggere i cavi dalla corrosione

immagine d'archivio

E' un un effetto dominio iniziato con la costruzione nel 1992 ad aver portato al crollo il 18 aprile del 2017 il ponte di Fossano. Questo, sostanzialmente, quanto scritto dal giudice Giovanni Mocci nelle settantaquattro pagine di sentenza depositata in tribunale a Cuneo appena un mese fa. L’inchiesta penale nata a seguito del collasso della struttura che, fortunatamente, non verrà ricordata come un tragico evento si è chiusa nel settembre scorso: il giudice, da quel momento, si era riservato novanta giorni per il deposito delle motivazioni.

A doverne rispondere in dibattimento sono stati i tecnici Anas A.A. e M.S., il geometra R.R. e l’ingegnere M.A.F. per la Franco&C Spa, il geometra e direttore del cantiere M.C. e il capocantiere M.T. per le Imprese Grassetto, accusati di disastro colposo; tre tecnici Anas (il geometra V.P., il capocantiere B.C. e il capo sorvegliante D.C.C.), avrebbero invece omesso di rilevare e annotare nelle schede la presenza delle infiorescenze, delle macchie e delle colature violando così una circolare ministeriale del 1991. Infine, per i lavori eseguiti sulla circonvallazione nel 2006, quando venne scarnificato il manto stradale, sono stati chiamati a rispondere l’ingegnere Anas, G.A. e i due responsabili della ditta appaltante Pel.Car che si occupò dei lavori, M.G. e M.R.V.. L’epilogo processuale ha visto quattro condanne a pena sospesa per disastro colposo e otto assoluzioni (LEGGI QUI) con la corresponsione alla Provincia di Cuneo, costituitasi parte civile, di una provvisionale immediatamente esecutiva di 500.000 euro. 

Ad essere stati condannati  per disastro colposo sono stati il geometra della Franco& C.Spa, preposta alla costruzione dei prefabbricati in cemento armata, della fornitura dei conci e le iniezioni successive di boiacca, il responsabile del cantiere e il capo cantiere della Impresa Grassetto, l’azienda appaltatrice che si occupò della manutenzione e infine l’ingegnere Anas, designato direttore lavori. L’accusa mossa nei loro confronti riguardava “la negligenze e l’imperizia nella esecuzioni delle operazioni materiali di iniezioni di boiacca nella guaine dei cavi e omissioni di controlli e verifiche sulla regolarità e diligenza nelle operazioni materiali”. 

Titolo
Errore umano o evento prevedibile, quindi? Questo uno dei quesiti principali attorno cui si è concentrata la corposa attività istruttoria, che ha anche dovuto dar conto di questioni più tecniche: la più importante, se la mancanza di boiacca (una miscela di cemento, acqua e additivi) e la presenza di infiorescenze e colatura visibili sulla struttura esterne del viadotto potessero farne presagire il crollo. Ed è proprio su questo punto che le relazioni redatte dai consulenti nominati dalle difese e dal pubblico ministero si sono  confrontate a lungo in aula.

Il "peccato originale" fu proprio il non iniettare la sostanza, che avrebbe protetto i cavi di precompressione del viadotto evitandone la corrosione. "L’analisi delle relazioni della consulenza e delle dichiarazioni rese dai tecnici sommariamente - scrive il giudice- […] ha permesso di rilevare in modo inconfutabile come le operazioni afferenti alle iniezioni di biacca, sostanza fondamentale per garantire la impermeabilizzazione dei trefoli, che si contestano come eseguite in maniera non conforme alla normativa dell’epoca, abbiano avuto un’incidenza causale evidente nella determinazione sia dell’evento preliminare al crollo, sia la corrosione, sia del collasso stesso”.

E proprio come nel gioco del domino il ponte, sin dalla sua costruzione, era destinato a crollare. Scrive ancora il giudice, che le mancate iniezioni dell’additivo hanno rappresentato una violazione di una disciplina materia già in vigore dal 1985, poi aggiornata nel 1992 in cui vennero anche previste anche le modalità con cui l’operazione doveva essere svolta. Dunque, tutto ciò che avvenne in un tempo successivo a quell’errore ne fu diretta conseguenza. “Sussiste pacificamente l’elemento della colpa - precisa infatti il giudice- essendo la procedura stata omessa o eseguita con modalità non conformi alle regole; gli eventi che ne sono conseguiti, ovvero la corrosione dei cavi, e il successivo collasso del viadotto, sono quelli che la norma mirava ad evitare e, come già rilevato, era assolutamente prevedibili con la corretta insufflazione della malata e con la sigillatura dei tubi di sfiato”. 

Analoghe conclusioni, poi, sono state raggiunte nel riguardo dei lavori di sostituzione dei giunti avvenuti nel 2006, quando venne scarnificato il manto stradale. Come era stato spiegato in udienza dall’ingegnere, in quel periodo, Anas avrebbe avuto una struttura organizzativa carente e non avrebbe fornito personale sufficiente per una sorveglianza continua sul sito. “Il direttore dei lavori - scrive il giudice- è penalmente responsabile anche in sua assenza, in quanto gli compete l’esercizio di un’attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere in cantiere e, in caso di necessità, ha il dovere di dissociarsi dalle scelte del committente, se del caso anche rinunziando all’incarico ricevuto”. 

CharB.