“Abbiamo il cuore colmo di dolore, ma anche di speranza. Il momento della verità e della giustizia è ormai prossimo. Le vostre decisioni non rappresentano solo una risposta alla nostra storia, ma anche un messaggio chiaro e potente a chiunque possa credere di poter agire con la stessa crudeltà e impunità. Con tutto il nostro dolore, ma anche con tutta la nostra fiducia".
Così, con un messaggio di cui si è fatta portavoce l’avvocato albese Silvia Calzolaro, tra i legali che le rappresenta in giudizio come parti civili, Giulia e Caterina hanno voluto manifestare il proprio stato d’animo in merito all’udienza che a giorni, il prossimo 10 gennaio, presso il Tribunale Penale di Novara, porterà alla conclusione il processo penale di primo grado alla cosiddetta "setta delle bestie" o "setta di Satana".
Il messaggio è stato letto in aula durante l’udienza che ieri, lunedì 9 dicembre, ha visto la replica del pubblico ministero Silvia Baglivo, gli interventi dei legali delle cinque vittime costituite come parti civili – a rappresentarle con la stessa Calzolaro, i colleghi Elisa Anselmo e Marco Calosso, anche loro del foro di Asti, e Silvio De Stefano del foro di Monza – e degli avvocati delle difese.
In corso dai primi mesi del 2023, il processo vede quali imputati i presunti attori di quella che gli inquirenti hanno battezzato come la "setta delle bestie" o anche la "setta del sesso". Un’organizzazione che nel corso di decenni di attività avrebbe plagiato decine di ragazze, anche minorenni, a volte ancora bambine. Dalla querela di una loro, Giulia, oggi 37enne, residente nel Braidese, finita nelle spire della setta quando di anni ne aveva 7, convintasi a denunciare col sostegno dell’associazione saviglianese Mai+Sole, l’indagine condotta dalle Direzione Distrettuale Antimafia di Torino. Un’inchiesta dalla quale ha preso le mosse il processo iniziato davanti alla Corte d’Assise novarese sulla scorta di ben 26 rinvii a giudizio.
Alla sbarra erano finiti altrettanti soggetti, tutti residenti tra Milano e diversi centri della sua cintura, il Pavese, il Varesotto e il Bergamasco, mentre la base dell’organizzazione era in un casolare nelle campagne di Cerano, nel Novarese. I numerosi imputati erano stati chiamati a vario titolo a rispondere di reati che comprendono la violenza sessuale aggravata e di gruppo commessa anche ai danni di minori di 10 anni, la riduzione in schiavitù e l’associazione a delinquere.
Ai vertici dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, ci sarebbe stato Gianni Maria Guidi, nato a Pavia e vissuto a Milano, conosciuto dagli adepti della setta come "il dottore", ma anche come "Re bis" o "il Pontefice", erborista con attività nel quartiere San Siro di Milano, deceduto il 16 marzo 2023 a 79 anni, a processo iniziato, in conseguenza delle cattive condizioni di salute nelle quali versava da tempo. Insieme a lui, Sonia Martinovic, sua principale collaboratrice fino al 2013, tuttora a giudizio dopo che, come Guidi, era stata dichiarata momentaneamente incapace di affrontare il dibattimento.
Lo scorso 8 luglio l’udienza con la quale la pubblico ministero aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati con pene comprese tra i 7 e i 18 anni di reclusione, insieme al sequestro di tutti i beni di loro proprietà.