La sentenza relativa all’ultimo troncone del processo Tenda Bis verrà pronunciata a Torino il 13 gennaio 2025. Questo, quanto è stato deciso nei giorni scorsi dal giudice che presiede, la dott.ssa Elena Rocci. Dopo aver ascoltato le arringhe difensive dei 15 imputati accusati, a vario titolo, di presunte frodi in pubbliche forniture, falsificazioni sulle certificazioni SAL (avanzamento stato dei lavori), truffa ai danni dello Stato e attentato ai pubblici trasporti, la Rocci ha rinviato al 9 gennaio le repliche del pubblico ministero e a quattro giorno dopo la decisione sul caso. Tutti i difensori, per i loro assistiti, hanno chiesto il loro proscioglimento. Ad associarsi a tali richieste, anche i responsabili civili.
La maxi inchiesta era nata a seguito del sequestro del cantiere di Limonetto, in provincia di Cuneo, nel maggio 2017. Dopo la chiusura del primo troncone, celebratosi nelle aule di piazza Galimberti, aperto per far luce su alcuni furti di materiale avvenuti in cantiere che sarebbero stati destinati alla realizzazione della galleria Tenda, era rimasta in piedi quella che poi, dopo un ping-pong tra il Palazzo di giustizia cuneese e torinese per una questione di competenze territoriale, è approdata al Bruno Caccia.
Dei 15 imputati, cinque erano già stati giudicati e condannati a Cuneo e poi assolti in secondo grado. Pronuncia, quest’ultima, che aveva riqualificato i “furti” in “appropriazione indebita”, reato procedibile solo su querela di parte ma che, in questo caso, non era stata formalizzata, spazzando così via l’impianto accusatorio di un’inchiesta durata più di sette anni. Ad essersi costituiti parte civile erano stati il Comune di Limone Piemonte, l’Anas e il Ministero dei Trasporti.
Il motivo per cui il secondo faldone è passato al tribunale di Torino (foto sotto) risiede nel fatto che le certificazioni dello stato di avanzamento dei lavori del tunnel erano state qui datate e sottoscritte e, dunque, anche i reati connessi alla presunta falsificazione sulle certificazioni, quali truffe e frodi, si sarebbero concretizzate nel capoluogo piemontese.
Un’inchiesta estremamente tecnica, dove i consulenti delle parti, quelli nominati dalla Procura, rappresentata dal pubblico ministero Chiara Canepa, già a suo tempo titolare del fascicolo a Cuneo prima di ottenere il trasferimento al Bruno Caccia, e quelli incaricati dalle difese, si sono scontrati sulle varie posizioni.
Secondo il magistrato “lavori eseguiti male” chiama “frode allo Stato”. A sostegno delle sue accuse le intercettazioni telefoniche che sono state rilette in aula. Le richieste in punto pena vanno dai 7 ai 5 anni di reclusione più le pene pecuniarie.
Lo Stato francese, così come la Provincia di Cuneo, non hanno partecipato al processo come parti civili. Ad aver avanzato una richiesta di 25milioni di euro di risarcimento è stato il Ministero dei trasporti, in coda il Comune di Limone Piemonte che ha quantificato e chiesto 900.000 euro di danni.
Intanto, dal 23 novembre appena trascorso, un altro pezzo dell’inchiesta è stato demolito dalla prescrizione, i cui termini hanno già iniziato a decorrere dal 2017. È dato certo che, per il capo di di accusa di “frode in pubbliche forniture” ci sarà una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Il 20 gennaio prossimo sarà la volta delle ipotesi di falsificazione sulle certificazioni SAL, il 22 aprile delle presunte truffe allo stato e infine nel 2026 si prescriverà l’ultimo capo, l’attentato ai trasporti pubblici.