Cronaca - 12 novembre 2024, 19:06

Caporali nei vigneti delle Langhe: i tre indagati patteggiano pene comprese tra 8 mesi e un anno di reclusione. Pene sospese

Chiuso il processo nato dall’operazione "Iron Rod" del luglio scorso. Uno dei tre cittadini stranieri condannati per sfruttamento di manodopera dovrà prestare lavori di pubblica utilità presso il Comune di Novello

Una manifestazione contro il caporalato

A. N., classe 1985, cittadino del Marocco domiciliato a Novello e difeso dall’avvocato albese Roberto Ponzio, ha patteggiato 10 mesi di reclusione e 2mila euro di multa. Nei confronti dell’uomo, già gravato da una condanna per un’altra vicenda processuale, il giudice ha disposto la sostituzione della pena detentiva in 600 ore di lavori di pubblica utilità da espletare presso il Comune di Novello, dove è residente. 

G. D., cittadino macedone del 1981, residente a Mango, difeso dall’avvocato Alessio Tartaglini del foro di Torino, ha invece patteggiato anno di reclusione e 700 euro di multa, e gli è stata concessa la sospensione condizionale della pena. La sua abitazione è stata dissequestrata, limitatamente alla parte a destinazione residenziale. 

L. M., classe 1976, di nazionalità albanese, residente ad Alba, difeso dall’avvocato cuneese Daniela Altare, ha patteggiato 8 mesi di reclusione e 2mila euro di multa con sospensione condizionale della pena. 

Queste le pene contemplate dalla sentenza che il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Asti Claudia Beconi ha pronunciato nel corso dell’udienza tenuta questa mattina, 12 novembre, accogliendo le proposte di patteggiamento proposte col consenso del pubblico ministero, dottor Stefano Cotti, dai tre imputati nel processo per il caporalato in Langa .

Il procedimento è quello nato dall’operazione "Iron Rod", con la quale il 10 luglio scorso la Squadra Mobile della Polizia di Stato di Cuneo aveva eseguito misure cautelari nei confronti dei tre soggetti, indagati dalla Procura di Asti per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, insieme a violazioni alla normativa relativa al soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale. A carico dei tre pendeva l’accusa prevista dall’articolo 603 bis del Codice Penale, ovvero l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, oltre a violazioni alla normativa relativa al soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale. 

Secondo quanto gli inquirenti avevano ricostruito anche col supporto di attività tecniche,  gli indagati, in modo disgiunto tra loro, attraverso imprese individuali a loro riconducibili operanti nei tre centri citati "reclutavano manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento". In particolare i tre, approfittando dello stato di bisogno di tali persone, "reclutavano lavoratori di origine prevalentemente africana (Gambia, Guinea, Nigeria, Marocco, Egitto, Senegal, Mali, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Albania) in gran parte irregolari sul territorio nazionale, privi di valide soluzioni abitative, per impiegarli in vigna presso terzi, in totale violazione delle normative contrattuali sull’impiego, secondo retribuzioni con paghe orarie di circa 6 euro l’ora, palesemente, difformi dai contratti nazionali e territoriali; inosservanza della normativa sull’orario di lavoro; inosservanza della normativa in materia di sicurezza e igiene sul lavoro; sottoposizione dei lavoratori  a condizioni di lavoro con metodi di sorveglianza degradanti e di controllo a vista, con minacce di non essere  pagati o di essere allontanati".  

Con la sentenza di condanna il Tribunale ha poi disposto la confisca di circa 16mila euro in contanti trovati nel possesso di G.D. e degli 850 euro trovati invece nella disposizione di A. N., oltreché di cinque autovetture che secondo gli inquirenti erano servite per accompagnare i braccianti al lavoro. 

"Si conclude una vicenda processuale che ha avuto una larga esposizione mediatica e suggerisce amare considerazioni finali – dichiara l’avvocato Roberto Ponzio, difensore di A. N. –. Il triste fenomeno dell’intermediazione illegale e dello sfruttamento lavorativo in agricoltura, peraltro in crescita costante, non lo si risolve con la condanna di due o tre cosiddetti caporali. Occorrono significative riforme al quadro normativo penale". 

Soddisfazione per il risultato ottenuto viene invece espresso dal legale Alessio Tartaglini, difensore di G. D. 


 

Ezio Massucco