Una serata di riflessione e profondi significati quella di sabato 9 novembre al CineTeatro Iris di Dronero. In occasione del festival Ponte del Dialogo, il CineTeatro Iris ha ospitato il teologo laico e filosofo Vito Mancuso, in un incontro che ha fatto riferimento al suo libro “Non ti manchi mai la gioia”. A introdurre la serata l’autore Antonio Ferrero. Molte le autorità presenti sala, tra cui importante è stata la presenza dell’assessore regionale Marco Gallo che, invitato sul palco, ha tenuto a ringraziare gli organizzatori della manifestazione, per l’attenzione alla cultura e gli eccellenti appuntamenti proposti anche in questa edizione.
Il palco poi lasciato libero, una poltrona riservata. Mancuso è salito e, ringraziando i presenti, ha iniziato il suo importante discorso: “Io non so come ciascuno di voi chiami la propria interiorità, come denomini questa energia immateriale che ci pervade e che ci fa essere quello che siamo, nella nostra singolare ed irripetibile individualità: se anima, psiche, cuore, coscienza, mente, sé, profondo sé,... In qualsiasi termine che sentite vostro e rappresentativo, io vorrei riuscire questa sera a rivolgermi alla vostra interiorità perché, vedete, la gioia nasce da lì”. Del suo libro non ha tenuto una presentazione quanto più ha desiderato ripercorrere, preziosamente condividere con le persone presenti quello che per lui è stato “l’itinerario esistenziale”, che lo ha condotto a scrivere il libro e che poi dal libro stesso è scaturito. Un titolo eloquente quello scelto da Mancuso, che si rifà ad una serie di lettere ed in particolare all’augurio che Seneca rivolge a Lucilio.
“Dicono che siano state 140 quelle originali - ha spiegato il filosofo - a noi ne sono giunte 124 e costituiscono appunto le epistole morali. Se non le avete lette, leggetele. E se le avete lette, rileggetele. Sono parole così profonde, così belle, così sapienti e così vere. Sapete perché sono vere queste pagine? Perché Seneca sapeva che sarebbe morto. Tutti sappiamo che moriremo prima o poi, ma lui sapeva che da un momento all’altro l’imperatore avrebbe mandato degli emissari per ucciderlo. Penso a cosa significhi per un essere umano vivere sapendo che da un momento all’altro qualcuno ti ucciderà. Questa differenza di consapevolezza, serietà esistenziale sapendo che sei di fronte al destino finale, che forse questo è l’ultimo giorno, a me porta a pensare, e ve lo propongo questa sera, ad un esercizio spirituale. Per spirituale non intendo religioso ma un esercizio di libertà: un esercizio che indaga, purifica, scarnifica se è il caso, la libertà. Ecco se toccasse a te questa sera, domani sera, prendere un foglio bianco e scrivere l’ultima lettera, che cosa scriveresti? Quale messaggio hai compreso finora dalla vita e vuoi consegnare a qualcuno? A chi ti rivolgeresti? Parole scritte da chi sapeva di dover morire ed a me piace proporre un esercizio: immaginate di sapere di dover morire, a chi scrivereste? Cosa avete imparato in questa vostra vita?”
Da qui non soltanto l’importanza, ma soprattutto la consapevolezza dei legami, dei pochi davvero profondi e di quanto debba essere profondo anche il rapporto con noi stessi. Analizzando quel “disce gaudére”, ossia quel “impara a gioire” detto da Seneca a Lucilio, che in latino richiama nell’assonanza la parola “discepolo” e soprattutto “disciplina”, Mancuso ha sottolineato l’importanza delle parole, di ciò che di prezioso esse esprimono: “Noi non possiamo imparare niente di serio nella vita, niente che rimanga dentro noi, niente che ci trasformi se non diventiamo discepoli, se non assumiamo dentro noi una disciplina - ha detto -. Le frasi, i discorsi degli esseri umani sì, ma le parole non mentono. Le singole parole hanno una straordinaria capacità comunicativa estremamente preziosa, pulita, antica. Rivelano”.
E molto ha rivelato quella differenza sottolineata da Mancuso tra gioia e felicità, la prima che è un sentimento e la seconda invece un’emozione. Sentimento, la gioia, che richiama al sentire, alla consapevolezza, ma soprattutto ad un radicarsi dentro, nel profondo; diversa è l’emozione della felicità, che arriva, coinvolge, smuove e passa. La differenza sta proprio lì secondo il filosofo, nella velocità di raggiungimento e di conseguenza nel fermarsi o meno in noi. Il sentimento lo ha quindi definito come “un’emozione stabilizzata”, differente anche dalla passione, spinta anche estremamente produttiva ma che rende il soggetto “in balia di”. Il sentimento invece è un’elaborazione, una edificazione di sé.
Prendendo in considerazione varie discipline, quali la filosofia, la teologia, la psicologia, la medicina orientale, la ricerca neurologia,… Mancuso ha formulato quella che ha definito “antropologia tripartita”: “Quando vuoi collegate armonicamente la vostra dimensione egoica (emozioni ed istinti) alla vostra dimensione valoriale, riuscite a sperimentare la vera libertà, la pienezza della vita. Ciò che rende possibile tutto questo, che permette un collegamento armonico, è il cuore, o meglio, un’energia interiore che io definisco spirito. Sono tre le componenti che considero: il corpo, la psiche e lo spirito. E considero la libertà attuata, la libertà in azione, la presenza della libertà mediante consapevolezza, creatività e responsabilità. Da questo, soltanto da questo, scaturisce dentro noi un’infallibile gioia”.
L’augurio alla libertà, una libertà vera poiché consapevole, creativa e responsabile. Una gioia costruita, sentire che accompagna, frutto anche di dolore, di elaborazione e di un guardare a se stessi, considerando la preziosità di questo rapporto.
“Che colore ha il futuro dentro la vostra interiorità?” ha domandato il filosofo. Sentire pienamente la propria esistenza secondo Mancuso diviene ancora più importante oggi, in un mondo dove le organizzazioni totalitarie rappresentano più che mai un qualcosa pronto a prevalere ed a condizionare la mente delle persone. Per questo, “definendole di un’attualità sconcertante”, ha voluto concludere leggendo delle eloquenti parole di Hannah Arendt: “Noi che abbiamo fatto esperienza delle organizzazioni totalitarie di massa sappiamo che il loro primo interesse è eliminare qualunque possibilità di solitudine. Così noi possiamo facilmente testimoniare non solo come le forme secolari di coscienza, ma anche quelle religiose, vengono eliminate quando non è più garantito lo stare un po’ soli con se stessi. In certe condizioni di organizzazione politica la coscienza non funziona più. Un essere umano non può mantenere intatta la propria coscienza se non può mettere in atto il dialogo con se stesso, cioè se perde la possibilità della solitudine necessaria per ogni forma di pensiero”.
Anche a Mancuso, come a tutti gli altri ospiti del Ponte del Dialogo, gli organizzatori hanno chiesto una parola rappresentativa. “Armonia” quella da lui scelta, consapevolezza racchiusa: la stessa che si legge nella luce del suo sguardo.
In Breve
lunedì 11 novembre