Sono trascorsi quasi quattro mesi dalla tragedia di Caraglio e dalla morte della piccola Anisa Murati. La bambina il 17 luglio scorso si trovava in gita al Bioparco "AcquaViva" con l’Estate Ragazzi della Valle Stura. Una giornata iniziata come tante e che poche ore dopo si sarebbe trasformata in un incubo. All’appello del pomeriggio la bimba, sette anni, non c’era.
Le indagini proseguono nel riserbo massimo tenuto dalla Procura della Repubblica di Cuneo. C’è un registro degli indagati sul quale nelle ultime settimane sono stati iscritti altri due nomi, aggiuntivi ai quattro finora annotati dagli inquirenti. Dal principio vi erano comparsi quelli del gestore dell’area, Roberto Manzi, del parroco di Demonte don Fabrizio Della Bella, nella sua veste di responsabile della rassegna estiva, e di due delle sette animatrici – le due maggiorenni – che quel giorno accompagnavano un gruppo composto da 49 bambini di diverse età.
Nel novero degli indagati si sono ora aggiunti i nomi dell’architetto Graziano Viale, responsabile dell’Ufficio Lavori Pubblici del Comune di Caraglio, che si occupò dell’assegnazione tramite gara della gestione dell’area, e quello del direttore dei lavori e progettista del Bioparco, Stefano Ferrari.
Sei indagati con sei diverse posizioni, su cui il pubblico ministero sta cercando di fare chiarezza nell’ipotesi di possibili reati anche molto diversi tra loro. Gli accertamenti tecnici sullo stato dei luoghi non attingono infatti alle posizioni delle due animatrici maggiorenni e del sacerdote di Demonte, cui potrebbe essere imputata una mancata vigilanza sotto il profilo della colpa.
All’inizio delle indagini ai difensori degli indagati venne notificato l’avviso di un accertamento tecnico non ripetibile circa lo stato dei luoghi dell’area verde di frazione Bottonasco. La consulenza richiesta dal pubblico ministero Alessia Rosati – per cui è previsto lunedì 11 novembre il conferimento incarico ai consulenti -, mira infatti a ricostruire i termini della sua progettazione e costruzione, per verificare la sicurezza dei luoghi. Era tutto a norma?
Dopo la morte della bimba l’area venne sequestrata dalla polizia giudiziaria e il pubblico ministero convalidò l’atto. Nel frattempo, numerosi sono stati gli accertamenti compiuti da Arpa, Spresal e Asl con l’intento di verificare lo stato dei luoghi. Ma le indagini non sono ancora concluse e il quadro tracciato dalla Procura non è ancora completo: il pubblico ministero ha infatti chiesto e ottenuto dal giudice per le indagini preliminari Daniela Rita Tornesi la conversione del "sequestro probatorio" in "sequestro preventivo": detto in altri termini, la sola area del lago balneabile rimarrà confiscata fintanto che si renderà necessario per esigenze cautelari.
Al contempo ci si chiede se le acque da cui Anisa non riuscì mai a uscire non fossero torbide e per quella ragione particolarmente insidiose, quindi. O se il telo nero adagiato sul fondale del lago dovesse, in realtà, essere di un altro colore, più chiaro. O, ancora, ci si interroga sulla presenza di una cartellonistica idonea a avvisare l’utenza circa la profondità delle acque, nonché di altri dispositivi di sicurezza.
Il Bioparco aprì i battenti nell’estate, ma solo nel marzo del 2023 la società "L'arco cooperativa sociale Onlus”, e quindi la famiglia Manzi, si aggiudicò il bando come unica offerente di gara, per 24.000 euro annui da corrispondere al Comune di Caraglio. La concessione ha una durata prevista di 15 anni.
Nel capitolato della concessione appalto del Bioparco, nella sezione “manutenzione ordinaria a carico del concessionario”, quindi del gestore, viene previsto che “è perizia del manutentore saper scegliere e rimuovere le piante in eccesso senza danneggiare il substrato dell’impianto”. Ancora, sempre nel documento, vengono poste a carico del gestore anche alcune operazioni di controllo sugli utenti del biolago e anche “la verifica periodica che le strutture arredo e servizio al biolago (assisti, pontili, massicciate e staccionate) si mantengano in buono stato e, se necessario, programmare interventi manutentori".
Solo la consulenza potrà dare risposta al quesito posto ai consulenti– il professore torinese Bernardino Chiaia, massimo esperto di ingegneria, che aveva offerto una sua relazione anche nel processo per il crollo del viadotto di Fossano –, ovvero se la struttura avesse rispettato o meno tutte le misure di sicurezza.