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Cronaca | 05 novembre 2024, 06:59

Recluso al 41-bis, appiccò il fuoco alla sua cella al Cerialdo: a processo il boss Angelo Lamari

L'episodio nel reparto di massima sicurezza della casa circondariale di Cuneo. L'imputato è accusato di danneggiamento a seguito di incendio nonché di resistenza a pubblico ufficiale

Immagine di repertorio

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“Ero in carcere a Cuneo sottoposto al regime del 41 bis. Nessuno può sapere cosa vuol dire se non chi lo ha vissuto. Ero lì per gravi reati che poi sono finiti nel nulla, ma ci sono voluti sette anni perché qualcuno lo capisse. Ho subito un trattamento disumano,  sono stato colpito da depressione documentata dall'area sanitaria dei tre carceri dove sono stato. Ho tentato più volte il suicidio e ne sto vivendo ancora le conseguenze. C’erano momenti in cui, non per mia volontà, attuavo autolesionismo. Volevo solo morire, non danneggiare cose o persone. Non volevo fare danni, tutto qua”. 

Sono queste le parole con cui, in videocollegamento da un’altra casa circondariale, Angelo Lamari, boss ‘ndranghetista classe 1967, ha spiegato il motivo per cui, nell’ottobre 2021,  appiccò il fuoco alla sua cella del carcere di Cerialdo, dove era recluso e sottoposto al regime di "carcere duro".

Arrestato nel novembre 2018 nell’ambito di un’operazione condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Reggio Calabria, operazione volta a contrastare le infiltrazioni dell’ndrangheta nel Consiglio comunale di Lareana di Borrello (Reggio Calabria), il 58enne, tra gli imputati nel processo “Lex”, venne condannato a diciott’anni dal Tribunale di Palmi due anni dopo. La sentenza di primo grado, però, venne annullata dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria per un difetto di notifica: pertanto e tutto è da rifare.

Nel corso dell’istruttoria al Tribunale di Cuneo sono stati ascoltati come testimoni gli agenti di polizia penitenziaria che intervennero quel giorno: “Ci siamo buttati nelle fiamme per tirarlo fuori dalla cella e portarlo in salvo”, ha spiegato uno di loro al giudice. “Abbiamo aperto la camera, ma lui non voleva uscire. Stavano bruciando materasso e suppellettili”. 

Lamari, oltre a essere accusato di danneggiamento a seguito di incendio, deve anche rispondere di resistenza a pubblico ufficiale.

Alla domanda del pubblico ministero su come l’imputato abbia effettivamente posto resistenza, il vice ispettore ha risposto di aver notato che, una volta aperta la porta del blindo, il boss avrebbe fatto un passo indietro, dentro le fiamme. “Penso volesse togliersi la vita - ha concluso - . Ci è voluto circa un quarto d’ora per spegnere le fiamme con l’estintore.  Avevamo messo le mascherine, non si respirava. Lui è stato portato in infermeria”.

Il 12 febbraio prossimo la discussione del processo.

CharB.

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