Sarebbe interessante provare a fare il conto delle giornate che, negli ultimi tre anni, Zelensky ha trascorso nella sua postazione di comando a Kiev e di quelle in cui era in giro per il mondo, perennemente vestito in tenuta mimetica, modello Fidel Castro, per cercare di ottenere finanziamenti e armamenti per opporsi al nemico Putin.
Bisogna ammettere che, nei primi tempi, sia la sua mise operativa che la sua postura di estremo baluardo della libertà del mondo occidentale hanno funzionato e fatto presa su opinione pubblica e governanti occidentali, che lo hanno supportato sotto ogni aspetto.
Il primo sussulto sulla credibilità del leader ucraino arriva con il fallimento della “madre di tutte le controffensive” nella primavera/estate 2022, pochi mesi dopo l'aggressione di Mosca. Annunciata in pompa magna come se dovesse essere il meritato castigo per i Russi, più volte rimandata per ignote motivazioni e poi finalmente avviata, con una fiacchezza che non lasciava spazio alle grandi illusioni iniziali. Un'operazione che suscita stupore ed incredulità negli addetti ai lavori avulsi dalla propaganda perché, da che mondo è mondo, il fattore sorpresa è un elemento fondamentale per il successo militare in generale, figuriamoci per una fase controffensiva che, notoriamente, è sempre finalizzata a spiazzare, scompensare e, appunto, sorprendere il nemico.
Probabilmente, la vere preoccupazioni per Zelensky in tutta la faccenda sono l'aspetto mediatico e la necessità di mantenere in tensione l'attenzione internazionale. Questi obiettivi sono ancora una volta conseguiti, ma ciò che avviene nella sostanza sul terreno ottiene solo delle perdite tra le fila delle unità ucraine, un duro colpo al morale delle truppe ed il serio malcontento dei Vertici militari i quali, sin dall'inizio e senza nascondersi, credevano poco o niente nell'opportunità di sprecare risorse in un'azione che aveva più natura di show che di vera operazione. E infatti, di li a poco, Zelensky pensa bene di sostituire quella leadership della Difesa, tra l'altro in fiducia con le truppe e sempre più popolare tra la gente, la quale, in un modo o nell'altro, sino a quel momento aveva comunque dato filo da torcere alla supponente operazione speciale di Putin, mortificandone le velleità.
Passato più di un anno in cui le forze russe, pur se molto lentamente, hanno continuato a guadagnare terreno nel Dombass, ad ottobre 2023, per Zelensky emerge un serissimo problema, per lui prioritario anche rispetto all'andamento non proprio positivo delle operazioni. L'interesse internazionale viene fagocitato dalla crisi medio orientale e, progressivamente ma decisamente, l'Ucraina passa in secondo piano, per cui scatta la genialata da palcoscenico del leader ucraino, per rilanciare la curva dell'attenzione che lo riguarda. Un attacco al territorio russo è quello che ci vuole per tornare al centro degli interessi e per ravvivare gli entusiasmi della propaganda mediatica, anche occidentale, che addirittura arriva a definire questa astuta mossa come “la possibile svolta della guerra”.
In realtà, anche stavolta i vertici militari ucraini non sono concordi con l'“assolo” del loro Premier, perché la pressione dei Russi sta aumentando nei due Oblast del Dombass di Donec'k e Luhans'k, così come migliora la loro progressione sul terreno, con le forze di Kiev, sempre più logore e provate, che si ritirano da importanti posizioni che tenevano sin dall'inizio della guerra, la cui perdita apre la via verso il nord del Paese al nemico.
Come previsto dai suoi generali che, in fondo, la guerra la sanno fare, l'iniziativa di Zelensky nell'area russa di Kursk tradisce gli entusiasmi occidentali, perché Putin, per quanto all'inizio sia effettivamente sorpreso da tanta tracotanza ucraina, ha le risorse per reagire e per riprendersi quei pochi km quadrati che aveva perso, senza assolutamente distogliere unità dallo sforzo che sta avendo successo in Dombass. In compenso, Kiev riesce nell'intento di logorare ancor di più i suoi reparti migliori (molto probabilmente integrati da contractors presumibilmente USA), che il Capo (comico) ha voluto impiegare nella sua uscita “fuori porta”.
Ma l'ardimento creativo di Zelensky non ha limiti per cui, con la dote di un quadro operativo, che definire deficitario è eufemistico e che è costretto a confidare nell'alleato inverno per rallentare i Russi, nei giorni scorsi ha avuto il coraggio di tirare fuori dal cilindro niente meno che un “Piano per la vittoria”, che ha già presentato alla Verchovna Rada (Parlamento ucraino), al Consiglio Europeo e ai Capi di Governo di Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna e pure Italia.
Un piano articolato in cinque punti, in merito al quale il Leader ucraino ha lanciato il suo ennesimo proclama “Se sarà sostenuto dai nostri partner, possiamo concludere la guerra entro la fine del prossimo anno”. Quindi, dopo aver bruciato miliardi di dollari di finanziamenti (che sarebbe interessante verificare dove sono finiti), ricevuto e buttato nella mischia mezzi, materiali e munizioni per lo stesso valore e, soprattutto, aver portato quasi al punto di rottura le proprie forze, ora Zelensky ci dice che se i Partner (cioè noi) sostengono questo suo piano, entro un anno si vince la guerra. Tutto questo si può definire come fantastico, così come d'altra parte ha fatto il più tenero degli oppositori ucraini a questa ulteriore genialata, affermando “sono parole vuote scollegate dalla realtà” (On. Oleksy Honcharenko).
Ma vediamo quali sono i 5 magici punti che compongono questo piano con ambizioni di vittoria, anche se sarebbe sufficiente fermarsi al primo, per comprendere chiaramente e con immediatezza dove Zelensky voglia far finire la punta della bacchetta magica, con cui intende attuare il suo incantesimo.
E infatti, al primo alinea si legge “Adesione immediata dell'Ucraina alla NATO”, conditio sine qua non affinché il gioco di prestigio riesca. Questo perché, diventando subito Membro effettivo dell'Alleanza, l'Ucraina si porterebbe in dote la guerra con la Russia per cui, in virtù dell'Articolo 5 del Trattato della NATO (che prevede la Difesa Collettiva), il conflitto diventerebbe un problema di tutta l'Alleanza. E voila les jeux sont faits, perché con la NATO in guerra contro la Russia, le cose assumerebbero un aspetto decisamente diverso per Kiev. E pure per noi.
Di fronte ad un assunto di tale portata, i punti successivi del Piano per la vittoria potrebbero apparire di secondo piano, tuttavia, possono contribuire efficacemente a delineare il tenore delle pretese di Zelensky.
Al secondo punto, egli ribadisce agli Alleati la richiesta di autorizzazione ad utilizzare le armi a lungo raggio anche in territorio russo, aspetto oggetto di discussione nell'ultimo periodo presso le maggiori Cancellerie occidentali, pochissimo convinte di concedere tale possibilità. Anche perché Mosca ha già ripetutamente ribadito che, qualora ciò accadesse, verrebbe considerato come una partecipazione al conflitto della NATO, con tutte le conseguenze del caso. E voila les jeux sont faits!
Al terzo punto propone all'Alleanza di schierare in Ucraina un non meglio specificato “Pacchetto di deterrenza strategica non nucleare”. Praticamente, il “mago di Kiev” vorrebbe delle Forze della NATO ufficialmente schierate nel suo Paese, che dovrebbero fungere da dissuasore per Mosca. Il gioco di prestigio, in questo caso, sarebbe che un eventuale loro ingaggio in combattimento con i Russi attiverebbe automaticamente il già citato Articolo 5. E voila les jeux sont faits!
Con il quarto Zelensky mette in bancarella le risorse ucraine (uranio, titanio, litio e grafite), che lui stima per un valore di oltre mille miliardi, proponendo a Washington e Bruxelles di porle sotto il loro scudo protettivo, che verrebbe ripagato con la prelazione per il loro sfruttamento. Un allettante specchietto per le allodole, ma che anche in questo caso potrebbe comportare un coinvolgimento della NATO nella guerra, perché le citate risorse non si proteggono con gli ombrelli, ma con assetti militari che presuppongono lo spettro del solito articolo 5. E voila les jeux sont faits!
Infine, con il quinto punto il Premier di Kiev cerca di blandire soprattutto gli Americani. Infatti, presupponendo ottimisticamente di essere già Membro della NATO e di aver concluso vittoriosamente la guerra, Zelensky afferma che le sue truppe saranno tra le più esperte in Europa e potranno benissimo sostituire parte delle Forze USA nel Vecchio Continente. A parte il fatto che, se continua così, le forze esperte di Kiev che sopravviveranno saranno purtroppo pochine, indubbiamente, la prospettiva sembrerebbe allettante per Washington, che attualmente ha grattacapi ed esigenze di soldati in mezzo mondo. In realtà, si sposa proprio poco con l'interesse strategico americano di “non mollare l'osso europeo” (anche parzialmente), che gli consente di mantenere sia il controllo su una delle aree più importanti del mondo sia “il fiato sul collo” dell'Orso russo.
Sin dai primi momenti delle varie presentazioni del suo “Piano per la vittoria”, Zelensky si deve essere reso conto che il famoso detto “non c'è trippa per gatti” stava uniformemente pervadendo l'approccio dei suoi interlocutori occidentali, molto probabilmente fortemente condizionati dallo spettro (non potrebbe esserci appellativo migliore) del citatissimo Articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico. Questo avrebbe sicuramente indotto a più miti consigli qualsiasi leader di governo, ma non quello ucraino perchè, fondamentalmente, rimane sempre e comunque un uomo di spettacolo. E quando uno showman vede che il suo recital sta fallendo tenta il tutto per tutto con la battuta del secolo.
Così ha fatto Zelensky di fronte alle titubanze occidentali, ricordando a NATO e UE che l'Ucraina, nel recente passato, era in possesso di migliaia di testate nucleari retaggio dei trascorsi sovietici, a cui rinunciò fidandosi delle garanzie di sicurezza sottoscritte da USA, Cina, Russia e altri Stati europei. Un remember sicuramente non fine a stesso, tanto che è stato interpretato dalla maggior parte degli analisti e dei politici come una sorta di “ricattino” del tipo “o entriamo nella NATO o ci armiamo nel nucleare”. Il Leader di Kiev si è affrettato a smentire una simile interpretazione delle sue parole, ma c'è la consapevolezza generale che l'Ucraina ha le risorse ed il know hov tecnico e gestionale per perseguire un riarmo atomico. E siccome in una parte importante della vita di Zelensky vale il detto “the show must go on”, non si vorrebbe che Kiev trovasse anche la determinazione per seguire tale e pericolosa via.
Ma il futuro dell'Europa ha una valenza ben diversa da uno spettacolo per cui potrebbe essere arrivato il momento per la Comunità Internazionale, soprattutto NATO e UE, di pretendere che l'Ucraina si doti di un interlocutore che non si senta costantemente su un palcoscenico. E in fondo, non sarebbe un'aspettativa così impossibile da soddisfare, perché il malessere interno verso Zelensky è ormai decisamente evidente.