Si sarebbe potuto credere che Israele, Membro delle Nazioni Unite dal 1949, potesse aver toccato il fondo nei suoi rapporti con la massima organizzazione internazionale del mondo, dichiarando ufficialmente il Segretario Generale Antonio Guterres come “persona non gradita” e impedendogli, di fatto, il permesso di ingresso nel Paese.
Invece, i fatti delle ultime ore hanno dimostrato che lo Stato ebraico ha saputo far di meglio di una mera dichiarazione, grave nei contenuti, ma in fondo solo formale negli effetti.
Infatti, al pari di quanto riuscirono a fare le peggiori milizie serbo-bosniache in Bosnia negli anni '90, che peraltro furono ferocemente bombardate dagli aerei americani e della NATO, le forze militari israeliane hanno ripetutamente sparato contro i caschi blu della Forza UNIFIL, che dal 2006 presidia il confine tra il Libano e Israele.
Al momento, i soldati ONU feriti sono 4, di cui uno in maniera grave, ma gli atti ostili verso UNIFIL sono stati molteplici, anche contro basi occupate da militari del Contingente italiano e, quello che è peggio, sono stati palesemente deliberati, anche se gli Israeliani tergiversano a fornire spiegazioni, nel tentativo di trovare insostenibili motivazioni.
Infatti, un carro armato moderno, dotato di sistemi di puntamento sofisticati come il Merkawa, se spara contro una postazione ben segnalata, come sono normalmente quelle ONU e che è li da anni, per cui la sua posizione è ultranota, non lo fa per errore, ma perchè vuole colpire proprio quel bersaglio. Se poi non capita solo una volta, allora si tratta di un'azione premeditata che ha i suoi buoni motivi.
E le motivazioni sono da ricercarsi nelle pretese israeliane, di qualche giorno fa, di far arretrare di qualche chilometro il dispositivo di UNIFIL, allontanandolo dal confine e, soprattutto, dalla principale zona di scontro tra le IDF – Israel Defence Forces e le formazioni di Hezbollah. Praticamente, così come ha fatto in tutti questi mesi nei suoi attacchi a Gaza, il Comando israeliano ha emesso nei confronti di UNIFIL una sorta di “ordine di sgombero” in modo da poter avere mano libera per condurre le sue operazioni.
Il problema però per Tel Aviv è che una Forza Multinazionale dell'ONU non è una massa di povera gente palestinese, che se non scappa dal suo quartiere, entro il ristretto tempo concesso, corre il serio rischio di rimanere sotto le macerie dei suoi palazzi bombardati.
Dietro un Forza Multinazionale c'è praticamente il mondo, rappresentato dal Consiglio di Sicurezza, l'organo decisionale più potente delle Nazioni Unite, c'è una Risoluzione che sancisce la legittimità di quella missione e ci sono anche tutte le Nazioni che forniscono le truppe. E quelle coinvolte in UNIFIL arrivano praticamente da tutti i Continenti della terra, con ben 50 Paesi, compresa l'Italia che, per anni, ha garantito la leadership militare dell'operazione.
E se oltre 40.000 morti (di cui 13.000 bambini) e più di un milione di sfollati, che le operazioni di Israele in questi mesi hanno provocato a Gaza, non erano stati sinora sufficienti a suscitare una vera, profonda e convinta indignazione da parte delle Nazioni occidentali, ci sono riusciti in 48 ore i 4 soldati feriti e le basi colpite di UNIFIL.
Tra le tante autorità governative europee che hanno espresso la loro contrarietà, anche il Ministro della Difesa italiano Crosetto il quale, dopo aver tuonato “non prendiamo ordini da Israele” è arrivato addirittura ad affermare che “l'attacco di Israele a UNIFIL è un crimine di guerra”, perchè non trova supporto in “nessun motivo militare e nessuna giustificazione”.
In realtà, Israele afferma di avere le sue motivazioni militari, perché secondo Tel Aviv, la missione ONU ostacola le sue operazioni di combattimento contro le formazioni di Hezbollah, che sembra stiano cercando di sfruttare la protezione indiretta delle posizioni delle truppe ONU.
Ma si potrebbe anche pensare che Israele non gradisca molto la presenza di testimoni nell'area di operazioni, per di più delle Nazioni Unite, quindi ufficiali ed imparziali. Questa supposizione potrebbe trovare supporto anche nel fatto che i colpi israeliani hanno distrutto, in maniera particolare, le telecamere di sorveglianza ed i sistemi di comunicazione delle basi ONU.
Quindi i caschi blu costituiscono indubbiamente una presenza molto scomoda. Un problema che a Gaza non esiste. Infatti, nella Striscia le uniche testimonianze, con un accettabile grado di attendibilità, sono garantite dai giornalisti, dei quali però ne è stata fatta una vera e propria strage, visto che in sette mesi ne sono morti più di 110. Un' ecatombe, se si pensa che in Ucraina, dall'inizio della guerra (22 febbraio 2022), ne sono morti “solo” 32. Tutto nell'indifferenza generale da parte dei Governi occidentali.
Nelle ultime ore, per bocca del ministro Crosetto, il Governo italiano è tornato ad invocare un cambio delle Regole di ingaggio per i soldati di UNIFIL i quali, attualmente, non hanno praticamente l'autorità per poter intervenire ed usare le armi, se non per autodifesa e per difesa degli assetti dell'ONU.
Potrebbe sembrare una soluzione ovvia, tuttavia, è opportuno riflettere anche su questa via, per le problematiche che potrebbe comportare.
Proviamo a ragionare sull'esempio delle missioni, come Afghanistan ed Iraq, in cui i militari delle missioni di pace potevano impiegare la forza, ovviamente sempre proporzionata, per imporre il rispetto del mandato assegnato dalla Risoluzione ONU.
Proviamo a fare una trasposizione su UNIFIL, facendo riferimento al Contingente italiano. Il primo problema da risolvere sarebbe l'armamento in dotazione alle unità. Attualmente, le nostre forze ONU in Libano dispongono solo di armamento leggero e blindati “Lince”. Non dispongono di mezzi ed armamento più pesante e tanto meno di quegli assetti aerei (elicotteri d'attacco e cacciabombardieri) che invece erano presenti in Afghanistan e Iraq. Non dispongono neanche di assetti pesanti del genio, in grado di garantire una certa libertà di movimento in scenari minati e di Forze Speciali.
Per quanto riguarda invece la sostanza della missione, si può immaginare che le nuove regole di ingaggio invocate dal Ministro Crosetto siano finalizzate a conferire a UNIFIL la possibilità di utilizzare la forza per imporre il rispetto di quanto previsto dalla Risoluzione ONU. Ammettendo che rimanga valido l'attuale mandato, i compiti principali sarebbero quelli di smilitarizzare l'area a ridosso del confine, precludendo la presenza sia alle IDF che alle formazioni di Hezbollah, al fine di consentire all'Esercito libanese di occuparla progressivamente.
Quindi, qualora qualcuno non intendesse rispettare il Mandato, UNIFIL glielo dovrebbe imporre, anche usando la forza. Tutto teoricamente ineccepibile, ma occorre tener ben presente che quel “qualcuno” potrebbero essere le formazioni di Hezbollah o le forze di Israele o, ancora peggio, entrambe.
Una situazione veramente difficile, che potrebbe anche generare combattimenti dagli esiti talmente disastrosi da essere impensabili.
Quindi, a meno che nelle mani del Ministro Crosetto ci sia una soluzione che sia in grado di risolvere la situazione, ma senza incorrere in drammatici problemi (ma sussistono dubbi che possa essere così), una missione UNIFIL in “versione Afghanistan” sembra essere una via di scarsa convenienza.
Cosa rimane allora? Rimane un deciso, netto e drastico cambio di strategia da parte della Comunità Internazionale verso Israele, che arrivi finalmente ad imporgli, anche con provvedimenti duri (sanzioni, nessun rifornimento di armi e munizioni, ecc.), il rispetto di quel Diritto Internazionale e di quei Diritti umani che il resto del mondo riconosce.
Finché gli Stati Uniti, che si ritengono i depositari della giustizia mondiale e dietro a loro gran parte delle Nazioni occidentali (Italia compresa), si limitano ad esprimere ”preoccupazione” e non “condanna” di fronte ad uno Stato, definito evoluto e democratico, che non si preoccupa minimamente delle perdite civili che provoca e che ignora completamente l'Autorità dell'ONU, arrivando a ferire i soldati che la rappresentano, non si potrà trovare una soluzione che possa portare, quanto meno, ad un cessate il fuoco e all'avvio di un processo negoziale di pacificazione. In poche parole, Israele deve tornare tra i ranghi di quella Comunità di Nazioni civili per cui il Diritto Internazionale non è carta straccia.