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Attualità | 12 ottobre 2024, 10:07

Trifole, il film di Gabriele Fabbro girato nelle Langhe è un'ode al fallimento: "Non si deve avere paura di sbagliare"

Le riprese tra Alba e Dogliani lo scorso novembre, è al cinema dal 17 ottobre. Il regista: "Mai visto un posto in cui le persone rispettano la natura come in questi luoghi. La storia è stata fatta da loro"

Trifole, il film di Gabriele Fabbro girato nelle Langhe è un'ode al fallimento: "Non si deve avere paura di sbagliare"

"Tengo molto all’idea di preservare e portare nel mondo le tradizioni locali italiane, soprattutto perché queste tradizioni rischiano di essere soffocate dalla velocità del mondo contemporaneo. Trifole - Le radici dimenticate rappresenta il culmine di questo desiderio” così Gabriele Fabbro presenta il suo ultimo film girato interamente lo scorso novembre tra le nebbie e il foliage dell’alta Langa.

Il regista ha trascorso due anni nelle terre di Fenoglio e di Pavese, raccogliendo storie di tartufai locali, agricoltori, nonni, insegnanti e istituzioni. “Credo sia necessario rispettare e conservare la natura e le proprie radici”.

Quali sono le zone e il periodo in cui è stato girato? 

“Non conoscevo niente delle Langhe e del tartufo. Siamo passati dai territori di Alba e dintorni a  quelli dell’alta Langa, dove le vigne non sono ancora arrivate come Dogliani, Bossolasco e ancora oltre. Come se pian piano dalla Alba moderna si tornasse indietro nel tempo. Per me è stata una scoperta". 

Perché ha scelto queste zone?

Stavo cercando spunto per un’altra storia, in realtà l’unica cosa che conoscevamo dei tartufi era quella dei trifolau che cercavano di notte. Allora insieme alla mia co-sceneggiatrice abbiamo pensato a quante avventure potevano vivere, una vera e proprio caccia al tesoro avvincente. Non mi sarei immaginato di innamorarmi delle Langhe, ma la cosa più importante che ho scoperto è il modo in cui le persone di qui rispettano la natura. Finora non ho mai visto un posto in cui la gente fa tutto a seconda dei tempi che ha la natura, in un rapporto simbiotico. I trifolau sono quelli che più rispettano la natura. Quello che vorrebbero è insegnare alle nuove generazioni a non togliere alberi, ma a piantarli, la trovo una cosa bellissima”. 

Durante le riprese, l’intera troupe è stata accolta calorosamente dagli abitanti del posto. C’è qualche ricordo in particolare durante le riprese che ti ha colpito dell’approccio delle persone del luogo?

“Una signora in particolare mi aveva raccontato questo dettaglio che in passato si facevano i ravioli del plin e che quelli fatti male li bruciacchiavano sulla stufa, li chiamavano pop corn. Una cosa veramente incredibile. Ecco queste tradizioni non si trovano sui libri, ma nella memoria delle persone”.

Il film rispecchia le ansie e le preoccupazioni della popolazione langarola per il futuro? 

“Il film lo hanno fatto loro davvero. Io ho solo messo in luce i problemi che hanno le Langhe, il conflitto tra quelli che fanno le vigne e i trifolau. È una cosa che sanno tutti, ma un tempo non era così. È una situazione delicata perché il vino è più facile da produrre e porta lavoro, mentre il tartufo è molto più delicato. Il rischio è quello di perdersi”. 

Tra i protagonisti ci sono Ydalie Turk, nel ruolo della nipote Dalia al suo primo film, Umberto Orsini, che nel ruolo del nonno Igor torna sul grande schermo con un’interpretazione magistrale, Margherita Buy, che con delicatezza interpreta il ruolo della madre single Marta che ha abbandonato le sue radici. Ma a conquistare lo schermo è Birba, un vero cane da tartufo non addestrato che accompagna Dalia nel suo percorso.  Come è stata scelta? 

“Mi sono innamorato di Birba. Abbiamo fatto delle audizioni, escludendo i cani da cinema perché non si comportavano da cani da tartufo. Loro hanno il muso sempre sotto terra. Abbiamo cercato cani da tartufo, ma birba magicamente era l’unica che non si agitava. I cani da tartufo in genere abbaiano e sono molto agitati. Lei era l’unica che sembrava una saggia. Di base fa solo un solco quando sente il tartufo e lascia che il padrone lo prenda, senza morderlo. È stata addestrata da uno dei trifolau più conosciuti, un uomo misterioso che purtroppo è morto in macchina proprio mentre andava a cercare tartufi.Birba è rimasta di fianco a lui fino all’ultimo”.

In generale, questa è una una storia di fallimenti? E di conseguenza di come rialzarsi e ricominciare? 

“La chiave è proprio quella del fallimento. Per me era importante mostrare che una persona può sbagliare, ma anche fare una cosa giusta che la arricchisca. Molte persone della mia età, delle nuove generazioni, sono abituate all’idea di non poter mai sbagliare, dobbiamo essere perfetti. Molti hanno paura di affrontare questi problemi per paura di sbagliare. Bisogna fregarsene. Sbagliare serve. Alla fine del film, la protagonista capisce l’importanza della famiglia, mentre il nonno sa che la sua memoria non andrà perduta, ma è stata lasciata alla nipote. C’è un fallimento esterno, ma un compimento interiore che non può avvenire se non si fallisce”.

Il film è stato realizzato con il contributo del PR FESR Piemonte 2021-2027 - bando “Piemonte Film TV Fund”, con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte e sarà in sala dal 17 ottobre.

Chiara Gallo

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