Intorno alle 04.30 del 25 luglio scorso, un centinaio di aerei da combattimento israeliani, circa un terzo dell'intera forza della Heyl Ha'Avir (Israel Air Force), ha attaccato il sud del Libano, che rimane ancora agli occhi di tutto il mondo uno Stato sovrano, colpendo una quarantina di obiettivi di Hezbollah, il Partito di Dio, la cui ala politica è membro effettivo del governo di Beirut.
Questa massiccia azione, che è stata ufficialmente definita da Tel Aviv un “attacco preventivo”, ha ricevuto l'ammirato plauso di gran parte dei media occidentali, che l'hanno osannata come una magistrale operazione di Intelligence, che avrebbe consentito di vanificare il presunto piano di Hezbollah, di attaccare Israele con lanci di razzi e droni.
A parte le reciproche schermaglie di propaganda, che si sono registrate da parte dei due contendenti, immediatamente dopo che i cacciabombardieri israeliani erano rientrati alle basi, in realtà la Comunità Internazionale occidentale si è fatta bastare la versione fornita dalle Forze Armate israeliane, come unica fonte informativa a sostegno della veridicità di quanto sarebbe avvenuto. In pratica, Tel Aviv avrebbe attaccato Hezbollah mezz'ora prima che questi, a sua volta, attaccasse Israele. Tutto estremamente efficiente ed efficace, ma senza che nessuno si sia preso la briga di verificare che quanto dichiarato dagli Israeliani fosse effettivamente vero.
Tutto questo sembra far degnamente parte di un momento storico in cui le leggi, i Trattati e le Convenzioni che dovrebbero regolare la convivenza delle Nazioni del mondo e, più in generale, il Diritto Internazionale, vengono presi in considerazione solo quando sono convenienti alla propria causa.
Ciò vale anche per l'Attacco preventivo serenamente messo in atto e dichiarato da Israele.
Infatti, questa particolare procedura operativa non è contemplata dal Diritto Internazionale, che non prevede che il sospetto di una aggressione possa costituire il giusto motivo per “menare le mani per primo”.
L'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite sancisce che sussiste “il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, sino a quando il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”. Pertanto, appare chiaro che, nelle more di un intervento dell'ONU, chiunque può reagire ad un'aggressione ricevuta, ma non si presuppone assolutamente che tale reazione possa essere lecita nel caso del solo sospetto di ricevere un attacco.
Quindi questo è quanto è sinora ufficialmente valido nel Diritto Internazionale, che dovrebbe essere vigente per tutti e da tutti essere rispettato.
Tuttavia, è necessario sottolineare che, soprattutto a seguito dell'attacco alle Torri gemelle e dei successi atti terroristici, è maturato un movimento di pressione in ambito ONU, ovviamente capeggiato dagli Stati Uniti, a quel tempo rimasti la sola superpotenza mondiale, che ha cercato di modificare l'interpretazione ufficiale del citato articolo 51, estendendo la possibilità di usare la forza per prevenire un possibile attacco, anche senza l'avallo delle Nazioni Unite.
Nella scia delle pretese di Washington si sono subito poste Mosca e, guarda caso, proprio Tel Aviv. Tutte Nazioni che la storia, anche quella recente, ha segnalato come poco propense al rispetto del Diritto Internazionale vigente.
E se si parla di guerra o attacco preventivo, non si può non ricordare l'attacco all'Iraq, fortemente voluto dal Presidente Bush Junior, il quale cercò invano l'avallo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ottenendo solo l'impegno dell'allora Segretario Generale di portare l'argomento all'attenzione del “High-Level Panel of Eminent Persons“ (Panel di alto livello di eminenti persone), organo che, tuttora e senza grandi risultati, sta valutando le eventuali modifiche da apportare all'assetto delle Nazioni Unite, sulla base delle proposte delle varie Nazioni.
Nei suoi “lavori” di questi anni, anche nell'ottica che gli Stati Uniti sono i maggiori contributori finanziari delle Nazioni Unite, il citato Panel si è dimostrato abbastanza ossequioso verso le aspettative americane, arrivando a precisare che “uno stato minacciato, in conformità con il consolidato diritto internazionale, può intraprendere un’azione militare nella misura in cui l’attacco minacciato è imminente, non esistono altri mezzi per affrontarlo e l’azione è proporzionata”. Tuttavia, questa valutazione, che già di per se stessa non ha valore giuridico, in quanto ha natura di raccomandazione, è stata corredata da una premessa degna del più bieco ma tipico bizantinismo di cui spesso patisce l'ONU. Infatti, il Panel premette che “l’articolo 51 non deve essere né riscritto né reinterpretato, nè per estenderne la sua consolidata funzione che è quella di permettere misure preventive in risposta a minacce non-imminenti, nè per restringerne la portata sì da limitarne l’applicazione soltanto agli attacchi in atto”. Un'affermazione che ha suscitato l'indignazione di molti giuristi in ambito internazionale, per i quali il testo dell'articolo in questione è molto chiaro e non ammette assolutamente deroghe o estensioni.
Purtroppo però non è di certo questo il periodo migliore per il rispetto del Diritto, sia individuale che collettivo e per l'ascolto di chi lo sostiene in nome della giustizia.
Lo ha denunciato in modo chiaro ed inequivocabile Amnesty International nel suo rapporto annuale 2023-24, che contiene una valutazione dettagliata della situazione in 155 Paesi ed in cui si lancia l'allarme per il “quasi totale collasso del Diritto Internazionale, a causa dell'escalation dei conflitti”.
Vengono citati anche gli Stati Uniti, accusati di fare uno “sfacciato uso del potere di veto per paralizzare per mesi il Consiglio di Sicurezza” sulla decisione di assumere una Risoluzione per il cessate il fuoco tra Hamas e Israele, che viene rifornito di armi e munizioni da Washington “per commettere quelli che con ogni probabilità si configurano come crimini di guerra”.
Israele viene invece citato per il suo “clamoroso disprezzo per il Diritto Internazionale, a cui si associa l’atteggiamento dei suoi alleati, che non riescono a fermare l’indescrivibile bagno di sangue nella Striscia di Gaza”.
Un quadro decisamente preoccupante, soprattutto se si considera che viene puntato il dito anche verso Nazioni che furono fondatrici delle Nazioni Unite, dopo quella Seconda Guerra Mondiale che procurò decine di milioni di morti, in gran parte civili.
Proprio quei Paesi che sottoscrissero nel 1945 tra i primi la Carta delle Nazioni Unite, che comincia con le parole “Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'Umanità”.
Definire la guerra come un flagello è tanto ineccepibile quanto inquietante, così come è inquietante il pensiero che lo sdoganamento morale e mediatico dell'Attacco preventivo di Israele abbia creato il pericolosissimo precedente che ora la guerra sia lecito farla anche per un semplice sospetto.