Economia - 11 agosto 2024, 15:30

Dai ristoranti ai rifugi in montagna la ricerca disperata di personale

“Pienone e al completo”, così si risolleva la stagione estiva cuneese dopo un giugno a rilento per il maltempo. Ma la vera scommessa è avere dipendenti

Immagine di repertorio

La stagione estiva non è solamente avviata, è ormai inoltrata. Rialza la testa con “pienoni e sold out” per molte realtà dopo un giugno incerto a causa del maltempo. Ma per moltissimi esercizi della ristorazione, da quelli tradizionali ai rifugi in montagna, il denominatore comune resta la persistente e incolmabile ricerca di personale.

Fioccano offerte di lavoro che restano inevase. Poco importano le condizioni contrattuali o i benefit inclusi, il sacrificio che richiede la professione sembrerebbe porsi come sbarramento invalicabile.

Da anni il tema è oggetto di polemica, c'è chi sostiene che il problema si trovi nell'inadeguata remunerazione da parte dei titolari della attività economiche e chi, invece, nell'assenza di spirito di sacrificio e passione da parte di chi dovrebbe allinearsi alle necessità del settore.

Gli addetti ai lavori non dimenticano di ricordare che si tratta di un servizio a chi è di riposo o in vacanza e quindi nei festivi e serali, con turni sui weekend. E per chi non è a stretto contatto con il pubblico, ma magari in cucina ai fornelli o al lavello, il lavoro è usurante e va riconosciuto.

Per molti questo lavoro è anche passione e si sa che questa funge da propulsore anche di fronte al sacrificio.

Alberghi e ristoranti faticano a trovare personale e ancora di più qualificato, responsabile e serio.

Tra molti giovani spesso troviamo volenterosi a cui poter insegnare il mestiere con piacere – spiega Giorgio Chiesa, presidente di Fipe Cuneo, Federazione Italiana Pubblici Esercizi -. Ma la situazione della mancanza di personale è drammatica per bar e ristoranti. Assistiamo al proliferare della liberalizzazione delle licenze in cui aumenta l'improvvisazione, senza competenze specifiche che portano fuori mercato, ma anche a breve vita gli stessi esercizi. Il problema sta crescendo a dismisura e si rifà a un insieme di questioni. Da un lato il cambiamento nell'approccio dei giovani, sempre meno disposti a lavorare il sabato, la domenica, i festivi o le sere, dall'altro l'incongruenza tra la scarsità dei giovani formati dalle scuole alberghiere e l'ampia richiesta. Il numero dei diplomati non copre il fabbisogno degli esercizi”.

Sul tema dell'adeguata remunerazione, Chiesa smentisce che vi siano situazioni critiche. “Non è vero che il personale è sottopagato, certo è un lavoro usurante, soprattutto per chi è addetto in cucina. Occorrono, però, la consapevolezza del mestiere, con i suoi lati positivi e negativi, la passione e la voglia di crescere partendo dal basso per poter raggiungere nuovi traguardi e soddisfazione professionale. Serve umiltà e volontà di voler apprendere le competenze necessarie. Oggi gli apprendisti vengono remunerati e un professionista è pagato il giusto, che forse potrebbe non essere abbastanza rispetto al mercato, ma è equilibrato. Per ovviare alla forte carenza di personale serve un cambiamento anche nell'approccio: maggiore umiltà da parte dei giovani e maggiore comprensione da parte degli anziani di servizio. Un fattore culturale che gratificherebbe il personale incentivandolo sarebbero le mance, una forma che dovremmo riacquistare in Italia come diritto, non come dovere”.

Un altro fattore che incide negativamente sulle prestazioni è la perdita graduale di professionalità. “Le scuole alberghiere hanno dovuto riadeguare la didattica ai costi – conclude Chiesa – e questo ha significato una diminuzione delle ore di pratica e di laboratori penalizzando in parte il raggiungimento degli standard richiesti dal mondo del lavoro. Questa discrepanza non favorisce l'inserimento lavorativo o quantomeno lo rende sempre più precario”.

Sara Aschero