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Attualità | 15 luglio 2024, 10:47

Il monregalese Bruno Cappellino espone a Roburent

L'inaugurazione si tiene alle ore 16 di sabato 27 luglio

Il monregalese Bruno Cappellino espone a Roburent

L’artista monregalese Bruno Capellino si è deciso di lasciare la sua città per proporre una interessante rassegna di sue opere nel Comune della Valle Roburentello, in questo periodo estivo  meta di buona villeggiatura. Ad ospitarlo la secentesca Confraternita di Sant’Antonio abate, un tempo sede della Compagnia dei Disciplinanti, impegnato in secoli passati, in attività liturgiche, ma pure in iniziative benefiche e sociali.

Ora è elegante sede di attività culturali, artistiche o letterarie. L'inaugurazione si tiene alle ore 16 di sabato 27 luglio, primo momento di una cerimonia civica che si svolgerà, poi, nella Sala Consiliare e presso il Parco San Rocco, secondo prossimo  comunicato del Sindaco. Capellino proporrà una larga rappresentazione della attuale attività pittorica, con alcune importanti espressioni di altre tecniche meno recenti, riguardanti pure la grafica e la fotografia. Infine ha voluto una chicca, ospitando squisite tavole policromatiche dell’amico pittore Gianni Bava. 

La critica artistica è dell’arh. Lorenzo Mamino, di cui lasciamo alcuni cenni. “Le diverse applicazioni di Capellino sono note: ghirigori al tratto, estratti da ingrandimenti fotografici, tassellazioni, rievocazioni coloristiche, collages cartacei, “mossi” fotografici, macchie di colore pestate o soffiate, ritagli da scarti accumulati, spennellature tutte uguali “a sentimento”(ora lasciate). Quasi tutto su carta. Sempre con piccoli formati, sempre in successioni volta a volta dirette alle singole mostre. Niente da spartire con i pittori monregalesi del tempo andato, né con singoli autori della storia dell’arte moderna. Nulla a che fare con paesaggi e nature morte, costantemente lontano da figurazioni già viste. Un autodidatta autentico e autoreferenziale. Capellino è anche, volta a volta, sempre azzardato e misterioso e, ad ogni mostra, imprevedibile. Le sue sono opere valide perché esistono e sono diverse. Scriveva Hans Arp nel 1932 “Noi non vogliamo copiare la natura. Non vogliamo riprodurre, vogliamo produrre, come una pianta produce i suoi frutti. E siccome non c’è la più piccola traccia di astrazione in questa (nostra) arte, noi la chiamiamo: arte concreta. Le opere di arte concreta non dovranno più essere firmate dai loro autori. Queste pitture, queste sculture - questi oggetti – dovranno restare anonimi nel grande laboratorio della natura, come le nuvole, le montagne, i mari”.

Anche Capellino fino a poco tempo fa non firmava le sue cose e ha cominciato a farlo per l’insistenza dei suoi ammiratori. Ha sempre regalato e disperso i suoi disegni con noncuranza. Ma le sue cose sono state sempre tutte interessanti. Nel tempo ha fatto molte piccole esposizioni, specialmente a Piazza: sempre con raccolte omogenee, ben presentate, con molto impegno, sempre nuove.

La esposizione presente è una prima degna conclusione di un percorso ormai quarantennale e in una sede che è molto aristocratica (l’antico Palazzo di Città). La mostra è molto significativa perchè documenta un po’ la carriera di Capellino, che è una linea operativa precisa sempre lontana dall’arte figurativa e vicina a molte sperimentazioni grafiche. Bruno Capellino però non pratica il mondo della geometria (mai una linea retta, un triangolo, una simmetria, un accenno alla diagonale); ama rifugiarsi in un mondo di fantasie con figure inventate o sorgenti dalla tecnica adottata: figure quasi naturali quando estrae dalla elaborazione fotografica, figure ripetitive e quasi automatiche quando passa alle tassellazioni, figure solidamente nuove quando tenta alla fine il salto nel vuoto, nell’originalità senza la rete, della storia o della natura. Poi Capellino, quasi per scherzo, inventa titoli fantasiosi, molto lontani e per nulla estraibili dai risultati raggiunti. Titoli che paiono irridere le opere e perfino gli ammiratori. Ci sono state serie di opere, anche recenti, come quella messa insieme per un progetto di etichette da vino o quella ultima di “collages” o ancora quella dei primi anni Duemila con ghirigori ricorrenti che rivelano in lui una capacità inventiva solida e programmata. Non è solo fantasia o immaginazione vaga o prova di figure, no, è lucida determinazione, giusta scelta dei mezzi espressivi, salda potenza o convinta leggerezza.

Qui Capellino è molto lontano da Hans Arp e dagli artisti del MAC di Milano. Là si voleva privilegiare ancora una conclusione intellettuale. Qui siamo più vicini, nei risultati, all’arte per l’arte, all’arte dei situazionisti (Piero Simondo per tutti), all’arte trovata. Ma, sempre Arp, diceva che “l’arte è legata al caso” e che solo i bambini sono già vicini all’arte perché capaci “di un completo abbandono all’inconscio”. Capellino è molto interessato all’arte che viene da sé, che è solo da tirar fuori dai processi che si innescano, che non ha bisogno di maestri cui guardare o dove copiare. Ultimamente si è dedicato molto all’arte-puzzle, dove casualità (le divisioni) e meccanicità (le campiture) risolvono il problema di dover riempire il foglio bianco, Non ha mai tentato seriamente forme autonome o colori dal contorno netto, ma anche mai forme e colori imprecisi e impastati. Lascia che il colore ceda al tratteggio colorato o ad accostamenti prefissati e che le forme emergano dai procedimenti di lavorazione. Anche nelle ultime sue composizioni. Esse però rivelano sempre, alla fine, forme archetipe e primordiali, giochi di fantasia improvvisati. Il tentativo è sempre quello di comporre tasselli ripetuti, tutti diversi, dove però il risultato finale della collezione di insieme pure precostituito risulta però casuale. E sempre nuovo. Il ”gioco delle costruzioni ” come passaggio obbligato dove i singoli “pezzi” sono anch’essi continuamente inventati. Però è quanto accade anche nella “costruzione della città di Arezzo” dipinta contro il cielo da Piero della Francesca, riempita di case, di torri e di chiese, città non reale ma fantastica ed è quanto capita nelle “città invisibili” di Italo Calvino. Si è detto dunque della lontananza di Capellino dalla natura, della sperimentazione che è segno di scienza e di razionalità, preludio sempre della proporzione e del numero. Si è detto che occorre rimarcare anche sempre una fantasia primitiva, libera e scanzonata. Giacomo Leopardi diceva che “bisogna sottrarre l’immaginazione dall’oppressione dell’intelletto…scarcerarla…” (Discorsi).

Ecco Capellino: perso nei segni più che nei colori, quando usa i colori cerca sempre di arginarli, di delimitarli. A meno dei tentativi di “colori a zonzo” ma con l’aiuto di un artificio: premere i colori sul foglio e lasciare che il foglio li recepisca un po’ senza senso, lasciare mescolanze e sovrapposizioni al caso. Esperimento e voglia di fare, sempre, con la pittura e con la fotografia, sono alla fine le caratteristiche di questa” arte concreta” sbocciata a Mondovì invece che a Milano. Non si sa se questa prima lettura basti a delimitare il campo dell’opera di Capellino, anche se tenta di tracciarne i contorni.  Restiamo in attesa di altre prove, di altre serie di prove, di altri innamoramenti. Ora questa mostra può servire a mettere un punto fermo, offre  la possibilità di confrontare il suo lavoro con altri lavori e opere e vederne diversità e somiglianze, come occasione per capire. Per questo si fanno le mostre.”

c.s.

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