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Cronaca | 15 luglio 2024, 18:54

Crollo del viadotto sulla tangenziale di Fossano, la difesa: "Il cedimento era prevedibile, Anas doveva controllare"

A settembre, oltre alle repliche della Procura che ha chiesto sette condanne e cinque assoluzioni, il giudice Giovanni Mocci emetterà la sentenza che chiuderà in primo grado l'inchiesta sul ponte "La Reale". In aule le ultime arringhe

Crollo del viadotto di Fossano, immagine d'archivio

Crollo del viadotto di Fossano, immagine d'archivio

La mancanza di boiacca (una miscela di cemento, acqua e additivi) e la presenza di infiorescenze e colatura visibili sulla struttura esterna del viadotto di Fossano potevano farne presagire il crollo?

È questo il quesito attorno al quale si è costruito il procedimento in corso al tribunale di Cuneo, volto a far luce sulle cause che portarono al collasso del ponte avvenuto il 18 aprile 2017 e che il 24 settembre otterrà una risposta con la sentenza del giudice Giovanni Mocci.

Nell’ultima udienza celebratasi stamane, lunedì 15 luglio, sono state ascoltate le ultime arringhe degli avvocati Enrico Calabrese, per M.T. e di Pierluigi Ciaramella a difesa M.S.

Il primo, geometra e direttore di cantiere per le Imprese Grassetto per i quali la Procura aveva chiesto la pena sospesa di 2 anni di reclusione sostenendo l’accusa di disastro colposo, il secondo, invece, tecnico Anas, all'epoca neoassunto; del legale Francesco Sgambato per M.G. e M.R.V., il primo amministratore unico e la seconda responsabile tecnico della ditta appaltante Pel.Car che si occupò dei lavori eseguiti sulla circonvallazione nel 2006 quando venne scarnificato il manto stradale e infine quella del difensore Marco Landolfi per G.A., un ingegnere Anas.

Le richieste dell’accusa sono state quella di assolvere l’amministratore dell’azienda appaltante e di condannare alla pena sospesa di un anno e due mesi l’ingegnere e la responsabile (LEGGI QUI).

Per il geometra e direttore del cantiere delle Imprese Grassetto, cioè la ditta appaltatrice che si occupò della fornitura dei conci per la costruzione del viadotto, la difesa hanno chiesto al giudice l’assoluzione.

Secondo il legale torinese Enrico Calabrese il crollo del ponte di Fossano avrebbe una causa ben precisa: il mancato controllo da parte dell’Anas. Stando, infatti, a quanto emerso dalle relazioni tecniche depositate dai consulenti nominati dal difensore, al di là delle imperfette iniezioni di boiacca e della presenza dell’acqua che, se non ci fosse stata non avrebbe causato la corrosione dei cavi, il crollo del ponte sarebbe stato prevedibile e questo alla luce dell’assenza di una sorveglianza strutturale che avrebbe dovuto essere in capo ad Anas.

Parrebbe, infatti, che poco prima del collasso del viadotto sul giunto fosse presente un’apertura in corrispondenza della campata crollata pari a circa 10 millimetri, che per i consulenti sarebbe stata impossibile da non notare, se solo si fosse fatta un’ispezione.

Un altro elemento che per gli avvocati avrebbe dovuto far scattare il campanello d’allarme era il progressivo inclinarsi del viadotto con “ricariche di asfalto fino a 18 centimetri, cioè 11 in più, posizionato per compensare i dislivelli creati dall’inclinazione del viadotto”. Dunque la corrosione dei cavi sarebbe iniziata a partire dal 2006-2007, quindi dopo che il concessionario Anas aveva proceduto alla sostituzione dei giunti.

A sparare a zero sull'Anas anche il legale Pierluigi Ciaramella, secondo cui la prova dell’innocenza del suo assistito sarebbe stato proprio il non essere andato a controllare i lavori: "Nessuno glielo ha mai chiesto - ha insistito l'avvocato - e noi abbiamo dimostrato che non lo ha mai fatto. Nell’ambito di una struttura scalcagnata come l’Anas, in cui per controllare un’opera del genere si mandano a puntate un ingegnere, un geometra e un praticante, forse bisognava farsi qualche domanda in più e il trattamento di riguardo nei confronti dell’ente andava un po’ rivisto”.

Quanto alle posizioni di M.G. (per cui il legale si è associato alla richiesta assolutoria del pm), di M.R.V. e di G.A. gli avvocati Francesco Sgambato e Marco Landolfi, chiedendo l’assoluzione, hanno sostenuto che il crollo del viadotto e le infiltrazioni non avrebbero nulla a che fare con i lavori effettuati nel 2006, né tantomeno con i lavori di impermeabilizzazione dei giunti perché non vi sarebbe la prova.

Anche a fronte di quanto affermato dal consulente della Procura, il prof. Doglione, che aveva spiegato come fosse impossibile conoscere i tempi di innesto: "Avendo visto le guaine - aveva affermato- la facilità con cui entrava l’acqua e le corrosioni scommetterei che il processo abbia avuto inizio undici anni prima del crollo e non ventiquattro. Ma non è una considerazione basata su evidenze scientifiche". 

CharB.

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