Attualità - 21 marzo 2024, 06:58

Cuneo, 21 marzo 1979: il costruttore Attilio Dutto salta in aria con la sua Bmw

Quarantacinque anni fa, in viale Angeli, l’inquietante caso, rimasto senza risposte, che sconvolse la città e la provincia. Esattamente sette anni dopo, il 22 marzo 1986, nel carcere di Voghera, morirà, avvelenato da un caffè al cianuro, il faccendiere Michele Sindona da cui l’uomo d’affari cuneese aveva acquistato la “Paramatti”

Sono trascorsi 45 anni e nonostante la cronaca sia ormai storia, mancano ancora tanti, troppi tasselli per avere una chiave di lettura di quello che è stato uno dei delitti più inquietanti di Cuneo.

Il “caso Dutto” resta – a distanza di quasi mezzo secolo - uno dei grandi misteri della storia recente della nostra provincia.

Attilio Dutto, uomo d’affari e costruttore, sale sulla sua Bmw parcheggiata di fronte alla propria abitazione in Viale Angeli, gira la chiave di accensione del motore e la vettura salta in aria.

E' la mattinata del 21 marzo 1979. Le cronache comparse il giorno dopo sui quotidiano dell'epoca riferiranno delle ore 10.15. L’esplosione non gli lascia scampo: il suo corpo, dilaniato e gravemente ustionato dall’autobomba, non reagisce alle cure dei sanitari: morirà poco dopo all’ospedale Santa Croce.

È la prima – ed unica volta - di un attentato di stampo “libanese” in provincia di Cuneo.

La notorietà del personaggio e la sensazionalità del fatto occupano per giorni i telegiornali e le pagine dei quotidiani nazionali. 

Sono gli anni della “Notte della Repubblica”. 

Gli agguati delle Brigate Rosse – come in un tragico bollettino di guerra - tengono quotidianamente l’Italia con il fiato sospeso, ferendo o assassinando magistrati, uomini delle forze dell’ordine, politici, sindacalisti, giornalisti.

Le BR colpiscono all’impazzata insanguinando il Paese da nord a sud.

Tuttavia la tecnica dell’autobomba non rientra nelle modalità usate abitualmente dai terroristi per compiere le loro azioni dimostrative contro il “regime”.

E poi: che cosa aveva a che fare Attilio Dutto con la politica? 

Forse che gli poteva essere imputata l’accusa di essere anche lui “servo dei padroni”? 

L’uomo è un costruttore e uomo d’affari che negli anni del boom edilizio concentra la sua attività imprenditoriale sulla Costa Azzurra traendone cospicui profitti.

Si getta nel mondo della finanza, acquista la Paramatti Vernici, già di proprietà di Michele Sindona, il faccendiere condannato all’ergastolo quale mandante del “caso Ambrosoli”. 

Anche Sindona morirà - esattamente sette anni dopo (22 marzo 1986) -,  avvelenato con un caffè al cianuro di potassio nella cella del carcere di Voghera.

Quando la potenza economica di Dutto sta per compiere un ulteriore salto di qualità, a “saltare” è lui.

“Tragico finale libanese per un piccolo uomo d’affari cuneese”, si dirà di lui.

Le indagini, condotte dal procuratore capo della Repubblica di Cuneo Sebastiano Campisi non approdano a concreti risultati. 

Si sussurra che abbia pestato i piedi a qualcuno di importante. 

C’è chi azzarda che fosse depositario di segreti pericolosi. 

Si persegue, tra numerose altre, anche la pista del cosiddetto “clan dei Marsigliesi”, ipotizzando che i suoi interessi edili sulla Costa Azzurra siano entrati in rotta di collisione con il mondo della malavita d’Oltralpe. 

Tutte supposizioni rispetto alle quali nessun riscontro oggettivo è mai stato trovato. 

Scaduti i termini, il fascicolo del “caso Dutto” è finito in archivio è lì giace  senza risposte, così come tanti altri casi rimasti avvolti nel mistero della nostra tranquilla provincia. 

Giampaolo Testa