Si va verso il divorzio tra Arcelor e Invitalia: la prima, scoietà privata indiana, attualmente detentrice del 62% delle quote di Acciaieria d’Italia, la seconda un’agenzia governativa partecipata dal Mef, che detiene la quota pubblica del gruppo ex Ilva.
“Non ci sono più le condizioni per condividere la fiducia e le prospettiva per impegni reciproci con Mittal. L’incontro dell’8 gennaio scorso ha chiarito definitivamente che non è possibile proseguire nella gestione di Acciaierie d’Italia assieme a Mittal”.
Così il governo a margine dell’incontro avvenuto ieri sera, giovedì 11 gennaio, presso la Sala Monumentale di Largo Chigi a Roma con la presenza dei rappresentanti nazionali di cinque sigle (Fim, Fiom, Uilm, Ugl metalmeccanici e Usb).
Come spiegato ancora dal governo i tecnici di Invitalia e Mittal stanno lavorando su tre focus: il divorzio consensuale che non “è scontato” ma "e’ importante per ridurre i pericoli di contenzioso legale nel futuro”. La continuità aziendale produttiva che deve essere garantita ; e la disponibilità a versare quelle risorse “necessarie al rilancio delle attività delle acciaierie”, ha spiegato ancora l’esecutivo.
La deadline a questo punto è per mercoledì 17 gennaio. Da quell’incontro si potrà capire quale futuro si presenta per il più grande gruppo siderurgico italiano. L’indomani, giovedì 18 gennaio, il governo incontrerà nuovamente i sindacati per capire le sorti di Taranto, ma non solo.
In Piemonte sono presenti due stabilimenti dell’ex Ilva: a Racconigi e Novi Ligure, nell’alessandrino, ma le ripercussioni economiche saranno percepite anche alla Sanac di Gattinara, nel vercellese. Si stimano circa cinquecento dipendenti, tremila - secondo quanto riferiva il presidente Alberto Cirio nell’ultimo incontro tra le parti in Regione - se si calcola l’indotto.
"È necessario accelerare per un cambio di governance - aveva commentato a Targatocn il segretario provinciale della Fiom Domenico Calabrese - Se si aprisse una battaglia legale i tempi si allungano e tempo non ce n’è più. Gli impianti sono di un degrado tale che non garantiscono produzione, né di operare in sicurezza. Il rischio è quello che una delle maggiori acciaierie d’Europa si fermi, con ripercussioni non solo a Taranto”.
“Già stiamo vedendo - aveva poi affermato il segretario della Fiom cuneese - come le ripercussioni di Taranto influenzino l’operato di tutti gli stabilimenti. Se si ferma Taranto, Racconigi smette di lavorare. Qui da quando nel 2018 è entrato Arcelor i dipendenti sono passati da 150 a 98, oltre al fatto che sono aumentate le ore di cassa integrazione. Siamo arrivati al punto che si è dovuta utilizzarla perché non c’erano più soldi per il gasolio da mettere nel muletto. Ma non c’è una crisi dell’acciaio, il calo è soltanto dovuto al fatto che chi ha in mano l’azienda ha perso clienti e non garantisce standard europei.”
Intanto dopo l’incontro tra governo e Arcelor il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio aveva dichiarato: "La Regione Piemonte è al fianco dei lavoratori per i quali abbiamo già attivato tutte le forme di sostegno in vista di quella che potrebbe essere una crisi occupazionale che però vogliamo cercare di prevenire” ribadendo che “il governo deve, come sta facendo e bene, rivendicare la centralità nelle politiche dell’acciaio”.
Lo scorso 11 dicembre, proprio nel grattacielo della Regione, si era tenuto un incontro, dove erano presenti, oltre che i sindacati, anche gli amministratori dei comuni coinvolti. Qui era stata proposta “un’azione coordinata con Puglia e Liguria per far sentire la voce delle Regioni in difesa degli stabilimenti produttivi”.