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Attualità | 13 ottobre 2023, 18:33

L’orrore dell’attacco a Israele nelle parole di Jonathan Safran Foer, premio speciale del Bottari Lattes 2023 [L'INTERVISTA]

A Monforte d’Alba un’anteprima della cerimonia in programma domani al Teatro Sociale di Alba. "Se ha senso schierarsi? Abbiamo bisogno di stare dalla parte dei civili di entrambi i popoli"

Safran Foer a Monforte d'Alba per l'incontro con la stampa che ha anticipato la giornata finale del premio in programma domani ad Alba

Safran Foer a Monforte d'Alba per l'incontro con la stampa che ha anticipato la giornata finale del premio in programma domani ad Alba

Anteprima oggi, venerdì 13 ottobre, a Monforte d’Alba per il Premio Lattes Grinzane, col vincitore del Premio Speciale Jonathan Safran Foer e alcuni dei finalisti, il siciliano Giosuè Calaciura, autore di 'Una notte' (Sellerio), e Karen Russell in gara con 'I donatori di sonno' (Sur). Gli altri tre finalisti, intervenuti in collegamento da remoto, sono Mircea Cartarescu con 'Melanconia' (La Nave di Teseo), Marco Missiroli con 'Avere tutto' (Einaudi) e Zeruya Shalev con 'Stupore'.

Nella mattinata di domani, sabato 14 ottobre, gli autori finalisti incontreranno gli studenti delle scuole superiori albesi al Teatro 'G. Busca'. Seguirà nel pomeriggio la proclamazione del vincitore o vincitrice della 13ª edizione del riconoscimento internazionale intitolato al pittore Mario Lattes e promosso dalla Fondazione Bottari Lattes, che vede concorrere i migliori libri di narrativa italiana e straniera pubblicati nell’ultimo anno. Alle 17 è prevista una lectio magistralis dello scrittore statunitense, autore di 'Ogni cosa è illuminata', 'Se niente importa' e 'Molto forte, incredibilmente vicino', da cui fu tratto un film di grande successo.

 

JONATHAN SAFRAN FOER SI RACCONTA

Nella bella sede dalla Fondazione Bottari Lattes a Monforte d’Alba, Jonathan Safran Foer arriva puntualissimo e si rivela persona disponibile, gentile e schietta. Si sottopone alle domande durante la conferenza stampa con empatia, conscio di non potersi esimere dal commentare gli ultimi drammatici fatti accaduti in Israele.

I lettori aspettano il suo prossimo romanzo, è un po’ di tempo che non esce un suo lavoro di narrativa.

"Sembra che a nessuno interessi più lo storytelling. Alcuni autori hanno ansia per la loro produttività o scarsa produttività, cosa che ha toccato anche me, ma in questo momento sono positivo. La vita a volte va lenta e poi accelera improvvisamente. Il mio processo di scrittura è proprio così. Per sette anni ho prodotto poco e in 9 mesi ho scritto il mio nuovo romanzo. Lo finirò presto, non posso svelare ancora niente".

Domani ad Alba terrà la sua lectio magistralis sul tema della tecnologia. Se dovesse prepararla adesso, dopo quel che è successo in Israele, la scriverebbe ancora così?

"Tutti gli altri argomenti, perfino l’emergenza climatica a cui tengo molto, impallidiscono in confronto a quel che è successo. Ci ha lasciato senza parole quel che sta accadendo, anche quelli che normalmente ne hanno, le han perse. Papa Francesco ha scritto recentemente la sua 'Laudate Deum' che ho trovato molto interessante, pensata e diretta a tutte le persone di buona volontà. Se avessi scritto adesso mi sarei interrogato sul concetto di 'persona di buona volontà'. Ad esempio Noè fu un giusto per i suoi tempi e mi chiedo: è diverso essere una persona di buona volontà oggi rispetto a due settimane fa prima degli attacchi contro Israele? Qual è la speranza? A volte mi sembra necessario arrivare a una situazione di catastrofe e per poi risalire. E la speranza resta. Se mia nonna avesse ricevuto gli auguri dall’ambasciata tedesca come è successo a me qualche tempo fa, non ci avrebbe creduto, quindi è possibile risalire dalle catastrofi. Scriverei ancora sulla tecnologia, mi sembra necessario. Sui social viene premiata la sicumera di urlare le proprie ragioni, mentre se si esprimono i dubbi e le complessità si è meno ascoltati".

Come si supera un momento di crisi come questo? Ha senso schierarsi?

"Abbiamo bisogno di stare dalla parte dei civili di entrambi i popoli. La stragrande maggioranza delle persone a Gaza o in Israele non è schierata né con Hamas né con Netanyahu. Se ci ricordassimo di essere stati presi in cura da piccoli, se ce ne ricordassimo nei momenti più duri, aumenterebbe il senso di fratellanza e comunanza fra di noi. Se avete notato i media di entrambi i contendenti condividono immagini di bambini in sofferenza perché coinvolgono ed emozionano. Adesso la situazione è troppo calda, bisogna fermarsi e fare silenzio anche se è difficile a causa della pressione dei media e della velocità a cui viaggia il mondo".

Il lavoro che si sta facendo per affrontare i cambiamenti climatici lo ritiene positivo?

"Stiamo dando una risposta buona al cambiamento, ma i tempi sono lenti. Molti problemi di oggi sono urgenti, non basta rendersene conto bisogna agire. C’è bisogno di un cambiamento individuale e anche sistemico. Il Papa è consapevole che in termini matematici l’individuo singolo non conti molto e dia un apporto irrisorio, ma la scelta individuale alla fine conterà eccome, perché plasma la cultura degli elettori e i governi hanno bisogno dei voti. Le generazioni giovani hanno il senso di urgenza perché hanno un approccio più radicale, ma non possiamo aspettare e dobbiamo occuparcene anche noi". 

Qual è il linguaggio migliore per parlare alle nuove generazioni?

"Ogni problema ha bisogno del linguaggio giusto. Purtroppo negli Usa non c’è quasi più lo spazio per la complessità, ogni discussione viene trasformata in una lotta contro l’avversario, in un’argomentazione per vincere la controparte. Io posso accettare e rispettare le opinioni contrarie, anche su temi in cui sono convinto della mia idea. Nel Medio Oriente è facile dire che le persone di entrambi i popoli vogliono sicurezza e una terra dove vivere in pace. Se riuscissimo a vedere l’altra persona come una persona di buona volontà e non come un nemico sarebbe un primo passo verso la compassione. Nel linguaggio dei Social c’è anche la paura che categorizza in binario, costringe a stare o di qua o di là: dobbiamo avvicinarsi all’empatia non all’approccio binario, del bianco o nero, abituarci alle situazioni complesse. Con un approccio empatico ci si può arrivare e io scrivo per contribuire ad aumentare la compassione". 

 

I FINALISTI DEL PREMIO

Nella conferenza stampa dei finalisti presenti Giuseppe Calaciura e Karen Russell, solo in remoto Zeruya Shalev, per via del recente conflitto israelo-palestinese. Assente per motivi di salute Marco Missiroli.

Karen Russell con 'I donatori di sonno romanzo' uscito nel 2014, romanzo distopico, anticipò i temi emersi durante la pandemia. “La pandemia ha avuto un effetto a cascata – racconta –. Il romanzo non voleva essere profetico, ma prendere in considerazione l’insonnia come metafora del tempo che ci sfugge di mano, in cui il sole non si vede mai, in cui tante persone sono costrette a vite lavorative troppo impegnative, che le privano della libertà”.

Giuseppe Calaciura in 'Una notte' racconta della notte di Natale “dove gli ultimi vanno a cercare un posto nella storia. Il mio – ha detto – è il racconto di una speranza. Da giornalista devo dire che il linguaggio dei fatti oggi non è all’altezza dei fatti stessi”. 

Zeruya Shalev da Tel Aviv è costretta a casa dalla guerra e non ha potuto partecipare alla premiazione. In collegamento ha ricordato che nel suo libro ha voluto raccontare "la storia privata di una famiglia e al contempo la nascita di Israele stesso con tutti i traumi che ne sono conseguiti. È molto importante cercare le parole anche per gli eventi più terribili”, ha aggiunto

Silvano Bertaina

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