Economia - 22 settembre 2023, 09:21

Architettura idraulica: alla scoperta degli acquedotti romani

La grandezza dell’Impero Romano si è manifestata anche attraverso le sue infrastrutture, molte delle quali del tutto all’avanguardia per l’epoca.

La grandezza dell’Impero Romano si è manifestata anche attraverso le sue infrastrutture, molte delle quali del tutto all’avanguardia per l’epoca.

Una vera e propria eccellenza ingegneristica, che provocava stupore a chiunque visitasse Roma nel periodo di maggior splendore, era senza dubbio rappresentata dagli acquedotti romani.

Questa straordinaria architettura idraulica ha permesso ai Romani di usufruire di una fornitura eccezionale di acqua potabile di qualità per usi civici e domestici, questi ultimi riservati all’aristocrazia.

Ogni acquedotto romano è stato realizzato con la massima precisione, sfruttando nella maggior parte dei casi solo la forza di gravità per trasportare l’acqua dolce lungo decine di chilometri, dalle sorgenti fino alla capitale dell’Impero.

La tecnologia degli acquedotti romani

Per realizzare gli acquedotti romani, prima di tutto veniva individuata la sorgente naturale da cui prelevare l’acqua dolce, una riserva idrica che poteva trovarsi anche ad oltre 50 chilometri di distanza dalla città.

Dopodiché, l’acqua veniva convogliata in una piscina limaria, un sistema composto da una serie di vasche di decantazione che servivano a ridurre le impurità contenute nell’acqua che si depositavano sul fondo.

In seguito, l’acqua iniziava il suo percorso verso Roma all’interno degli acquedotti fuori dalla città. Queste infrastrutture, che potevano percorrere anche decine di chilometri, erano sostenute da solide fondamenta, al di sopra delle quali si ergevano una o più arcate e sulla cui sommità si trovavano i canali che trasportavano l’acqua fino a Roma.

Laddove necessario, l’acquedotto era sostituito da un sistema di tunnel e sifoni, in particolare quando la depressione del terreno superava i 50 metri e rendeva difficile la costruzione degli acquedotti.

In questi casi venivano scavati dei tunnel alle due estremità della depressione, perfettamente allineati con l’acquedotto e con un dislivello minimo che consentiva di superare l’ostacolo usando esclusivamente la forza di gravità.

Infine, la condotta principale raggiungeva un castello, una costruzione al cui interno si trovavano altre camere di decantazione e che serviva anche per sopperire a eventuali cali di pressione dell’acqua.

Dal castello principale partivano quindi le condotte che portavano l’acqua fino a dei castelli secondari, per poi terminare il cammino presso le utenze pubbliche e private come bagni, fontane e terme.

Naturalmente i Romani si occupavano anche della manutenzione degli acquedotti, infatti lungo il percorso realizzavano una serie di pozzetti d’ispezione che consentivano di effettuare interventi di controllo, pulizia e manutenzione.

Queste operazioni erano affidate a un curator aquarum, ovvero al responsabile dell’intero acquedotto, una figura che gestiva la distribuzione dell’acqua e la manutenzione dell’acquedotto e rispondeva direttamente all’imperatore.

La storia degli acquedotti romani: dalle origini agli ultimi acquedotti costruiti

I Romani iniziarono a realizzare le prime opere idrauliche a partire dal VII secolo a.C., durante il regno dei Tarquini.

Proprio in quegli anni sono state gettate le basi per la costruzione dei moderni acquedotti romani, un sistema di trasporto dell’acqua pressurizzato chiuso e superficiale perfettamente integrato. Come scrisse Plinio il Vecchio a proposito dell’enorme quantità d’acqua disponibile nell’Impero Romano “nulla in tutto il mondo è mai esistito di più meraviglioso”.

Per comprendere il livello ingegneristico raggiunto dai Romani, basti pensare che l’acquedotto a Ponte del Gard situato in Provenza aveva un dislivello di soli 17 metri lungo oltre 50 chilometri della sua intera lunghezza, con un gradiente di soli 34 cm per ogni chilometro percorso. Questa estrema accuratezza consentiva di fornire acqua potabile in modo molto efficiente, sfruttando solamente la spinta garantita dalla gravità.

Lo stesso approccio veniva usato anche per la rete fognaria, per portare via dalla città di Roma i liquami e le acque reflue, assicurando condizioni igieniche eccezionali per l’epoca.

Il primo acquedotto romano ad essere costruito fu quello dell’Acqua Appia realizzato nel 312 a.C., dopodiché arrivarono l’acquedotto Anio Vetus nel 272 a.C. e l’acquedotto Marciano nel 144 a.C.. Nel complesso, con la costruzione dell’ultimo acquedotto nel 226 d.C. voluto dall’Imperatore Alessandro Severo, un totale di 11 strutture funzionanti che servivano la città di Roma.

Questa incredibile e sofisticata infrastruttura si estendeva per oltre 500 chilometri, mettendo a disposizione della capitale dell’Impero un approvvigionamento idrico fino a 13,5 m3/s.

Dopo l’assedio di Roma nel 537 d.C., i Goti distrussero gli acquedotti romani, molti dei quali non sono stati mai più ricostruiti. L’unico rimasto in uso alla fine del Medioevo è stato l’acquedotto dell’Acqua Virgo, mentre successivamente i papi fecero restaurare alcuni antichi acquedotti e ne realizzarono di nuovi a partire dal XVI secolo.

Gli acquedotti romani contribuirono alla grandezza e al benessere di Roma e dell’Impero, una tecnologia all’avanguardia e pionieristica che testimonia ancora oggi l’importanza di poter usufruire di un’acqua potabile di qualità e della complessità ingegneristica, idraulica e architettonica che ciò richiede.