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Attualità | 04 luglio 2023, 07:12

L’orticultura terapeutica nel reparto di psichiatria a Verduno. “Il contatto con la natura è stato più efficace delle medicine”

Si tratta di un'iniziativa legata al progetto dei giardini terapeutici, realizzati grazie alla Fondazione Ospedale Alba-Bra per aumentare il benessere di pazienti e operatori

L’orticultura terapeutica nel reparto di psichiatria a Verduno. “Il contatto con la natura è stato più efficace delle medicine”

Dopo Radioterapia (leggi qui), andiamo alla seconda tappa del progetto che ha usato la natura per portare benessere ai pazienti.

Proprio con questo obiettivo la Fondazione Ospedale Alba-Bra, all’interno di un progetto più ampio chiamato “La natura nell’ospedale e l’ospedale nella natura”, ha realizzato dei giardini terapeutici, uno nelle pertinenze di Radioterapia, uno in Psichiatria e uno esterno di fronte alle camere mortuarie.

“C’è stato un cambiamento incredibile nell’umore e nelle interazioni umane”.

Valentina Vallome, coordinatrice infermieristica della psichiatria all’Ospedale di Verduno, è una delle persone che si è occupata di mettere in atto in reparto il progetto di Orticultura terapeutica sviluppato dalle dottoresse Paola Malvasio e Teresa Monchiero.

Come è stato portare questo progetto in un reparto così delicato?

La realtà della psichiatria è particolare, le dottoresse Malvasio e Monchiero sono entrate in punta di piedi e si sono approcciate con i nostri pazienti, partendo dalla terra. Hanno spiegato questo progetto prima a noi operatori e poi sono state bravissime a coinvolgere i pazienti che hanno risposto con grande entusiasmo”.

Quali sono state le difficoltà?

La psichiatria è un mondo a sé, dove il paziente si trova a vivere la fase acuta della sua malattia in un ambiente chiuso, non ha più contatti con la realtà perché l'ambiente è letteralmente blindato e anche i telefoni, spesso, non sono disponibili.  Si tratta di pazienti che, a volte, non sono lucidi o collaborativi e si stancano velocemente. I rapporti interpersonali sono minimi e limitati, per cui questo progetto ha rappresentato un momento di gioia, una scarica positiva che ha dato fiducia a persone che avevano perso ogni entusiasmo e interesse nelle relazioni interpersonali. Hanno ritrovato la motivazione nel prendersi cura di un altro essere vivente, le racconto un esempio eclatante”.

Prego.

“Abbiamo avuto una paziente che ha riscoperto la gioia nel prendersi cura di un bulbo di tulipano. Lo usava come sprone per dare un senso alle sue giornate e anche quando le dottoresse se ne andavano, lei continuava a prendersene cura per vederlo fiorito e sgridava anche gli altri pazienti perché avessero la stessa attenzione. I nostri sono pazienti ciclici, rientrano spesso in reparto, hanno delle ricadute. Grazie a questo progetto la paziente ha trascorso il ricovero più breve. Ora è tornata e ha espresso il desiderio di potersi prendere cura di un altro fiore o pianta. Un altro paziente ci ha chiesto di potersi portare il bulbo in camera e poi a casa”.

Quindi le risposte sono state positive?

“Sì, i pazienti lavoravano in team con grande passione ed entusiasmo, basti pensare che hanno partecipato alle attività volontariamente 10 persone su 13 ricoverate, in un clima davvero gioioso, ma ci sono stati altri vantaggi”.

Per esempio?

Mi riferisco ai pazienti affetti da bipolarismo, un disturbo difficile da gestire che porta ad un’alterazione di comportamenti e di emozioni anche durante un tempo limitato. Il rapporto con la terra, con i fiori di cui prendersi cura, con la lavanda da sgranare ha permesso di mantenere un equilibrio nelle emozioni che non abbiamo mai visto in altri momenti. La terapia farmacologica non è ancora riuscita ad arrivare dove è arrivata l’orticultura. In generale ci sono stati degli spazi in cui sono affiorate delle confidenze, sono emersi dei vissuti personali che durante nessuna visita o incontro si erano mai verificati. C’è stato un abbattimento delle gerarchie che ha permesso un’apertura e una sincerità uniche”.

Daniele Vaira

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