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Eventi | 03 luglio 2023, 09:05

Bra, inaugurata a Palazzo Mathis la mostra del ceramista toscano Michele Bracciotti (Foto)

La poesia della materia nelle opere in equilibrio tra celebrazione del tempo passato e presente creativo

L'inaugurazione della mostra dell'artista Bracciotti

L'inaugurazione della mostra dell'artista Bracciotti

Le sue opere prendono le sembianze del vento che passa, dell’energia, dei pensieri. Assomigliano a qualcosa che non c’è, ma che si sente.

Ed è proprio quello che vuole Michele Bracciotti, artista toscano trapiantato a Bra, che esprime con sapienza e passione la cultura della ceramica, assorbita dal suo mentore e maestro Dario Ghibaudo.

La sua collezione comprende vasi, bassorilievi, busti: terrecotte inconfondibili e dotate di un fascino antico, un’allure in perenne equilibrio tra celebrazione del tempo passato e presente creativo.

La sua ultima fatica è il busto di padre Ettore Molinaro, donato al Museo civico Craveri di Bra per il Lions Club Bra Host di cui è socio, in cui ha messo in luce tutta la sua abilità ed il suo talento.

Ma per quelli che vogliono saperne di più, c’è la mostra “Motus terrae/Terrae motus”, allestita nelle sale nobili di Palazzo Mathis a Bra, visitabile ad ingresso libero fino al 30 luglio dal lunedì alla domenica con orario 9-12.30.

L’inaugurazione è stata sabato 1° luglio alla presenza di un folto pubblico tra cui le autorità municipali rappresentate dall’assessore Anna Brizio, dal consigliere Bruna Sibille e dal presidente del consiglio comunale Fabio Bailo che ha dialogato con l’artista sui temi dell’esposizione.

Attraverso le ceramiche esposte, Michele Bracciotti ci conduce in un viaggio che parte dalla mitologia e dal fumetto, passa dalla poesia della materia agli elementi della natura ed arriva a riflessioni di attualità come guerra e pace.

Noi abbiamo deciso di incontrarlo per una bellissima chiacchierata.

Michele, perché hai scelto il titolo “Motus terrae/Terrae motus”?

«È un gioco di parole in latino. Il riferimento è alla caratteristica della terra, che fra gli elementi (aria, acqua, fuoco) si distingue per l’immobilità, la staticità. Con i miei lavori ho voluto dimostrare come la terra invece può muoversi e divenire qualcos’altro, addirittura fluttuare nell’aria. Quindi motus terrae, terrae motus».

Come nasce l’esigenza di usare l’argilla come linguaggio?

«L’argilla richiede un contatto fisico per generare una forma. Le mani sono il mezzo col quale si entra in contatto con lei. Per me il contatto fisico con la materia è essenziale e l’argilla è il mezzo perfetto».

Quali artisti ami particolarmente e quali condizionano i tuoi lavori?

«In primis il mio maestro Dario Ghibaudo. Mi piace in ogni caso l’arte rinascimentale e quella del Novecento futurista. Ovviamente, esprimendo una preferenza, non vorrei sminuire altri movimenti di sicuro interesse».

Qual è l’idea che sta dietro ai tuoi lavori?

«L’idea che sta dietro ai miei lavori è quella di migliorare ogni giorno le mie capacità espressive, indipendentemente dall’argomento che voglio trattare. Giungere ad una “perfezione” formale, ovviamente tra virgolette, perché la perfezione non è di questo mondo».

Da cosa trai ispirazione per la realizzazione delle tue opere?

«L’ispirazione non è facile da definire. Un ricordo, un’immagine vista per caso, addirittura la cronaca del tempo che stiamo vivendo. M’ispira tutto ciò che non è banale, tutto quello che merita di essere raffigurato».

Che cosa provi quando lavori l’argilla?

«Lavorando l’argilla, fondamentalmente mi stacco dai problemi quotidiani, per crearne altri, a volte, ma la terra ha il buon gusto di non protestare, quindi mi lascia lavorare serenamente».

Cosa ami di più del tuo lavoro?

«Amo la ricerca e il fatto che non mi stanco di lavorare. Non è un lavoro facile e spesso riserva delusioni, basta pensare che quando si cuoce un pezzo, questo può scoppiare in forno per una semplice bolla d’aria, vanificando giorni di lavoro. Il forno si può aprire solo dopo un paio di giorni dall’avvio della cottura e sono giorni di ansia. Quando si tira fuori un pezzo ben cotto, senza difetti, quello è il momento migliore e la più grande soddisfazione».

Come risponde il pubblico alle tue opere?

«In generale ho trovato una buona accoglienza da parte del pubblico per i miei lavori e devo dire che c’è un rapporto proporzionale diretto rispetto alla convinzione con la quale li ho realizzati. Un lavoro proposto nel quale io non ho creduto fin dal principio di solito non riscuote molto successo».

C’è un’opera a cui sei particolarmente affezionato?

«Sono affezionato all’opera che non ho ancora realizzato, perché sarà sicuramente migliore delle altre».

L’arte è un percorso, mai un traguardo. In che modo alimenti la ricerca di nuovi stimoli per la realizzazione delle tue opere?

«Direi che non cerco gli stimoli, ma lascio che essi vengano a me. Basta osservare, a volte addirittura ricordare un sogno, perché nel sonno i ricordi sono vividi. A volte prendo appunti su un taccuino che tengo sul comodino. È strano rileggere quel che si è scritto durante la notte riguardo ad un’immagine onirica, ma è un lato del nostro inconscio che vale la pena esaminare».

Hai nuovi progetti in cantiere?

«Penso che non smetterò mai di avere nuovi progetti, soprattutto perché ho scelto un materiale che per sua natura genera necessariamente nuovi progetti tanto sono varie le sue applicazioni. Per essere più precisi, quello che vorrei mettere in cantiere sono opere di dimensioni maggiori rispetto a quelle che ho creato finora. Penso che le tecniche di modellazione tridimensionale computerizzata potranno aiutarmi, partendo da un modello crudo modellato da me, senza bisogno di avventurarsi nei rischi connessi alla cottura che ho citato più sopra. Lavorerò in tal senso, ma è un campo nuovo tutto da esplorare».

Il risultato? Sarà davvero eccezionale.

Michele Bracciotti in pillole

Michele Bracciotti è nato a Pisa il 25 maggio 1962. Dopo aver compiuto il percorso di studi in Medicina si è trasferito per lavoro in Piemonte, ma non ha mai abbandonato le sue radici, la sua terra. La fotografia tradizionale analogica in camera oscura e le tecniche antiche di trasposizione dell’immagine su carta con reagenti chimici hanno fatto parte delle sue iniziali esperienze, ma, pur non avendole mai abbandonate, presto ha iniziato a voler creare delle immagini slegate dall’obiettivo della macchina fotografica, incominciando a dipingere soggetti con pastelli e gessetti. Il suo incontro con il maestro Dario Ghibaudo, artista cuneese operante in Milano, è stata la chiave del suo successivo approdo alla modellazione attraverso apprendimento delle tecniche e i segreti per plasmare e cuocere l’argilla. Nei successivi anni consegue il diploma di torniante, presso l’istituto sperimentale di ceramica di Montelupo Fiorentino. Recentemente ha donato al Museo civico di storia naturale Craveri di Bra un busto dedicato al direttore onorario, padre Ettore Molinaro (14 settembre 1935 - 3 marzo 2015).

Silvia Gullino

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