"Veda di non scrivere troppo bene di me”.
Mi congedò con questa frase il cavaliere Amilcare Merlo nell’aprile del 2021, nell’ultima (e unica) volta che mi riuscì di intervistarlo nel suo stabilimento. Non mi è mai parso troppo a suo agio con le domande dei giornalisti. Tutti mi dicevano che preferiva il vis a vis alle telefonate, ma trovare un buco nella sua agenda, anche superati gli 85 anni, è sempre stata impresa ardua.
L’occasione capitò con l'avvio della campagna vaccinale. Tutte le speranze per ripartire, anche economicamente, erano lì. La collega Nadia Muratore era impegnata a contattare diverse aziende al fine di realizzare un servizio su come si stava portando avanti il discorso nei vari stabilimenti. Merlo, come sempre, preferiva parlare a quattrocchi: nel giorno fissato, per un imprevisto, Nadia non riuscì ad esserci.
Andai in sostituzione armato di treppiede e telecamera nonostante poi, successivamente, concordammo un’intervista scritta.
Posai l’attrezzatura, presi la penna. Mai stato, io, un fulmine di guerra a prendere appunti, ma con Amilcare Merlo non fu difficile.
Lui che, invece, era un fulmine di guerra in ogni cosa fatta in vita, si sedette in fronte a me, e un po’ si adattò alla lentezza del mio scrivere. O almeno mi piaceva pensarla così. La verità è che teneva tantissimo ad essere chiaro in quello che diceva ed evitare fraintendimenti.
E così cominciammo a conversare con lentezza partendo proprio dai vaccini, ma poi il discorso, inevitabilmente, si ampliò. Sostenevo, con il leit motiv di ogni giornalista in quei mesi, come il periodo pandemico fosse il più difficile dal Dopoguerra, ma il cavaliere Merlo non era troppo di questa idea.
“I periodi difficili ciclicamente si ripresentano - mi diceva - per esempio l’anno più difficile per noi fu il 1985. Quella che stiamo vivendo oggi forse è la crisi più universale, in quanto il dolore ci accomuna tutti, al di là degli aspetti economici. Ma dall’altra c’è il beneficio della comunicazione, di poter dialogare con chi è dall’altra parte del mondo in pochi secondi, di avere sistemi di comunicazione ultra rapidi. Quello che è importante è essere pronti. Adesso, come 50 anni fa, chi vuole lavorare con l’estero si deve organizzare prima. Non può pensare che si ferma perché c’è un virus.”
Poi passò a parlarmi degli anni bui durante la Seconda Guerra Mondiale, quando un 14enne Amilcare Merlo operava nella forgia del padre in via Amedeo Rossi a Cuneo, sequestrata dai tedeschi.
“Allora i tedeschi erano gli invasori - mi spiegava - ci avevano tolto la forgia e quindi avrei dovuto odiarli. Eppure quelli che operavano nell’azienda di mio padre mi consideravano come un figlio, una mascotte. Già allora ho imparato a capire che il mondo non è solo fatto di buoni e cattivi, ma ognuno di noi ha una doppia anima. Bisogna cercare di tirare fuori la parte bella dalle persone, poi sarà tutto più facile.”
“Ci sono dei denominatori comuni oggi come ieri – continuò –. Il mondo continuerà a mangiare, ad utilizzare le macchine e treni, sempre di più. Per questo motivo bisogna essere ottimisti. In un’epidemia è molto difficile. Ma è lì che si vedono le persone e gli imprenditori capaci. Ora dobbiamo batterci il petto e restare uniti.”
“Uniamo le forze – mi diceva come un monito – Imprenditori e categorie tutte per poter riprendere le nostre quote di Pil e di indebitamento regolare. Ma questo non si potrà fare senza sacrificio. Senza questo sacrificio pagheremo in futuro tanti interessi. Non dobbiamo spaventarci: abbiamo tutti i numeri per uscirne. E molti degli strumenti per uscirne partono dalla scuola che deve insegnare l’ordine, la crescita personale e il raggiungimento degli obiettivi.”
Tornando a parlare delle sue origini da imprenditore gli chiesi quanto era grande la forgia del padre da cui era partito a lavorare. Attese un momento a rispondermi: “Un centinaio di metri quadri”.
"E ora quanto è grande la sua Merlo?”. Chiesi.
“Non c'è una 'mia Merlo' e non mi va di fare paragoni.”
(Oggi la Merlo Spa si estende per 220 mila metri quadri, mi documentai in seguito).
Dopo quell'intervista in presenza lo risentii mesi dopo - questa volta al telefono, violando la sua famosa regola aurea - per la morte della sorella Natalina, donna che ha contribuito con il fratello a rendere grande l’impresa. Comunque mi concesse qualche parola, dolcissima.
“Ci siamo lasciati magnificamente, così come magnifica è stata la vita che abbiamo condiviso insieme. Quella vissuta insieme è stata un’avventura bellissima che auguro anche al peggiore dei nemici, così come al migliore degli amici.”
Ritirai la penna, recuperai l'attrezzatura inutilizzata e ci salutammo. Qualche secondo dopo il cavaliere Merlo, a 86 anni, operativo professionalmente da più di settanta, aveva già ripreso a lavorare.
Terrò nel cuore quell'intervista e quell'invito: “Veda di non scrivere troppo bene di me”.
Anche se, oggi come allora, è difficile non farlo...