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Attualità | 26 febbraio 2022, 11:09

Il Carnevale: origine, storia e leggende di una festa che unisce grandi e piccini

Fantasia, energia e tradizioni popolari dietro ad una maschera che in Piemonte è quella di Gianduja

Foto generica

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Vi siete accorti che è Carnevale? Ad essere sinceri, per le vie non si respira granché quell’atmosfera goliardica, che accompagna solitamente una delle feste più amate e celebrate del mondo. Come darvi torto, tra zone gialle, rosse e arancioni Arlecchino non lo possiamo più vedere. Poi niente coriandoli, stelle filanti e men che meno maschere (solo FFP2 modello marchiato CE).

E mentre ci ingozziamo di bugie per la delusione, sorge un dubbio amletico. Da Venezia a Rio de Janeiro, passando per Viareggio e Nizza, perché si festeggia il Carnevale?
Da qui sono scattate innumerevoli googlate per svelare il mistero di questa festa e regalarvi un’altra chicca a tema: storia leggenda e tradizione.

Tutto comincia con le feste dionisiache greche e i saturnali romani. Durante queste celebrazioni veniva realizzato un temporaneo scioglimento dagli obblighi e delle gerarchie sociali, dando vita al rovesciamento dell’ordine (caos) e allo scherzo, quello che d’altronde è lo spirito del Carnevale.

Inoltre, l’utilizzo del travestimento e della maschera è molto importante. Vestirsi da qualcun altro, nascondere l’identità, vuol dire prendersi una pausa dalla propria personalità e concedersi una divagazione rispetto alla vita quotidiana. Non solo: nell’antichità la maschera era usata per raccogliere le energie delle divinità e delle forze della natura. Si trattava, quindi di un modo per catturarne il potere e per sfruttarlo a proprio piacimento.
Secondo numerose fonti, tra cui Apuleio, il “travestimento” deve essere fatto risalire ad una festa in onore della dea egizia Iside, durante la quale erano presenti numerosi gruppi mascherati. Questa usanza venne importata anche nell’Impero Romano: alla fine del vecchio anno un uomo coperto di pelli di capra veniva portato in processione e colpito con bacchette.

In molte altre parti del mondo, soprattutto in Oriente, c’erano molte feste con cerimonie e processioni in cui gli individui si travestivano. Tipo a Babilonia non era strano vedere grossi carri simboleggianti la Luna e il Sole sfilare per le strade, rappresentando la creazione del mondo.

In generale, però, lo spirito della festa è quello di livellare l’ordine delle cose, ribaltare la realtà con la fantasia e travestirsi da ciò che non si è. Nel Medioevo, ad esempio i popolani potevano per poche ore divertirsi senza pensieri e sentirsi al pari dei potenti; persino lo scemo del villaggio poteva indossare una corona!

Da un punto di vista storico e religioso il Carnevale rappresentò un periodo di festa, ma soprattutto di rinnovamento simbolico, durante i festeggiamenti, infatti, il caos sostituiva l’ordine costituito, che però una volta esaurito il periodo festivo, riemergeva per dar vita ad un nuovo ciclo, quello del nuovo anno solare.

Le cerimonie carnevalesche, diffuse presso i popoli indoeuropei (non solo), hanno anche una valenza purificatoria. In questo caso, il Carnevale si inquadra in un dinamismo ciclico di significato mitico: è la circolazione degli spiriti tra cielo, terra e inferi. Il Carnevale riconduce ad una dimensione metafisica che riguarda l’uomo e il suo destino.

Che cosa vuol dire? In antichità, era solito pensare che in primavera, quando la terra cominciava a manifestare la sua energia, il Carnevale segnasse un passaggio aperto tra gli inferi e la terra abitata dai vivi. Le anime, per non diventare pericolose, dunque, dovevano essere onorate assumendo sembianze diverse attraverso le maschere che hanno spesso un significato apotropaico, in quanto chi le indossava assumeva le caratteristiche dell’essere rappresentato. Queste forze rappresentate erano soprannaturali e creavano un nuovo regno della fecondità della Terra.

Diverse le usanze anche in molte città italiane. Nel XV e XVI secolo, a Firenze i Medici organizzavano grandi mascherate su carri chiamate “trionfi” e accompagnate da canti carnascialeschi (canzoni che si accompagnavano al divertimento del Carnevale del Quattrocento). Nella Roma del Regno pontificio si svolgeva, invece, la corsa dei barberi (cavalli da corsa) e la “gara dei moccoletti” accesi, che i partecipanti cercavano di spegnersi reciprocamente. In diversi Carnevali il martedì grasso viene rappresentato, spesso con un falò, che simboleggia la “morte di Carnevale”. L’antica tradizione del Carnevale si è mantenuta anche dopo l’avvento del Cristianesimo: a Roma stessa la maggiore festa pubblica tradizionale è stata il Carnevale Romano fino alla sua soppressione negli anni successivi all’Unità d’Italia.

Anche l’istituzione del Carnevale a Venezia è quella, al pari di quanto già avveniva nell’antica Roma, di concedere alla popolazione e soprattutto ai ceti più umili, un breve periodo dedicato interamente al divertimento e ai festeggiamenti, durante il quale sia i veneziani che i forestieri si riversavano in tutta la città a far festa con musiche e balli sfrenati. Attraverso l’anonimato che garantivano le maschere e i costumi, si otteneva una sorta di livellamento di tutte le divisioni sociali ed era autorizzata persino la pubblica derisione delle autorità e dell’aristocrazia.

In Italia ogni regione festeggia il Carnevale a suo modo, ma colori e voglia di divertirsi accomunano le feste di tutto lo Stivale. Dopo Venezia, dove si festeggia uno dei “Carnevali” più famosi del mondo con sfarzo e costumi bellissimi, lasciti di una tradizione secolare, troviamo Viareggio in cui i carri allegorici rendono tutto magico, così come ad Acireale, in Sicilia; a Ivrea poi c’è la celeberrima Battaglia delle Arance, mentre a Sciacca vengono realizzate splendide opere in cartapesta, senza dimenticare Vercelli famosa per il Carnevale più antico del Piemonte e Loano, in Liguria, dove impazza il “CarnevaLöa”.
 
Mentre a Bra ricordiamo, con un velo di nostalgia, le sfilate di Carnevale degli anni ‘80 e ‘90, quando ad aprire il corteo dei carri allegorici c’erano Armando Ambrogio nei panni di Robaldo de’ Braida e Maura Forneris in quelli di Madonna Beatrice, a rappresentare gli antichi nobili della città. Sì, proprio loro, gli attori che fondarono “I Desbela”, la rinomata compagnia teatrale amatoriale braidese. Tempi andati, per i quali valgono i versi di Lorenzo il Magnifico, che durante la festa di Carnevale incitava all’ottimismo: «Chi vuol esser lieto, sia, del domani non c’è certezza».

Il Carnevale non ha una data fissa: ogni anno dipende da quando cade Pasqua. Nel 2022 comincerà domenica 20 febbraio e terminerà martedì 1° marzo. Il tempo di Carnevale, infatti, inizia la prima domenica delle nove che precedono quella di Pasqua. Raggiunge il culmine il Giovedì Grasso e termina il martedì successivo, ovvero il Martedì Grasso, che precede il Mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima, ossia 40 giorni prima di Pasqua.
Il termine Carnevale non a caso deriva dal latino “carnem levare”, che significa proprio “togliere la carne”. Durante la Quaresima, perciò, le persone si astengono dal consumo di carne e di altri piatti deliziosi. I primi festeggiamenti di tavola del Carnevale risalgono al VIII secolo, quando veniva organizzato un banchetto con tanti cibi e bevande prima del digiuno.

Dove si osserva il rito ambrosiano, nell’Arcidiocesi di Milano, la Quaresima inizia domenica 6 marzo. In questo modo la festa dura di più, terminando il sabato dopo le Ceneri, ritardando così di 4 giorni il periodo del “Carnevalone”. Ciò significa che i milanesi termineranno i bagordi solo sabato 5 marzo.

Passando dal sacro al profano, non possiamo non citare le maschere tipiche di Torino e, quindi, del Carnevale sabaudo. Un vero piemontese si dovrebbe vestire da Gianduja. Questa maschera nasce verso la fine del ‘700 e ha origine in un paese dell’astigiano, Callianetto. Gianduja è allegro, di buon umore e terribilmente distratto: si narra che una volta abbia speso ore e ore a cercare il somaro su cui era in groppa! Incarna lo spirito bonario e gioviale dei piemontesi, generoso e assennato, ospitale e sorridente: è il galantuomo coraggioso e sempre pronto a fare del bene. Ama il buon vino, la buona tavola e stare in compagnia.

Gianduja è sposato con Giacometta, donna semplice, ma dall’intelligenza vivace, che rappresenta la saggezza delle donne piemontesi, che sanno con il buon senso risolvere anche le situazioni più difficili. Il costume di Gianduja è di classica foggia settecentesca e prevede pantaloni di fustagno marroni, calze rosse, panciotto giallo. In testa ha un cappello chiamato tricorno e una parrucca con il codino, al collo un fiocco verde.

Ok, ma a parlare di maschere e Martedì Grasso, abbiamo bisogno di chiudere in dolcezza. Durante il Carnevale del 1865, a Torino, la maschera di Gianduja distribuì per le strade della città una leccornia fatta di cacao, burro di cacao, zucchero e crema di nocciola delle Langhe: il gianduiotto! Il cioccolatino, ancora oggi delizia per il nostro palato, prende il suo nome proprio da questa maschera.

Altri dolci tipici del periodo sono le frappe, le bugie, i cenci o le chiacchiere. Tanti nomi per il dolce simbolo del Carnevale per antonomasia: impasto di farina, uova, zucchero e burro, farcito con crema, confettura o cioccolato e infine fritto nell’olio bollente. Un’interessante variante prevede il ripieno di cubetti di mela.

Bene, dopo tutte queste bontà, glicemia e colesterolo gridano vendetta. Perciò, dopo il Carnevale iniziamo una bella dieta ferrea, che la prova costume si avvicina!

Silvia Gullino

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