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Ambiente e Natura | 13 novembre 2018, 07:33

Serve dragare i fiumi per prevenire alluvioni? Gli esperti: “Così si accresce il pericolo idraulico”

I deputati leghisti presentano alla Camera un progetto di legge recante “Disposizioni per la manutenzione degli alvei dei fiumi e dei torrenti”. Stefano Fenoglio, docente di Ecologia fluviale all’Università del Piemonte Orientale: “Il letto nei nostri fiumi non si sta alzando, anzi al contrario si sta abbassando”

Il fiume Po a Revello

Il fiume Po a Revello

L’ultima ondata di maltempo, come sempre accade, ha riportato alta l’attenzione sulla manutenzione dei letti dei fiumi. In Valle Po, ad esempio, oltre ad una serie di ragionamenti sui corsi d’acqua e rii minori, che nelle ultime piene ed alluvioni sono quelli che più hanno preoccupato, si torna sempre a parlare del fiume Po.

Specialmente nel tratto di Revello, dove il Grande Fiume scorre pensile rispetto alla strada provinciale meglio conosciuta come la “Via dei boschi”.

A tutto ciò va ad aggiungersi un progetto di legge presentato alla Camera dei Deputati dalla Lega, recante “Disposizioni per la manutenzione degli alvei dei fiumi e dei torrenti”. Primo firmatario è il deputato Guido Guidesi. Tra i firmatari anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti e il segretario della Lega piemontese Riccardo Molinari.

“La causa di tanti disastri – si legge nel documento - sta, purtroppo, nella mancata pulizia degli alvei dei fiumi e dei torrenti che provoca l’innalzamento degli alvei, dovuto alla cronica deposizione dei sedimenti e di trasporto solido, riducendo la sezione, che non riesce più a contenere il volume d’acqua del bacino scolante”.

“La maggior parte dei problemi sarebbe risolta con una manutenzione costante del corso d'acqua, liberandolo dai tronchi d'albero e dal materiale vegetale che ne impediscono il regolare deflusso, e con una pulizia del fondale dei fiumi e dei torrenti dalla deposizione della sabbia e della ghiaia trascinate dalla corrente, che ripristini la storica condizione dell'alveo e la sezione originale di deflusso” continua il documento.

Una situazione da ascrivere, secondo gli esponenti del Carroccio, ad una “legislazione obsoleta, carica di inopportune ideologie ambientaliste». La soluzione? Il progetto di legge prevede, per tre anni, la concessione di “poteri straordinari” ai presidenti delle Regioni. Tra questi, la possibilità di autorizzare privati a estrarre “ciottoli, ghiaia e sabbia e altre materie” dagli alvei dei fiumi, sino al “ripristino del livello storico dell’alveo”. Il materiale asportato potrà poi essere ceduto ai privati, secondo la logica della compensazione, per ripagare il lavoro svolto.

Tutto risolto dunque? Non proprio, stando almeno al parere degli esperti.

Ne abbiamo parlato con il professor Stefano Fenoglio, bagnolese e docente di Ecologia fluviale all’Università del Piemonte Orientale. Una delle figure più titolate, alla quale abbiamo chiesto alcuni pareri sulla tematica.

Dottor Fenoglio, alla luce anche di quanto emerso in Parlamento, la problematica del materiale da deposito nei fiumi può considerarsi in via di risoluzione?

Immancabilmente, dopo ogni episodio di disastro o calamità ambientale, compaiono sulle prime pagine dei media dichiarazioni roboanti che offrono soluzioni che appaiono semplici e risolutive.

L’annoso caso dei sedimenti fluviali rappresenta proprio uno di questi esempi. In pratica, è diffuso il luogo comune per cui la presenza di ammassi di materiali ghiaiosi nei nostri fiumi sarebbe da annoverare tra le cause delle sempre più frequenti alluvioni, in quanto questi materiali avrebbero innalzato il letto del fiume, riducendone la sezione di deflusso ed aumentando quindi i rischi di esondazione”.

E invece?

Quali sono le basi tecnico-scientifiche di tali asserzioni? Nessuna, anzi tutti i dati che abbiamo a nostra disposizione sostengono il contrario.

In primo luogo, occorre separare e distinguere gli interventi puntuali di rimozione degli inerti dall’alveo da una diffusa e generale operazione che dovrebbe interessare interi reticoli fluviali.

Nel primo caso le opere possono essere utili, anzi necessarie (ad esempio all’interno di centri abitati o in casi particolari), mentre nel secondo non solo sono inutili ma addirittura dannose”.

Per quale ragione?

Le ragioni sono molteplici. In primo luogo, mentre si sostiene che l’accumulo di inerti, come ghiaia, o sabbia, è andato aumentando negli ultimi decenni, è generalmente vero il contrario.

Il letto nei nostri fiumi non si sta alzando, anzi al contrario si sta abbassando. L’eccessiva escavazione di sedimenti dall’alveo che si è verificata dal dopoguerra all’inizio degli anni Ottanta dello scorso secolo ha scatenato un impressionante fenomeno di erosione regressiva, con la conseguente massiccia incisione degli alvei. 

Gli isolotti di ghiaia aumentano non perché il fiume li deposita di più, ma perché il fiume si abbassa, incide il letto e li fa emergere. Il Po a Cremona si è abbassato di oltre sei metri in cent’anni. Inoltre, i ponti che attraversano i principali fiumi piemontesi hanno i pilastri scalzati”.

Stando a quanto ci spiega, togliere ulteriore materiale dai letti dei fiume potrebbe rivelarsi un’operazione controproducente…

Togliendo ulteriore materiale si favorisce una ulteriore incisione e si accresce il pericolo idraulico.

Il problema della gestione degli eventi alluvionali non si risolve facendo scorrere più velocemente l’acqua, ma dissipandone l’energia.

Rispetto delle fasce boscate naturali, rispetto della naturale morfologia degli alvei, rispetto delle aree di espansione naturali del fiume e quindi lotta assoluta all’abusivismo e alla costruzione di edifici e strutture nell’alveo di piena: questi sono gli strumenti necessari.

Se guardiamo l’urbanistica delle nostre montagne, delle Langhe, del Monferrato si vede benissimo che i nostri vecchi costruivano sempre sui versanti, laddove sorgono ancora campanili, vecchie case, chiese, mentre noi oggigiorno costruiamo in alveo.

E non si venga a dire che una volta si pulivano gli alvei e adesso no: un tempo si utilizzava lavoro manuale, non meccanizzato e ad esempio sulle Alpi laddove una intera borgata faceva la ‘roida’, cioè la corvée, per pulire il letto di un canale con un lavoro che durava parecchi giorni adesso un escavatore fa il doppio del lavoro in poche ore”.

Cosa occorre dunque mettere in campo per agire e prevenire nuovi disastri?

Rispetto e specialmente conoscenza devono essere le basi concettuali che governano il nostro operare sul territorio.

Invece di continuare a rimuovere sedimenti dai fiumi, come chiede in Italia una parte poco informata della popolazione, bisognerebbe guardare a cosa si fa negli altri paesi europei vicini a noi, come Francia, Austria e Germania, dove ad esempio vengono ripristinate larghe fasce di vegetazione ripariale.

La gestione dei fiumi, purtroppo, viene sempre più spesso affrontata trascurando quando non addirittura mettendo in discussione l’approccio tecnico-scientifico.

Il grande problema è che in qualsiasi campo, dalla medicina alla sismologia, assistiamo desolatamente al dilagare di una mentalità pseudoscientifica ed al proliferare di teorie che, pur ammantandosi di una patina scientifica, rifiutano o comunque non hanno alcuna corrispondenza con il metodo sperimentale”.

Nicolò Bertola

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