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Sport invernali | 16 febbraio 2018, 09:35

Innsbruck 1964: Eugenio Monti, un fair play da medaglia

Insieme all'esperto Pietro Tassone ripercorriamo la storia dei Giochi invernali. L'azzurro di bob si rende protagonista di un bellissimo gesto nei confronti del duo britannico Nash-Dixon e viene insignito di un riconoscimento speciale. Manca la neve: necessario l'intervento dell'esercito

Nell'immagine un momento della cerimonia inaugurale, il logo ufficiale di Innsbruck 1964 e gli azzurri del bob

Nell'immagine un momento della cerimonia inaugurale, il logo ufficiale di Innsbruck 1964 e gli azzurri del bob

Prosegue il viaggio nella storia delle Olimpiadi invernali che Campioni.cn ha scelto di proporre ai suoi lettori, affidando i comandi al 94enne di origini frabosane Pietro Tassone, grande esperto in materia e campione nel 1957 di "Lascia o Raddoppia". Grazie ai suoi ricordi enumereremo medaglie, racconteremo aneddoti curiosi e vi accompagneremo durante i Giochi di Pyeongchang 2018.

INNSBRUCK 1964

SENZA NEVE E GHIACCIO, MA CON MOLTE NOVITÀ - Dopo la fallimentare parentesi statunitense di Squaw Valley 1960, nel 1964 le Olimpiadi invernali fecero ritorno in Europa, approdando a Innsbruck, nel Tirolo austriaco. Tuttavia, si registrarono subito enormi problemi legati alla carenza di neve, tale da costringere gli organizzatori a mobilitare l'esercito, che, per porre rimedio all'emergenza, ne trasferì 40mila metri cubi sulle piste da sci (tenendone altri 20mila di riserva) ed estrasse dalla montagna 20mila blocchi di ghiaccio, utili ad allestire le piste di bob (inserito nuovamente nel palinsesto olimpico) e slittino (disciplina all'esordio assoluto nella rassegna a cinque cerchi). Debuttò anche la 5 chilometri di fondo femminile, mentre la gara di salto con gli sci si sdoppiò e i rilevamenti cronometrici furono effettuati per la prima volta con l'ausilio dell'elettronica.

ITALIA: QUATTRO PODI, MA SENZA ORO - Il bilancio della spedizione tricolore ai Giochi di Innsbruck (61 atleti al via, fra cui 8 donne) fu tutto sommato positivo: gli azzurri vinsero un argento nel doppio del bob (Sergio Zardini-Romano Bonagura), gara in cui Eugenio Monti e Sergio Siorpaes agguantarono il bronzo. Terzo posto anche per il bob a quattro (Eugenio Monti-Benito Rigoni-Gildo Siorpaes-Sergio Siorpaes) e per il doppio dello slittino (Walter Aussendorfer-Sifgried Mair). Nello sci alpino nessun rappresentante del Belpaese riuscì a centrare la parte alta della graduatoria, mentre nella staffetta del fondo maschile le ottime prestazioni di Franco Nones e Marcello De Dorigo permisero all'Italia di classificarsi quinta. De Dorigo, in particolare, viene ricordato per uno spiacevole fatto di cronaca: proprio durante quell'inverno il fondista azzurro subì l'amputazione delle falangi delle dita dei piedi dopo decine di chilometri percorsi nel tentativo di ritrovare i suoi compagni di allenamento, dei quali aveva smarrito le tracce nelle nevi svedesi.

MONTI, FAIR PLAY DA MEDAGLIA - Nella prova di doppio del bob fu l'italiano Eugenio Monti a guadagnarsi la ribalta delle cronache, non soltanto per il bronzo conquistato in coppia con il frenatore Sergio Siorpaes. Infatti, al termine della prima manche, nella quale il duo azzurro si rese protagonista di una prestazione macchiata da qualche sbavatura di troppo (quinto tempo parziale), gli inglesi Tony Nash e Robert Dixon, candidati alla vittoria, si accorsero di aver smarrito un bullone e capirono di dover abbandonare la gara. Un epilogo inevitabile, o almeno così sembrava; nel frattempo, infatti, Monti riuscì a trovare un bullone adatto al bob britannico e lo donò ai suoi avversari, i quali lo ringraziarono sentitamente e volarono letteralmente sul ghiaccio nella seconda frazione, andando ad agguantare un meritato oro. Il gesto di grande fair play di Monti non passò tuttavia inosservato, tanto che il nostro portacolori fu insignito della medaglia speciale intitolata al barone Pierre De Coubertin, fautore dei Giochi olimpici moderni, che fece suo il celebre aforisma "L'importante non è vincere, ma partecipare", in realtà pronunciato da un vescovo della Pennsylvania in occasione delle Olimpiadi di Londra del 1908.

Alessandro Nidi

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