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In Breve

| 01 ottobre 2017, 16:08

La fratellanza: educazione criminale d’un uomo comune

“Nessuno è libero là fuori” dice Money-Man e non volendo esprime il concetto più violento di tutto il film.

La fratellanza: educazione criminale d’un uomo comune

IL FILM

Dopo aver lavorato due anni sotto copertura come agente volontario in California, il regista Ric Roman Waugh chiude la sua “trilogia penitenziaria”, iniziata con “Snitch” e “Fellow”, con “La Fratellanza” (Shot Caller), film coprodotto di cui ha curato sia la regia che la sceneggiatura.

La fotografia, scabramente realista con dei primi piani di crudele intensità, è affidata a Dana Gonzales mentre al buon lavoro scenografico di Guy Barnes si affianca la colonna sonora minimale di Antonio Pinto (“Collateral” e “Lord of War”), compositore brasiliano già sfruttato da Waugh in Snitch. In un cast coralmente funzionale agli obiettivi etici ed estetici del regista spicca la prova di Nikolaj Coster-Waldau (star de “Il Trono di Spade”) talmente abile nell’interpretare la metamorfosi del protagonista da upper-class man a detenuto da sembrare due persone differenti.

Notevole, per quanto marginale, Holt McCallany nel ruolo de “La Bestia”.

 

TRAMA

Jacob è un uomo d’affari di Pasadena (California) che vive un’esistenza piacevole con un ottimo lavoro, un figlio piccolo ed una moglie innamorata che sta incoraggiando a laurearsi in design; una sera, dopo una cena a quattro e qualche bicchiere di troppo, provoca un incidente in cui muore il suo migliore amico nonché partner. Nonostante l’involontarietà della vicenda finirà in carcere con una condanna relativamente leggera ma in mezzo a detenuti con pene ben più gravi, lì sarà costretto per sopravvivere ad affiliarsi alla “fratellanza ariana” che lo coinvolgerà in una serie di violenze che oltre ad incrementare la sua permanenza in galera lo allontaneranno da sua moglie e suo figlio.

Quando finalmente riuscirà ad uscire di prigione per buon condotta non sarà più l’affabile Jacob ma il tatuatissimo e coriaceo Money-Man, pronto (o costretto?) ad eseguire gli ordini della fratellanza anche al di fuori del penitenziario.

Un inatteso epilogo rimetterà però in discussione le regole del gioco (o forse no).

L’UNIVERSO CARCERARIO

“I crimini di cui un popolo si vergogna costituiscono la sua vera storia. Lo stesso vale per un uomo”. Questa frase di Genet, drammaturgo francese che ha fatto del carcere il suo filtro esistenziale e la propria cifra espressiva, ben si adatterebbe agli energumeni della fratellanza, equamente divisi fra tatuaggi, piegamenti e una lotta razziale che all’interno delle mura perimetrali ha perso ogni significato politico per ridursi a semplice primato fisico.

Ognuno di loro è fiero del crimine commesso come dei muscoli esibiti o della virilità votata al Male, o scaturente da esso, al punto che il loro sistema di pensiero si differenzia (dal francese “difference”) dalla morale comune come avveniva per i residenti del Sanatorio ne “La Montagna Incantata” di Thomas Mann il cui prestigio aumentava in funzione della gravità della malattia contratta.

In questo (dis)ordine viene catapultato Jakob che deve subito fare una scelta al di là dei suoi principi, una scelta che ne ridisegna il sistema di valori inserendolo in una parallasse gerarchica tanto più inquietante quanto realistica.

Il carcere ha le sue regole che non sono quelle del mondo esterno e non solo i detenuti devono sottostarvi ma anche una consistente percentuale di secondini e questo fa de “La Fratellenza” un film di denuncia sociale che oltre a porre i riflettori su un argomento decisamente poco accattivante lo fa togliendogli ogni alone di sospetto romanticismo.

I film ambientati in carcere sono legione ma o trattano di evasioni o evidenziano la lotta del singolo per sottrarsi alla disumanizzazione penitenziaria (vedi “Le Ali della Libertà”). Ne “La Fratellanza” non c’è niente di tutto questo.

MEGLIO COMANDARE ALL’INFERNO CHE UBBIDIRE IN PARADISO

C’è un passaggio nell’opera di Waugh in cui Money-man, da ex-bravo ragazzo che per cavarsela entra nella fratellanza, sceglie di accettarne i codici e di salire di rango di fatto lasciandosi alle spalle la propria famiglia e abbracciando un ideale di violenza inesprimibile.

Miltonianamente sceglie di comandare all’Inferno, un Inferno fatto di fisici scolpiti e di tatuaggi fortemente simbolici che ricordano i mafiosi russi de “La Promessa dell’assassino” di Cronenberg, con gabbie dove i detenuti dialogano allenandosi come paramilitari per improvvise risse in cortile che non nascono per diatribe individuali ma sono finalizzate alla leadership razziale del carcere.

Jakob è una vittima del sistema carcerario (totalmente incapace di rieducare i detenuti) o un leader?

Il modo in cui il regista indugia sulla violenza di alcune scene fa pendere la bilancia più verso l’esaltazione che verso la denuncia così come la facilità di adesione del protagonista alla fratellanza fa sorgere il sospetto che un seme di sopraffazione fosse già presente in lui e che non la malinconica resa ad un karma negativo l’abbia trasformato in Money-Man ma una volontà di potenza tutt’altro che stoica.

LA FRATELLANZA ARIANA

“Conosci “L’Animale Umano”?” chiede il primo leader con cui Jakob entra in contatto non appena in carcere. “L’Animale Umano”, così come il più famoso “La Scimmia Nuda”, sono libri scritti dallo zoologo inglese (tutt’ora vivente) Desmond Morris; testi cardine della sociobiologia, che riscossero un grande successo negli Anni Settanta, essi definivano l’uomo come: “uno scimmione nudo  che si è auto-chiamato homo sapiens…i suoi antichi impulsi gli appartengono da milioni di anni, i nuovi solo da qualche millennio…sarebbe un animale molto meno preoccupato e più soddisfatto se solo affrontasse questa realtà”.

La tesi di Morris, molto grossolanamente riassunta,  è che l’uomo sia solo un animale più evoluto e che, accettando i suoi istinti più deteriori, invece di negarli trasformandoli in qualcosa di nocivo per sé e per gli altri, vivrebbe meglio anche perché per lo zoologo inglese l’anima non risiederebbe al di fuori di noi né nella favolistica ghiandola pineale ma nell’unico organo degno di ospitare l’immortalità e cioè l’apparato sessuale.

Il Nazismo della fratellanza ariana, che non trova affatto disdicevole lucrare su armi rubate o tessere alleanze coi messicani, è un nazismo essenzialmente estetico che della filosofia nazionalsocialista conserva solo l’esaltazione della forza e un maniacale rispetto delle gerarchie;la derisione di qualsiasi rappresentante della legge e il creare uno stato nello Stato sono una presa di distanza dall’ordine costituito che non ha niente a che vedere col Nazismo da un punto di vista giuridico e politico.

CONCLUSIONI

“La Fratellanza” è un film coraggioso e ben recitato ma ha degli evidenti cali di tensione e in alcune parti manca un approfondimento psicologico del personaggio Money-Man che passa troppo velocemente da uomo d’affari a criminale dimenticandosi della moglie e del figlio. Una voce fuori-campo ben dosata o un interlocutore ispirato avrebbero meglio inquadrato tale metamorfosi.

Resta l’esperimento sociologico del regista vissuto per due anni sotto copertura in carcere (“quella che è iniziata come una semplice ricerca è diventata un’odissea di due anni in cui ho avuto accesso in maniera sempre più profonda a quel mondo violento”) che somiglia alle ricerche di Desmond Morris fra le scimmie e che ci mostra da un’angolazione molto originale la vita carceraria: basta osservare quanto diverse siano le scene di aggressione rispetto agli usuali ed epici scontri cui Hollywood ci ha abituato, rapide colluttazioni con ferite da taglio nei punti vitali senza grida o sensazionalismi.

Quella de “La Fratellanza” non è una storia vera ma il lavoro documentale che la supporta la rende un collage di esperienze realmente vissute che aumenta il tasso di violenza in modo critico o apologetico a seconda del punto di vista.

“Nessuno è libero là fuori” dice Money-Man e non volendo esprime il concetto più violento di tutto il film.

 

Germano Innocenti

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