Al Direttore - 24 agosto 2012, 09:33

Spendere i soldi risparmiati dal referendum "saltato" per risarcire i danni dei lupi? Bella idea, ma...

Da revello le proposte del signor marco Forno

Egregio Direttore,

vorrei replicare alla lettera del lettore Marco S. riguardante la delicata questione delle predazioni del lupo e la caccia di selezione agli ungulati. Il signor Marco propone di attingere dai 22 milioni di euro che la Regione Piemonte ha risparmiato, grazie al mancato svolgimento del referendum regionale sulla caccia del giugno scorso, per risarcire i danni provocati dai lupi a greggi e mandrie.

Un’idea tutto sommato valida, gliene devo dare atto, ma a patto che non ci si illuda che il problema degli attacchi del canide al bestiame si possa meccanicamente risolvere con un mero sistema risarcitorio. Probabilmente, il nostro lettore non è particolarmente avvezzo a certe tematiche, ma la perdita di uno o più capi, per coloro i quali traggono,  dal loro allevamento, il proprio sostentamento è un’autentica sciagura; pensare di risolvere il tutto a mo’ di constatazione amichevole dopo un tamponamento mi pare alquanto fuorviante: i risarcimenti possono, al massimo, lenire la problematica, non certo costituirne la soluzione duratura.

Quanto alla provocatoria constatazione del lettore circa la presunta inutilità della caccia di selezione, dato che alcune specie, ad esempio i caprioli, continuano a proliferare, vorrei fare anche qui qualche considerazione.

Premetto che mi pare del tutto evidente che un intervento umano, sotto forma di prelievo venatorio, sia necessario per la gestione corretta delle popolazioni di ungulati, in un ecosistema fortemente antropizzato come il nostro, caratterizzato da coltivazioni, strade su cui circolano svariati e numerosi veicoli etc. : chi pretende di negarlo, continui pure a crogiolarsi nel suo mondo di favole, magari lacrimando copiosamente mentre guarda il dvd del cervo parlante “Bambi”.

Detto ciò, bisogna solo intendersi su cosa si voglia ottenere con questo prelievo: un risultato indubbio dell’attività venatoria di selezione è che le specie oggetto di tale caccia godono di un’ottima salute generale, dato che una delle priorità è quella dell’abbattimento degli esemplari che, nel corso dei periodici censimenti (obbligatori per legge e condotti sotto l’egida di tecnici faunistici), vengono individuati come malati.

Stessa cosa non si può affermare per altri ungulati non interessati da questa tipologia di prelievo venatorio: si pensi, a tal proposito, alla cheratocongiuntivite dilagante tra gli stambecchi in molte parti d’Italia. Alcune specie, però, per le caratteristiche che Madre Natura ha loro conferito, sono difficilmente controllabili anche con metodi scientifici quali, appunto, la caccia di selezione: è il caso, come detto, del capriolo che, grazie all’ovoimplantazione differita, riesce a ritardare la gravidanza delle femmine di modo da portarle a partorire in maggio-giugno cioè, a differenza di quanto avviene per gli altri ungulati, in una fase climatica molto più favorevole alla sopravvivenza dei neonati.

Ecco, ora, che diventa possibile, se non proprio opportuno, ripensare la filosofia di fondo della caccia a certe specie di modo che, da piani di selezione si passi a piani di contenimento numerico, la cui finalità è già indicata dalla parola stessa e che, di recente, sono stati richiesti a gran voce da più parti, in primis dalla Coldiretti, ma al cospetto dei quali ogni volta gli animalisti sollevano, con puntualità svizzera, il solito polverone, gridando al massacro di povere creature indifese.

Di fronte a tale situazione, quali sono le proposte del variegato universo animal-ambientalista? Vietare tout court la caccia agli ungulati, eccetto il cinghiale, come si proponeva nel (folle) quesito referendario su cui si sarebbe dovuto votare lo scorso giugno, delegando il compito del contenimento esclusivamente ad una Polizia provinciale sempre più carente di risorse economiche e personale?

Inoltre, se il referendum avesse portato a questo risultato, una volta venuti meno i fondi derivanti dalle tasse di concessione regionali pagate dai cacciatori, dove lo si sarebbe attinto il denaro per i risarcimenti danni? Forse dalle tasche delle associazioni animaliste?

Tornando al lupo, perché gli esponenti dell’animal-ambientalismo nostrano non si recano periodicamente in quota, ad aiutare i malgari nel lavoro di installazione delle recinzioni anti-predatori, sull’esempio dei loro colleghi d’Oltralpe, ma preferiscono pontificare su siti e blog?

Questi sarebbero temi concreti sui quali confrontarsi con una controparte scevra da pregiudizi ideologici che, temo, mai avremo occasione di conoscere in questo Paese.

Marco Forno, Revello