Anni fa, quando incontrai per la prima volta l’attuale Presidente Nazionale della CIA Giuseppe Politi, che è un pugliese del Salento, mi disse che conosceva Cuneo per una cosa sola: per lui Cuneo era sinonimo di quei furgoncini color cacao e nocciola che giravano città a paesi della Puglia, targati CN, a consegnare i prodotti della Ferrero. Io non avevo mai immaginato che a costruire il buon nome della Granda in tutt’Italia potesse aver così tanto contribuito l’industria di Alba, che per noi fa parte del paesaggio e della nostra storia, che porta nel marchio un cognome diffusissimo in Piemonte, che inonda – con l’aroma del cacao tostato – l’aria di Alba di prima mattina.
Qual è l’importanza di questo colosso industriale per l’albese e per tutta la Provincia di Cuneo è già stato ribadito in tutte le salse in questi giorni di sbigottimento, malinconia e, anche, preoccupazione in seguito alla morte improvvisa del quarantottenne AD Pietro Ferrero, lo stile riservato e scevro da qualsiasi esibizionismo della famiglia, l’impegno dei Ferrero e della loro azienda rispetto alle più svariate iniziative “sociali” ed umanitarie.
C’è però un aspetto che è abbastanza sottaciuta rispetto a questo gruppo industriale: si tratta del ruolo che lo stesso ha nei confronti del mondo agricolo.
La stragrande maggioranza degli operatori, anche quelli del settore, sono convinti che la Ferrero segua la propria politica industriale tenendo in ben poca considerazione le produzioni del territorio e rifornendosi sul mercato internazionale delle materie prime di cui necessita, pur ponendo molta attenzione alle loro caratteristiche di qualità e salubrità. Ma se analizziamo bene la storia di questo gruppo industriale e la comunicazione che viene effettuata attorno ai prodotti vediamo che così non è.
Non sarebbe neppure il caso di andare a ricordare che i primi grandi impianti razionali di nocciole sulle Langhe sono stati realizzati da Ferrero che in questo modo hanno fatto anche “formazione professionale” rispetto agli imprenditori locali, che se l’Alta Langa, la Valle Bormida, la Valle Belbo ed i Roeri non si sono completamente spopolati, se le cascine non sono state abbandonate negli anni in cui in quelle campagne regnava solo la “malora” , è stato il frutto dei salari che “rimpolpavano” le magre finanze familiari e di quei pullman (anche loro color cacao e nocciola) che dai confini della provincia di Savona fino ai confini con la provincia di Torino portavano – quasi a totale spesa dell’azienda – gli operai ad Alba e li riportavano a casa la sera.
Ma anche oggi, ed in anni recenti, si comprende come la “fabbrica della nutella” assorba tanta della nostra produzione agricola: le nocciole sono la materia prima di infiniti loro articoli di grido e se utilizzano anche produzioni turche e di altri paesi è solo perché rispetto alla capacità lavorativa dei 18 stabilimenti Ferrero sparsi per il mondo la produzione della Tonda Gentile di Langa basterebbe sì e no per una settimana; la torre del latte in polvere realizzata a Moretta dalla In.Al.Pi (che assorbe una quantità rilevante del latte prodotto in Piemonte) lavora in modo esclusivo per la Ferrero; l’ultimo prodotto di successo dell’azienda albese – le grand soleil – è realizzato con “latte delle vallate alpine piemontesi” e sappiamo che tecnici dell’industria dolciaria controllano direttamente le stalle da cui proviene, la loro ubicazione territoriale, la salubrità degli allevamenti ed il rispetto delle norme igienico sanitarie.
Senza far clamore quest’industria ha difeso e difende la nostra agricoltura, quella reale e genuina: è logico quindi che oggi il mondo agricolo sia in lutto per questa perdita che sente anche sua.