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| 12 novembre 2014, 07:15

Le situazioni imbarazzanti si possono raccontare con disinvoltura?

Le situazioni imbarazzanti si possono raccontare con disinvoltura?

C'era questa pozzanghera enorme. L'unica in un enorme piazzale. Io avevo sui sei-sette anni, spingevo come una forsennata sui pedali della bicicletta. Non dico che stessi facendo delle evoluzioni, ma quasi. Mi sentivo molto ganza, anche perché disponevo di un pubblico. I miei genitori, che in verità non mi prestavano grande attenzione, e dei loro amici.

Mia madre: “Fa' attenzione alla pozzanghera”. 'Non sarò mica così stupida da finirci dentro?', pensavo, mentre mi avvicinavo e mi divertivo da matti disegnando centri concentrici con le ruote bagnate sempre più vicina al laghetto.

La fine della storiella è ovvia. Ci finii dentro, tutta quanta. Impiastricciata di fanghiglia, ma senza sbucciature o graffi; con l'orgoglio a pezzetti, lanciai uno sguardo veloce veloce, sperando non fosse notato, agli amici dei miei. Lo sguardo di lei a dire: “Che stupida bambina, per fortuna non è mia figlia”, me lo ricordo ancora adesso dopo quarant'anni. A perenne ricordo, ho una foto scattata qualche istante prima. Io e la pozzanghera, che sembra messa lì apposta affinché ci caschi dentro.

Di figuracce negli anni a venire ne sono seguite a migliaia, forse a milioni. Sono sempre stata goffa. Sarà per l'altezza, mi muovo come una giraffa. Vado sbattere dappertutto, pur mettendoci la massima attenzione nel notare gli ostacoli. Gli spigoli mi vengono incontro, non riesco proprio ad evitarli.

E poi mi inciampo. Mi inciampo da sempre, grazie anche alla miopia-presbiopia-astigmatismo che mi fa vedere il mondo sfocato e distorto da lontano e da vicino.

La volta peggiore, delle tante, tantissime, mi è capitata con un ragazzo che mi piaceva. Mi aveva riaccompagnata a casa, dopo una serata che la mente ha cancellato, probabilmente zeppa di comportamenti goffi, frasi stupide, improvvisi vuoti mentali e parole che non arrivavano al momento giusto. Cioè, quello che di solito mi capitava quando mi piaceva qualcuno.

Dovevo semplicemente scendere dalla sua auto, una cosa banalissima. Non avevo neppure i tacchi, forse. Di solito non li mettevo. Però mi sono inciampata. E' già tanto che non sono caduta. Lui, simpaticissimo, invece di sdrammatizzare, disse qualcosa che mi ferì. Fu il primo e ultimo appuntamento con il tizio.

E poi, cado. Anche per questo, chiamiamolo inconveniente, uso la scusa che non ci vedo bene, ma non vale molto. Cado da sempre. Scivolo, mi sgambetto da sola, metto i piedi dove non dovrebbero essere messi. Cadere da un metro e ottanta ti dà tutto il tempo di renderti conto, attimo per attimo, delle fasi della caduta. Come un'azione al rallentatore, ho il tempo di capire molto bene che sto per farmi più o meno male. E quando sono a terra, cercando il coraggio per vedere se il danno è così catastrofico come immagino, invece di compatirmi, chi c'è il quel momento con me, dal momento che mi capita inevitabilmente di inciamparmi o cadere davanti ad un pubblico, o ride o si arrabbia. Come se fosse divertente o lo facessi apposta, invece il mio orgoglio è inesorabilmente ferito.

Consolazione. In ogni attimo, ovunque, milioni di persone si stano producendo in una figuraccia. Anche adesso. Situazioni imbarazzanti che tracimano nei pensieri notturni, nel rivivere mille volte quel momento inevitabilmente imbarazzante che tutti gli altri hanno già scordato, tranne noi.


Monica Bruna

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